Sorelle Mai

di Claudia Morgoglione

 


 
 
Film intimista e low budget diretto da Marco Bellocchio. Non un documentario, come lui tiene a sottolineare: una sorta di finto reality cinematografico che segue, romanzandole, le vicende della sua famiglia e soprattutto delle sue componenti femminili. Non ci sono però solo parenti, visto che parliamo di un'opera che è e vuole essere di finzione: il cast comprende attrici come Donatella Finocchiaro e Alba Rohrwacher.

Una pellicola a cui l'autore tiene moltissimo. E che è stata già apprezzata all'utima Mostra di Venezia. "Un film irripetibile - spiega Bellocchio, alla conferenza stampa di presentazione - fuori dal conformismo delle forme, oggi di grande successo. Può definirsi un film rivoluzionario in un presente in cui mi preoccupa molto la sorte dei giovani registi, destinati a trovare soldi solo per determinati progetti. Per me è diverso, ma per loro?". Diverso, ma fino a un certo punto: lui stesso non moto tempo fa ha denunciato di non riuscire a trovare i finanziamenti per un progetto a cui tiene molto, Italia mia, sul potere nel nostro Paese. "Ma non ci rinuncio" precisa adesso, col suo solito fare battagliero.

Torniamo a Sorelle Mai. Opera che nasce dall'esperienza del regista come direttore del corso di Fare cinema a Bobbio, città del piacentino dove è nato e dove girò nel 1965 la sua opera prima che lasciò subito il segno, I pugni in tasca. Lungo un arco temporale che va dal 1999 al 2008, diviso in sei episodi, vediamo tre generazioni a confronto della famiglia Mai: due ottuagenarie (Letizia e Maria Luisa Bellocchio, sorelle di Marco); Giorgio (Pier Giorgio Bellocchio, suo figlio); la piccola Elena (Elena Bellocchio), figlia di Sara (Donatella Finocchiaro), che vediamo crescere nel film...

E' chiaro dunque che si tratta di una pellicola in cui realtà e finzione cinematografica si intrecciano. Come Bellocchio conferma: "Il cognome della famiglia nel film, Mai, è di fantasia; ma allude anche a quella trappola che per le due sorelle è stata la famiglia, senza avere avuto la possibilità di una vita autonoma. Sono rimaste sempre in casa, come certe signorine dell'Ottocento. Io che sono più giovane non ho responsabilità oggettive di questa loro prigionia, ma sento ugualmente una certa tristezza. E tanto affetto". Risultato: un'opera intimista, e soprattutto personale. Un lusso che il regista, forte del suo tocco d'autore, si è voluto e potuto concedere: "Fare un film per il piacere di farlo, che non abbia come scopo il botteghino, oggi è quasi impossibile - conlude lui - prima di ritirarmi spero di poter fare ancora bei film".