CHALLENGING THE BOUNDARIES:
A SINGLE STATE IN PALESTINE/ISRAEL


di Gabriella Bernieri

SOAS (School of Oriental and African Studies) University of London, 17-18 novembre 2007

“Il mondo è così abituato all’idea dei due stati che è come se il pensiero stesso fosse imprigionato in una scatola”.
Esordisce così Ghada Karmi 1). E uno dei motivi ricorrenti di questo convegno è proprio la liberazione del pensiero e della parola, ostaggio di uno sterile dibattito e di trattative che portano soltanto a una ulteriore riduzione della terra dei Palestinesi e alla rapina delle loro risorse, prigionieri in quelli che assomigliano sempre di più ai campi di concentramento del secolo scorso; applicazione del dogma sionista fin dall’inizio, più terra e meno arabi. Paradossalmente è questo stesso dogma che impedisce la formazione di quello stato palestinese di cui Israele ha disperatamente bisogno se vuole mantenersi come stato esclusivamente ebraico.

Un convegno che ad un mese di distanza da quello su Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni (BDS), pone la SOAS al centro di iniziative che forse sono possibili solo a Londra, dove il linguaggio sul conflitto israelo-palestinese è scevro da quella autocensura che domina in Italia anche a sinistra. A convegno finito Ha’aretz definirà Londra capitale mondiale dell’antisionismo.

Dedicato a Edward Said che si era opposto con tutte le sue forze agli Accordi di Oslo e che fino all’ultimo sosteneva uno stato unico dal Mediterraneo al Giordano, e vedeva nell’idea e nella pratica della cittadinanza –qualcosa che manca completamente in Israele e in Palestina – la sola possibilità di giustizia, riconciliazione e coesistenza tra ebrei e Palestinesi.
Organizzato in modo esemplare da un gruppo di studenti israeliani e palestinesi, e dal London One State Group ha radunato relatrici e relatori di varie università: americane, inglesi, israeliane, palestinesi, attivisti delle associazioni della società civile e un pubblico di iscritti di oltre 350 persone e di età e provenienze diverse, che ha seguito con grande partecipazione un dibattito di alto livello aperto a interventi e suggerimenti. È il momento felice di un movimento allo stato nascente.
Non sono presenti gruppi femministi il cui contributo per l’approfondimento teorico è richiesto come indispensabile. In compenso sono molte le donne a parlare.
L’idea di uno stato democratico è visione egualitaria, concreta, non razzista che fa abbandonare il nazionalismo esasperato delle due parti e sfida il progetto imperialista degli USA e di Israele.
 
Le sessioni della prima giornata hanno riguardato la storia dell’idea di spartizione e di stato unico; passato , presente e futuro di questa idea; lo stato unico e i Palestinesi; la terra, la cittadinanza, l’identità, la nazione , lo stato.
Ci sono voluti venti anni per fare accettare  la soluzione dei due stati e sessanta per fare riaffiorare la soluzione di uno stato unico, sostenuta dai Palestinesi fino agli anni settanta; ma anche eminenti personalità ebraiche tra le quali Judas Magnes cofondatore della Hebrew University di Gerusalemme, Martin Buber, Hanna Arendt, ,il gruppo Brit Shalom,erano contrarie alla spartizione della Palestina e alla costituzione di uno stato ebraico, auspicando piuttosto la creazione  per gli ebrei di un centro  di rinascita culturale e spirituale in quella terra. L’idea di uno stato unico, ripresa negli anni  da alcune persone tra le quali Benvenisti, Bishara e soprattutto  Edward Said, sta decollando e sembra paradossalmente meno utopica di quella dei due stati, impraticabile ormai non solo per i fatti  irreversibili compiuti sul terreno , ma anche perché non è possibile uno stato esclusivamente ebraico con all’interno più del 20% di popolazione non ebrea.
Nel giro di pochi mesi, oltre a varie pubblicazioni( è appena uscito in Italia  Palestina-Quale futuro  di Jamil Hilal per Jaca Book) ci sono stati due convegni internazionali, a Madrid dal 3 al 7 di luglio e questo di Londra. Olmert sembra allarmato dal possibile passaggio della lotta palestinese dal “modello algerino a quello sudafricano( una testa un voto)”- e se ne serve per fare ingoiare all’estrema destra  la ripresa dei colloqui con Abu Mazen.

