da Liberazione del 10 Dicembre 2004

Il femminismo è ancora in silenzio

di Lea Melandri


Carol Rama


I movimenti "rivoluzionari", quando sembrano essersi eclissati dalla scena storica o spariti del tutto, si lasciano generalmente dietro un alone di mistero, un residuo fantasmatico che può risultare persino più inquietante della loro presenza. Il femminismo, inspiegabilmente silenzioso su questioni che lo interpellano direttamente, come la legge sulla fecondazione assistita, l'aumento della violenza sulle donne nel mondo, la mercificazione dei corpi, della sessualità e delle storie personali,
continua a essere evocato da voci diverse e contrastanti della cultura maschile: chi lo rimpiange, chi lo vede dissolto in un generale processo di "femminilizzazione" della società, chi lo sospetta insidiosamente presente nel "disordine" sessuale che minaccia la famiglia. Nessuno sembra davvero interessato a sapere che cosa si agita dentro la fitta rete dell'associazionismo femminile, nella produzione di studi, convegni, iniziative politiche che oggi vedono impegnate molte più donne che negli anni '70, sia pure con uno strano effetto carsico dovuto alla grande diversificazione e in molti casi a una dichiarata autoreferenzialità.
Tenendo conto di questa ambigua presenza/assenza, la domanda potrebbe essere allora formulata in un altro modo, più consono alla anomalia di un movimento che ha inteso portare la sua sfida politica fin dentro i territori oscuri della "persona", della memoria del corpo e delle formazioni inconsce: il femminismo è ancora una pratica di modificazione di sé e del mondo?

Anche in passato il movimento delle donne ha avuto anime diverse, ma erano, per così dire, passionalmente in contrasto, spinte a incontrarsi dal bisogno di trovare un "punto di vista", un'angolatura da cui analizzare il rapporto tra i sessi, e produrre effettivi cambiamenti al riguardo.

Rileggendo il libro appena ristampato, Dal movimento femminista al femminismo diffuso. Storie e percorsi a Milano dagli anni '60 agli anni '80 (a cura di Annarita Calabrò e Laura Grasso, edito dalla Fondazione Badaracco e da Franco Angeli), appare chiaro che la differenziazione ricalcava allora i poli opposti e complementari di una dialettica nota: sfera personale e sfera sociale, sessualità e politica, psicanalisi e marxismo.

A tenere insieme le donne in convegni nazionali affollatissimi si può pensare che fosse il bisogno di interezza: non si poteva dividere il corpo dal pensiero, il privato dal pubblico, l'amore dal lavoro, la famiglia dallo Stato, il conflitto tra i sessi dal conflitto di classe, e così via. Ci si muoveva, in altre parole, dentro una complementarietà rivisitata criticamente, che rendeva necessarie le une alle altre. C'era un corpo a corpo fatto di frequentazioni quotidiane, di scontri violentissimi, di prese di posizione diversificate, di avvicinamenti e allontanamenti. Tutto fuorché l'indifferenza. La possibilità di contrastarsi, non era solo tollerata, ma ritenuta indispensabile per intaccare ragioni inconsapevoli di consenso, adattamento a modelli imposti e interiorizzati come propri.
Oggi le differenze, all'interno del femminismo, si sono moltiplicate ma stanno sullo stesso piano di realtà, hanno un denominatore comune che è la vita pubblica, i suoi saperi, i suoi linguaggi, le sue professioni, le sue gerarchie. Ad omologarle è una cultura che ha integrato nuovi contenuti ma che conserva in parte il suo impianto tradizionale, le sue cancellazioni, le sue cesure, rispetto alla soggettività incarnata. Si ha l'impressione che, pur mantenendo ferma la presunta neutralità del loro pensiero, gli uomini siano andati molto più avanti nell'analisi del rapporto natura-storia, individuo-collettività. I diversi "femminismi" oggi non confliggono tra loro, né sentono il bisogno di confrontarsi, perché riproducono nel loro insieme quel mosaico o quella babele che è la società attuale, con le sue molteplici funzioni. Ci sono gruppi, centri, associazioni della più varia specie -la Società delle storiche, delle letterate, delle giuriste, delle scienziate, ecc. - che lavorano bene in ambiti specifici, ma mostrano tutta la loro debolezza quando sono costrette a incontrarsi intorno a un fenomeno che le implica tutte, come ad esempio la legge sulla fecondazione assistita.

La mia impressione è che, nonostante si continui a scrivere, parlare e incontrarsi, ci sia comunque un grande silenzio: per tutto ciò che delle vite, dei rapporti con l'uomo e con le altre donne, non si riesce più a nominare, per paura di ulteriori divisioni, o per paura di perdere anche le persone più vicine. Per un movimento che è partito dalle problematiche del corpo e della sessualità, non riuscire a parlare dell'invecchiamento, della malattia, della morte, dei problemi legati alla cura (di un figlio, un marito, un genitore anziano), del rapporto con le donne straniere che vivono nelle nostre case, è senza dubbio una resa, una sconfitta. Lo stesso si può dire della difficoltà a esprimersi su un fenomeno drammatico e vistoso come la riduzione delle persone a nuda corporeità ( i corpi devastati dalla fame, dalla guerra, dalle malattie, dalle migrazioni), a pornografia, a sommatoria di organi.

Il fatto che ci siano tanti temi, tante problematiche di ordine privato e pubblico all'attenzione del femminismo oggi, non significa maggiori capacità modificative di se stesse e dell'esistente. Invece di uno slogan ormai svuotato di contenuti, come il "partire da sé", dovremmo forse provare a chiederci se e quali cambiamenti produce la relazione con le altre donne (divenuta più solida, più continuativa, direi quasi "istituzionalizzata"), se ci sono ancora interrogativi, desideri di conoscenza e di cambiamento legati alle nostre vite, che lì, nella riflessione collettiva, possono trovare risposte, se il separatismo è diventato solo una rassicurazione -di appartenenza, identità, storia comune-, o se è ancora il luogo di modificazioni effettive, riguardo al modo di pensarsi, sentirsi e agire nel mondo.

Una delle novità più interessanti dei Seminari sull'eredità del femminismo, che si sono tenuti in questi ultimi anni tra Milano e Roma, è stata la presenza attiva di generazioni diverse, che ha permesso di confrontare esperienze, ma anche di capire che cosa è passato di quell'intreccio originale di teoria e pratica che ha caratterizzato il movimento delle donne ai suoi inizi. Un tema ricorrente, proposto dalle più giovani è stato il rapporto tra femminismo e femminile. Il riferimento era in particolare ai modelli di femminilità che compaiono nella pubblicità, nei media, nei consumi, ma lo si potrebbe estendere a quella parte di esperienza personale che, per la generazione degli anni '70, è tornata ad essere un "privato" indicibile e che, per le più giovani, non è mai stata al centro di una pratica politica.