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 Molte 
          donne rivelano spesso nella quotidianità atteggiamenti e/o comportamenti 
          ambivalenti e contraddittori nei confronti dei soldi, per eccesso o 
          per difetto di attenzione, anche se poi nel lavoro si dimostrano efficienti 
          amministratrici finanziarie. Qualche esempio: qualche tempo fa, nel 
          corso di una Assemblea, la Presidente di un'Associazione femminile alla 
          perenne e faticosa ricerca di finanziamenti che permettano lo svolgersi 
          delle attività, ha dichiarato: "Meno male che siamo povere, 
          se no guai!", dando per scontato un inevitabile inquinamento delle 
          relazioni tra le socie, peraltro tutte volontarie, provocato da un eventuale, 
          e sempre sperato, afflusso di soldi; donne, anche manager, mi hanno 
          confermato che a volte si confondono nel compilare assegni cospicui 
          nel privato, quando nel lavoro sono ineccepibili; altre delegano a uomini 
          di fiducia, anche se con competenze finanziarie pari alle loro, la gestione 
          di somme personali da investire. Ho inoltre riscontrato, anche in prima 
          persona, una punta di imbarazzo in alcune professioniste al momento 
          di richiedere il pagamento delle parcelle, qualcuna mi ha confessato 
          di aver lasciato perdere in qualche caso, dopo una prima richiesta andata 
          a vuoto.   
        A questi comportamenti è da aggiungere la frequente contrapposizione tra attività "gratuite", dettate da nobili sentimenti (amicizia, affetto, amore) e altre della stessa natura, ma un po' svilite, se motivate dal desiderio/necessità di guadagno; come se si temesse, mostrando interesse, pur legittimo, ai soldi nel campo delle attività di "cura" (assistenza sanitaria, psicologica, legale, educativa), di deludere le aspettative sociali, smentendo una qualità ritenuta propria delle donne: la tendenza all'oblatività, all'offerta gratuita e "disinteressata". "Sono 
          soldi i soldi?" (Gertrude Stein) Il discorso chiama in causa le varie forme, gradi e livelli di poteri e contropoteri giocati nei rapporti tra donne, e tra donne e uomini, in un società in cui il denaro, oltre a costituire una delle principali risorse di vita, è lo strumento fondamentale di mediazione materiale e simbolica nelle relazioni sociali, misura del valore di ogni realtà. Mi preme qui mettere a fuoco due aspetti, tra i tanti implicati, in cui si articola la questione, in riferimento alle parole chiave: autonomia/dipendenza, soldi/sessualità. L'inerzia 
          delle fantasie La 
          forza di inerzia del modello dominante prolunga certe posizioni mentali, 
          anche quando vengono meno le condizioni materiali che l' hanno prodotto. Questa condanna sociale, con un'operazione di estensione a tutti gli aspetti della vita delle donne, ha costituito per secoli una minaccia, in presenza di una codificazione dei ruoli sessuali (scalfita sì, oggi, ma non ancora completamente demolita), secondo la quale le donne sono considerate prima di tutto in relazione al loro sesso, e alle funzioni socialmente diversificate che storicamente ne derivano. Si comprende in tal modo l'origine dell' "insulto di genere" per eccellenza, rivolto alle donne e profondamente inscritto nella lingua, così da dar vita ad automatismi linguistici e quindi di pensiero: qualunque sventatezza, ingiustizia, errore, cattiveria compia una donna, di qualunque età, professione e stato sociale, la prima ingiuria che si sente rivolgere, sotto l'urgenza della collera è "puttana", e questo indifferentemente sia da uomini che da donne. Un fantasma potentemente attivo, dunque, il fantasma della prostituzione, orienta molti degli atteggiamenti e determina parecchi comportamenti ambigui rispetto ai soldi, anche nelle donne più avvertite e consapevoli, inducendo in molte la sensazione che mostrarsi interessate ai soldi, o peggio, tanto ai soldi quanto ai sentimenti, faccia nascere il sospetto di essere disponibili a scambiare sesso contro denaro, per necessità, o peggio per "vizio". Questo articolo è apparso sulla rivista online Golem 
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