 

In attesa degli atti del convegno abbiamo cercato di cogliere alcuni passaggi degli interventi che ci sono sembrati significativi.
Il fatto è che Israele ha il controllo di tutto il territorio dal Mediterraneo al Giordano, processo iniziato nel ’48 e perseguito coerentemente con il controllo dei confini. Quindi “lo stato unico esiste già, si tratta di trasformarlo in stato democratico, laico che includa tutti i suoi cittadini”, dice Eyal Sivan 2)
.
L’ideologia sionista è tarda emanazione del nazionalismo europeo, colonialista e razzista; la sua storia è un processo continuo e coerente di pulizia etnica, di esclusione, di frammentazione e riframmentazione,il cui ultimo atto è il muro dell’apartheid. Se si insiste sulla formula dei due stati, che legittima e perpetua il sionismo, non si potrà applicare alcuna giustizia nei confronti dei rifugiati (RIS 194) né si risolverà la discriminazione dei Palestinesi israeliani, che sfidano il luogo reale del sionismo.

Ilan Pappe 3) riconosce il ruolo importantissimo della SOAS. Pappe rintraccia l’origine di uno stato già sotto l’impero ottomano, che aveva riconosciuto una identità geopolitica per cultura, lingua, costumi, coerente rispetto a paesi quali Libano ed Iraq, ad esempio, ed aveva istituito i sottodistretti di Akka, Nablus e Gerusalemme. Anche gli Inglesi avevano favorito il carattere unitario almeno sino al 37. e se l’onda d’urto del sionismo europeo non si fosse abbattuta sulle sue coste, interrompendo un processo storico avviato, la Palestina sarebbe diventata uno stato, così come lo sono diventati gli altri paesi del Medio Oriente, e non sarebbe quel caso eccezionale di ultima colonia esistente al mondo. ”Quindi noi andiamo nel senso della storia” afferma.

Ali Abunimah 4) riconosce che, seppure un numero crescente di Palestinesi è contro la divisione in due stati, tuttavia la maggioranza dei Palestinesi dei territori occupati, come la maggioranza della sinistra israeliana, che ha inventato il mito della spartizione, sono in favore di quella soluzione. Il banco di prova della democraticità dell’idea di stato unico è l’inclusione in esso di tutte le popolazioni che vivono in quella terra, sia di quelle autoctone, sia di quelle che vi si sono insediate. Il principio che la anima è la parità di tutti e i privilegi di nessuno. E su questi parametri che dovrà misurarsi qualsiasi alternativa alla soluzione dei due stati. (stato unico o stato confederale binazionale )

Per A’sad Ghanem 5) è importante rendersi conto della diversità della crisi attuale rispetto a tutte le altre attraversate dai Palestinesi dal ’48 in poi[…] I Palestinesi di Israele sono stati esclusi dal movimento nazionale di Arafat che ha trasformato la rivoluzione palestinese. Si sono già profilate alternative parzialmente realizzate come quella islamica: è chiaro che vogliono sostituirsi a Fatah che è completamente collassato, “e noi non accettiamo che questo movimento collassato negozi a nome nostro.” E’ comunque importante stabilire contatti con Hamas che è molto flessibile e pronto ad adattarsi alla realtà sul terreno.

Gada Karmi individua due questioni che si oppongono alla realizzazione dello stato unico:
a) gli Ebrei non lo permetteranno mai. Si sentono una nazione ed è difficile che si vedano come cittadini di uno stato non ebraico.
b) e anche i Palestinesi, traumatizzati dall’occupazione, sentono come necessità principale quella di rafforzare la propria identità, “Vogliamo un posto tutto nostro dove poterci riprendere.” La differenza è proprio tra chi vive sotto l’occupazione e la diaspora. Karmi prevede una lunga fase per conquistare le persone a questa idea.” Prima di procedere all’attuazione di un’idea politica bisogna assicurarsi il consenso, pubblicizzandola il più possibile, così che anche il livello di accettazione sia il più alto possibile.[…] Siccome lo stato unico è un’idea desiderabile, la sua realizzazione è anche possibile.” Insiste sulla necessità di convincere gli occidentali per averne l’appoggio.

