Sogni e incubi del 15 settembre 2001

di Luciana Percovich

Milano, 15 settembre 2001

Il Tempo di Sogno è nei racconti di creazione australiani il tempo in cui il mondo ha iniziato ad esistere: quando le antenate e gli antenati mitici hanno cominciato a dare contorni, forme e nomi allo spazio, al buio, alla materia dando liberamente ascolto al desiderio che ardeva dentro di loro come un fuoco, nella dimensione senza limiti del tempo che ancora non aveva misura, dello spazio che ancora non aveva confini.

Da allora sempre la creazione ha potuto andare avanti solo rimettendo in moto quello stesso processo, anche se calato nel mondo finito di questo universo: i nostri sogni, i sogni condivisi, i sogni lasciati in eredità ai figli e alle figlie sono stati il lievito che ha dato forma ai progetti - affettivi, sociali, religiosi, politici…..Le utopie grandi e piccole, individuali e collettive sono state le molle, le linee di forza su cui ciò che ancora non esisteva (se non come sogno) prendeva forma e nome nel reale. Libertà, fraternità, uguaglianza. "Ho avuto un sogno…".

Ma le donne da lungo tempo hanno smesso di sognare.
Hanno delegato all’uomo la più sacra essenza dell’umano, quella che ci rende uomini e donne. In assenza di un limite ai loro sogni, un po’ alla volta anche gli uomini hanno smesso di sognare e hanno invece cominciato a produrre a ritmo sempre più serrato e parossistico incubi e mostri.
Con il supporto delle tecnologie inventate inseguendo il sogno di creare una realtà tutta artificiale e mentale eliminando per sempre la terra, l’utero, le relazioni affettive e tra corpi vivi questi sogni fasulli e questi incubi reali - costantemente proiettati dentro le menti di una parte sempre più ampia del pianeta attraverso le immagini martellanti e ripetute dei film, della televisione, della stampa, delle fotografie, dei videogiochi - si sono per un momento sovrapposti alla realtà, mostrandoci per un attimo la verità della nostra condizione. Le Torri sono crollate, rivelando il vuoto che coprivano riempito di pesante polvere e cenere avvelenata.

No future è stato il logo degli ultimi trent’anni. Il mondo ha vissuto senza futuro, nei campi profughi, nelle mattanze tribali e tecnologiche, nella disperazione e nell’ingiustizia. Anche i morti sono di serie A e B.
Incubi e mostri hanno forgiato il nostro presente: stiamo vivendo gli strani giorni in cui il risveglio non è dall’incubo ma nell’incubo fattosi realtà.

Marge Piercy in Cybergolem, (Eleuthera), scritto nel 1991, immagina la Terra sopravvissuta alla "Guerra dei Quindici Giorni, scatenata da un terrorista che con un ordigno nucleare aveva cancellato dalle carte geografiche la città di Gerusalemme. C’era stata una conflagrazioni di armi biologiche, chimiche e nucleari che avevano provocato l’incendio dei pozzi petroliferi distruggendo l’intera regione medio-orientale…..."

Ma in Sul Filo del Tempo, del 1976, ci aveva già mostrato attraverso un’altra storia come ogni piccola azione del quotidiano, la più irrilevante o apparentemente circoscritta, dà forza a uno dei possibili futuri, all’incubo più nero come all’utopia più luminosa. Ed è la somma, la massa critica di miliardi di insignificanti comportamenti che rivelano qual è il "sogno" che ognuno si porta dentro.

Immaginare futuri e l’impatto che ogni nostro gesto può avere sul futuro possibile è il compito che oggi con più forza dobbiamo praticare, perché nei momenti di forte accelerazione dei conflitti ci si trova in quei particolari snodi da cui si aprono contemporaneamente diverse vie d’uscita. L’evoluzione nell’universo procede per "catastrofi", a salti, e non seguendo un moto uniforme e rettilineo. In questi momenti la presa di coscienza di ciascuno può compiere un gigantesco balzo, crescere in un istante come non ha fatto in cent’anni. Non possiamo perdere questa occasione che si pone ora a noi tutti in questo ciclo della storia di questo pianeta.