Leila Farsakh 6) introduce l’elemento economico: il 25% del PIL palestinese è costituito dagli aiuti dei paesi donatori. Che prospettiva può offrire loro la soluzione di uno stato unico? “Quella di spendere meglio i loro soldi 7) ”
Il quadro economico vede Israele andare a gonfie vele 8) - anche la posizione dei Palestinesi israeliani è migliorata seppure il loro reddito corrisponda alla metà della media del reddito nazionale. Nella West Bank e a Gaza dove vige la segregazione, la povertà è al 60%. A differenza del Sudafrica del tempo dell’apartheid Israele non dipende dalla mano d’opera palestinese, né dall’esportazione nei territori occupati. D’altra parte Israele non ha le risorse del Sudafrica, che pure ha dovuto cedere di fronte alla campagna di boicottaggio internazionale.E’ per questo che il minimo accenno a una qualsiasi forma di boicottaggio (la formulazione del B D S è molto flessibile, si adatta alle circostanze e tende a colpire i  le istituzioni più dei singoli individui)  nel governo e nei media israeliani si propagano panico e indignazione.

Israele è pronta alla pace purché I Palestinesi rinuncino ai diritti civili, dice Amnon Ratz-Krakotzkin 9): pace per loro significa la fine del conflitto non dell’occupazione . Ma la condizione per qualsiasi compromesso deve cominciare da un processo di decolonizzazione. Riassume l’atteggiamento tipico della sinistra sionista in un paradosso: “Dio non esiste, ma ha promesso la terra a noi”.
 
Per Nadim Rouhana 10) il progetto di uno stato unico può paradossalmente avere successo. Il nazionalismo palestinese, non lotta soltanto per la liberazione, ma anche per i diritti. Si devono ridefinire nazionalismo e identità e incorporarvi la democrazia e la giustizia sociale. Per questo compito i Palestinesi hanno bisogno di persone come queste della SOAS , qualcosa di più di un Think Tank, e di singoli ebrei. Bisogna mostrare come l’identità si costruisce continuamente e come purtroppo viene anche manipolata. Costruire la propria identità è costruire anche l’identità dell’altro. (L’altro per l’occupante è l’occupato). La nuova identità palestinese si fonda su una visione che include l’altro: una risposta positiva al sionismo. Rouhana aggiunge che non si possono mettere sullo stesso piano i due nazionalismi, perché uno lotta per la liberazione, l’altro è l’oppressore 11).
 
Uno stato unico, dice Omar Barghouti 12), significa  decolonizzazione e desionizzazione. Se la Carta dell’ONU identifica le persone in base ai diritti di cui usufruiscono, ne consegue che la nazionalità israeliana si identifica in base al regime di apartheid. Ciononostante Israele si riconosce e viene riconosciuto dalla comunità internazionale  come stato democratico. Il Sudafrica, che nel 1948 aveva inventato questo sistema di segregazione almeno non aveva mai preteso di essere uno stato democratico!
Il problema, dice con forza, non è  come convincere i coloni, è come colpirli e costringerli, senza però causare inutili sofferenze. Il metodo non violento è anche quello che richiama ognuno alle proprie responsabilità, [quindi il più nobile] insiste, è il Boicottaggio, il Disinvestimento, le Sanzioni.

Sempre molto puntuale e colorito ogni intervento di Eyal Sivan :“Non c’è soluzione senza una profonda trasformazione dello stato sionista.” In Israele è alto il livello di  sfiducia sulla possibilità che lo stato possa durare: i soli ad avere un unico passaporto, infatti, sono gli ebrei arabi e i Palestinesi israeliani. Avere due passaporti significa sicurezza e il privilegio di scegliere
Riconosce che pur essendo il conflitto  caratterizzato dalle differenze di classe non c’è lotta di classe; ma lui guarda piuttosto alla trasformazione del territorio dal Mediterraneo al Giordano.controllato da Israele in uno stato unico, che porterebbe un beneficio anche agli
immigrati russi e dei sefarditi, discriminati economicamente e culturalmente.”Nel sionismo la sicurezza è un’opinione. La guerra del Libano ha colpito i sefarditi, quelli che non meritano sicurezza sociale. Il potere economico è nelle mani di 18 famiglie askhenazi.
Afferma che il concetto di stato fa parte della storia europea ed è estraneo sia in Israele sia in Palestina. (In Israele si confondono i concetti di terra, paese, stato). C’è un doppio sistema di educazione: nei manuali scolastici la storia è la storia degli ebrei in Europa. I sefarditi invece hanno soltanto la tradizione, “la musica, la danza, il couscous.” La storia degli ebrei arabi potrebbe davvero essere un’alternativa.

Nella seconda giornata si confrontano le lotte anticoloniali e i loro esiti diversi in tre paesi, Sudafrica, Pakistan e Irlanda del Nord, allo scopo di trarne delle lezioni per il futuro. Si discute poi di memoria condivisa e riconosciuta, dello stato unico nella percezione individuale e nella società civile, della necessità e delle possibili iniziative immediate per  fare avanzare la discussione sulle alternative alla soluzione dei due stati  Argomento sviluppato nella tavola rotonda che conclude il convegno.

Non c’è da stupirsi che il sostegno maggior  sostegno alla causa palestinese e alla campagna per il boicottaggio  di Israele venga da paesi come il Sudafrica  e l’Irlanda del Nord.
Louise Bethlehem 13) ripercorre la storia dell’ apartheid in Sudafrica e propone la lotta di liberazione da quel regime  come il modello da seguire per il movimento palestinese. L’African National Congress, sotto la guida di Mandela, aveva fin dall’inizio rifiutato qualsiasi forma di spartizione- caldeggiata invece dai  Black Nationalists- e, nonostante non sporadici episodi di violenza  aveva scelto una politica di negoziazione: “Il Sudafrica appartiene a tutti coloro che vivono nel paese.”
Dalle innegabili sofferenze  causate dalle Guerre Boere, gli Afrikaner hanno costruito un’ideologia di vittimizzazione permanente. Un’altra analogia con i sionisti è che entrambi avevano scelto come scenario territori già abitati  da popolazioni alle quali posero l’unica scelta di sottomettersi o sparire: Dio era dalla loro parte.[ Non è un caso che Israele abbia rotto l’embargo contro il Sudafrica e l’abbia aiutato a sviluppare le armi nucleari.]
Alla resistenza dei neri fu necessario alzare il costo dello status quo, cercando però di non infliggere alla popolazione bianca sofferenze tali da precludere ogni possibilità di riconciliazione: l’obiettivo essendo non le persone ma un sistema che negava a un popolo non solo i diritti umani, ma anche l’identità e la dignità, e condannava l’altro a un crescente isolamento, alla paura e alla corruzione morale 14).
La riconciliazione ha assunto forme originali- seguite poi anche in Ruanda- in cui la spinta a rompere il silenzio sia delle vittime, che hanno dovuto rivivere il loro dolore, sia degli oppressori sulle responsabilità individuali e collettive, ha restituito dignità alle une e ha obbligato  gli altri ad affrontare la responsabilità dei propri crimini senza alcuna indulgenza verso atteggiamenti del tipo “dimentichiamo il passato, cerchiamo ora di andare d’accordo”
Bethlehm ammette che ci sono  gravi difficoltà nel paese, disparità sociale ed economica e violenza soprattutto,  in parte eredità del periodo dell’apartheid. A proposito della violenza cita Derrida. Uno stato unico, laico e democratico  è una forma radicale di ospitalità.

Kathleen O’Connell è attivista della Ireland-Palestine Solidarity Campaign. “Tutti i colonialismi si assomigliano pur nelle loro specificità” dice ed evidenzia gli elementi comuni della situazione nord irlandese di prima del 1998 e di quella palestinese: le leggi draconiane che non erano in uso né in Gran Bretagna, né in Israele; il coprifuoco;l’internamento di massa; la tortura. Lo scontro religioso fu imposto dagli Inglesi. Ricorda la campagna dei repubblicani per lo sciopero della fame dei detenuti politici. Le politiche che hanno avuto successo sono state la ricerca del sostegno internazionale (determinante quello degli USA) e la scelta finale dell’IRA di abbandonare la lotta armata  in favore della lotta per i diritti civili. Alla fine l’esercito ha dovuto ammettere di non poter sconfiggere con le armi la resistenza popolare. Negli anni 90 neanche nel Nord Irlanda si intravvedeva alcuna soluzione interna . Nel 1998 però si arrivò agli accordi di pace: grande euforia in campo repubblicano- si sperava addirittura di poter abolire il confine tra le due Irlande- , più tiepidi invece gli unionisti che, come i sionisti, sono incapaci di riconoscere i crimini commessi. “Le difficoltà incontrate dai  repubblicani sono le stesse che hanno di fronte i sostenitori dello stato unico in Israele-Palestina.”

Sumantra Bose 15) ci parla della spartizione del subcontinente indiano tra India e Pakistan, che è dello stesso anno di quella della Palestina mandataria. Anche in questo caso lo scontro  di religione fu fomentato dagli Inglesi che avevano praticato la politica del  “divide et impera”- soprattutto con l’applicazione di leggi diverse per le due comunità- fu un pretesto, come ha dimostrato in seguito la separazione  del Bangladesh dal Pakistan.
Perché hanno fallito le politiche progressiste alternative alla spartizione? I motivi sono due e sono interconnessi: la violenza sul terreno che avvelenò i rapporti tra hindu e musulmani, e la mancanza di un sostegno popolare. La spartizione specie su base etnica – costata circa un milione di morti soltanto nei primi giorni- lascia sempre delle ferite difficilmente rimarginabili ed è causa di futuri attriti territoriali: non porta alla stabilizzazione. La questione è: si può disfare la spartizione?
Bose accentua l’importanza delle minoranze che meritano attenzione perché possono essere un ponte per creare legami tra stati sovrani e conclude auspicando la Carta delle Libertà degli Stati Uniti di Palestina.

Le riflessioni del moderatore, Abunimah ,riguardano le lezioni che dal passato si possono trarre per pensare al futuro:in Sudafrica e in Ulster il movimento di resistenza nazionale ha avuto la capacità opporsi alla spartizione del paese. Lo Shin Fein pensava all’Irlanda come a uno stato unico. Anche la Palestina va pensata come un tutto  cui tutti possono partecipare. E l’Irlanda resta una domanda aperta.

 
  
La tavola rotonda che segue, con numerosi  interventi del pubblico, è molto animata , uno scambio ricco di idee, assume quasi il carattere del brain storming: Sivan rimarca l’importanza di pensare insieme “siamo creativi,[…], si va dal lavoro sul terreno di Bronstein al volare alto di Pappe. tiriamo fuori anche idee un po’ folli…Siamo quelli che creeranno un dizionario..”.
Il modello di pacificazione e riconciliazione è indicato nel Sudafrica, ma viene espresso il dubbio se sia possibile attuarlo. Se ne individuano i pregi e anche le differenze con la situazione della Palestina: l’importanza di avere informazioni sui crimini individuali per rompere il silenzio e superare il difficile blocco psicologico- cosa che non  ha significato  chiudere i conti né una catarsi.[E’ forse un processo questo che evita di avere due narrazioni? ]
In Sudafrica le due forze in campo erano l’una di fronte all’altra, mentre nel conflitto israelo-palestinese sono molti i “mediatori” che hanno le mani in pasta a livello locale, regionale e internazionale: la diaspora ebraica e i sostenitori delle radici “giudaico-cristiane”, l’imperialismo.Un elemento determinante è stata la sconfitta militare  subita nel conflitto con l’Angola, così come le pressioni esterne  con le sanzioni. Ma anche l’apartheid israeliana può essere sconfitta militarmente, con la pressione interna e con la pressione esterna (BDS).

Il tema del diritto al ritorno-così come la questione dei prigionieri politici e la tragica situazione di Gaza-è sempre in primo piano, ma nessuno lo sostiene con la passione e il rigore  di Eitan Bronstein 16), fondatore, nel 2001,di Zochrot che significa “ricordando”-e finalmente non è soltanto la memoria del male subito ma viene ricordato quello perpetrato.”il diritto al ritorno è sacro, le modalità sono negoziabili […], non esiste un solo modello” Eitan ci illustra anche con dei filmati le attività di Zochrot, che oltre a pubblicare una rivista di ottimo livello, favorisce l’incontro di Israeliani con i profughi interni, ma anche –a distanza,naturalmente-con quelli in Libano. Organizza visite ai villaggi palestinesi distrutti  nel 1948 dove ora sorgono moshavim e kibbutzim. Sono proprio i racconti personali a dare la dimensione realistica degli atteggiamenti pubblici riguardo allo stato unico e a indicare le difficoltà ma anche le opportunità per promuovere  questa linea di pensiero nelle organizzazioni delle diverse comunità.

Rajàa Omari 17) : I palestinesi hanno la loro questione ebraica e parte della questione ebraica europea. A Madrid noi [Palestinesi israeliani], siamo stati l’agnello sacrificale: un processo di israelizzazione è diventato questione arabo-israeliana. Abbiamo passato venti anni a chiedere l’uguaglianza. Dal ’91 al 2000 non c’è stato un  movimento per  i profughi che sono spariti dai media perché non rientravano nel “processo di pace” . “I profughi del ‘48 hanno praticato la propria identità in casa, pregando cinque volte al giorno, e cinque volte al giorno maledicendo i leader arabi”. E’ anche molto dura sul diritto degli ebrei che secondo lei va negoziato:”non sono una nazione, sono una  popolazione, un gruppo  in una regione araba …Oggi il fascismo è così diffuso in Israele che è pericoloso parlare arabo per la strada.

Sivan: La narrazione delle vittime è la narrazione di ogni costruzione dello stato. Cita Leibowitz: Niente di più facile che definirsi in rapporto a quello che gli altri ci hanno fatto. Siamo così dispensati da ogni esame di coscienza e dal chiederci: chi siamo noi?
Riprende poi il tema della memoria che gli è caro, e sulla scia di Todorov, osserva come  di fronte alla memoria  ci si debba chiedere che cosa si lascia nell’oscurità. La memoria è uso.
E sul sionismo dice che comportarsi da sionisti paga. E’ un virus che contamina. Bisogna desionizzare il mondo arabo , l’Europa; aggiunge che ci sono più sionisti fuori di Israele, per esempio fra i giovani Americani, che in Israele stesso. Il fallimento del sionismo: ha reso Israele l’unico luogo al  mondo  dove oggi gli ebrei sono in pericolo.La soluzione di uno stato è contro il sionismo, è un progetto per una società che possa separare il sionismo dallo stato d’Israele. Tra coloro che si oppongono più alacremente allo stato unico, Sivan prende di mira soprattutto il gruppo ufficiale di Fatah e i sionisti di sinistra-“i veri nemici” li definisce.
In quanto agli Europei, invece di impegnarsi nella solidarietà  dovrebbero rendere centrale  l’assunzione della responsabilità. La Nakba è palestinese, la responsabilità è nostra.
 
Pappe non si stanca di ripetere che siamo a una svolta cruciale per incanalare le nostre energie e fermare  il genocidio a Gaza e la pulizia etnica in Palestina. Dobbiamo coordinare le nostre forze, noi, Palestinesi e Israeliani. Un appello appassionato che si conclude con un’immagine trascinante-il vento che muove la ruota[…] La spartizione sostenuta da tutte le potenze è stata un fallimento totale.
Si passa dall’opposizione alla proposta:
   Impegno per Gaza.
   Che cosa fare, da domani, nel luogo dove vivo?
   Stabilire una rete permanente degli attivisti.
Impegno di attivismo: questo è stato il primo passo di una lunga strada che impegna tutti: si può colpire Israele in ogni area. Boicottaggio accademico:In 25 anni il progetto di Israele ha avuto l’appoggio accademico internazionale   Israele deve essere delegittimato e fatto uscire dal mito. Iniziare forme di boicottaggio- siamo tutte/i consumatori e possiamo boicottare i prodotti e quei gruppi professionali che sono alleati con la politica del governo israeliano- o richiesta di sanzioni o rescissioni di accordi militari;
Israele riceve immensi aiuti  in campo medico e scientifico Fare pressione a livello locale.
Importante l’approccio psicologico.
Persuadere il movimento di solidarietà a indirizzarsi verso la soluzione dello stato unico.
Come ottenere l’accesso ai media, tra quelli arabi Al Jazeera.
Come trasformiamo la lingua. Il conflitto è semplice: Israele ha depredato una casa arredata di tutto punto, non è un conflitto tra Israeliani e Palestinesi, è colonialismo   
Dedicarci all’approfondimento teorico – che cosa significa uno stato?
Costituire dei corpi di studiosi internazionali per studiare le leggi
Vengono messi in luce  i punti qualificanti, soprattutto l’aver riportato in primo piano i profughi, cancellati dal “processo di pace”.

Al termine del convegno viene distribuito un documento elaborato dallo One State Group, una possibile risoluzione dell’ONU, che costituisce la bozza di un primo programma dello stato unico da discutere e sottoporre a persone di rilievo.
E’ su questa nota alta che si chiude un convegno che  ci sembra possa aprire molte discussioni anche da noi.

Note

(1) Medico. Exeter University:Istituto di Studi Arabi e Islamici.. Consulente della A.N.P. per l’informazione. Autrice di: In Search of Fatima: A Palestinian Story,2002 e di   Married to Another Man: Israel’s Dilemma in Palestine. 2007

(2) East London University. Regista di film quali Lo specialista (1999); Route 181. Ha lasciato la Francia dopo  le accuse di antisemitismo specie da parte di Finkelkraut.

(3) Storico. Ha dovuto lasciare il dipartimento di scienze politiche di Haifa per il clima ormai insostenibile nei suoi confronti. Da quest’anno insegna all’Università di Exeter. Tra le sue opere più conosciute: A History of Modern Palestine, 1999 e The Ethnic Cleansing of Palestine, 2006.

 (4) Ali Abunimah, University of Chicago. Ha contribuito a creare il website Electronic Intifada.

(5) Università di Haifa. Ha studiato le istituzioni dei paesi a base etnica

(6) University of Massachussets-Boston.Ha lavorato per l’OECD a Parigi. Scrive di economia

(7) a questo proposito Karmi aveva scritto sul Guardian del 31 dic. 2006, With no Palestinian State in sight aid becomes an adjunct to occupation,che l’occupazione israeliana è destinata a continuare fin tanto che i paesi donatori sono disposti a sottoscriverla. Il silenzio della comunità internazionale di fronte ai crimini israeliani e la loro disponibilità a ripulire le macerie dopo i misfatti, non accompagnata da pressioni efficaci su Israele, prolunga, non allevia le loro sofferenze. C’è da aggiungere che , secondo la quarta convenzione di Ginevra tocca al paese occupante provvedere alle necessità della popolazione occupata. Nel caso in questione, sono invece i paesi donatori a pagare il costo dell’occupazione israeliana.

(8) Naomi Klein in  Laboratory for a Fortressed World The Nation. July 2, 2007, spiega il boom economico israeliano con la riconversione della sua industria nella produzione di dispositivi di difesa  sperimentati nei territori occupati palestinesi: Israele ha raggiunto il quarto posto nell’esportazioni delle armi e rifornisce molti paesi che “spiano, ascoltano, contengono, prendono di mira.” Un enorme laboratorio dove i Palestinesi “non sono più semplicemente obiettivi da colpire. Sono cavie.”  Israele è riuscita a volgere la guerra infinita al terrore in marchio di fabbrica in attivo. E le sue “aziende esportano  con alacrità quel modello nel mondo”

(9)Ben Gurion University, Beer Sheva; autore di The Censor, the Editor, and the Text.

(10) George Mason University; autore di Palestinian Citizens in an Ethnic Jewish State: Identities in Conflict.

(11) In One Country: A Bold Propoal to End the Israeli-Palestinian Impasse. (2oo6), Ali Abunimah scrive :”Se è paradossalmente ingiusto che sia la vittima a rassicurare i persecutori[…] è un fatto che l’oppresso spesso deve mostrare all’oppressore una via d’uscita dal tunnel che egli stesso ha scavato” Cfr Lacan:”L’Altro rimanda i al mittente il suo messaggio in forma invertita...

(12)Attivista politico, ha contribuito a fondare la Campagna Palestinese per il Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele. Laureato in ingegneria alla Columbia University E’ anche coreografo.

(13) Cultural Studies at the Hebrew University, Jerusalem: Ha al suo attivo molte pubblicazioni sulla cultura sudafricana, la teoria postcoloniale e di genere. Attivista per la pace , lavora anche per Zochorot.

(14)Gaza è un lager e la West Bank una prigione a cielo aperto. E quello che tiene insieme Israele, la più grande gated community, con tutte le sue innumerevoli suddivisioni interne, non è proprio la paura del nemico?

(15) London School of Economics: Autore di Contested Lands: Israel-Palestine, Kashmir, Bosnia, Cyprus and Sri Lanka, 2007.

(16) Arrestato tre volte per essersi rifiutato di combattere nella prima guerra del Libano e di fare il servizio militare nella West Bank durante l’Intifadah. Ha studiato alla Bar Ilan University. Ha lavorato a progetti concernenti l’educazione alla pace.

(17) Insegnante. Attivista politica. Membro dell’associazione ASRA per il diritto al ritorno.

 

1-02-2008

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