Anna Salter, Predatori

di Barbara Spinelli

C’è una abbondante letteratura sulle vittime di abusi sessuali. Al contrario, poco si sa del criminale sessuale, figura che dai tempi di Jack lo Squartatore in poi viene identificata in un essere abbietto ed emarginato, con una sessualità deviata, che cerca le sue vittime tra orfani e prostitute. Ancora oggi, è diffusa la paura del violentatore straniero appostato nella strada di periferia, degli zingari ladri di bambini.

Eppure, le statistiche evidenziano che la maggior parte delle violenze sessuali su donne e bambini è opera di familiari e conoscenti. È proprio grazie alla credibilità sociale di cui godono questi «insospettabili» criminali che riescono a carpire la confidenza delle vittime, e ad abusarne sessualmente, spesso rimanendo impuniti. «L’assassino sa come farsi aprire la porta dalle donne », spiega Anna Salter, psicologa americana con venti anni di esperienza nel trattamento di criminali sessuali.
Nel suo libro, li chiama «Predatori»: perché non si tratta di malati, ma di persone intelligenti, autentici professionisti della bugia, che scelgono le vittime con cura, intessendo relazioni fatte di segreti e di inganni, fino a ottenerne il controllo psicologico. Così possono assicurarsi l’impunità e la possibilità di reiterare i crimini nel tempo, anche nei confronti di più vittime. Sanno che la loro libertà dipende dalla loro credibilità, per questo, a parte la loro propensione alle molestie, sono amici fedeli, bravi dipendenti e coscienziosi membri della società.

La strategia del «bravo ragazzo» paga: la probabilità di essere arrestati per un reato sessuale è meno del 5 %, e scende se si parla di reati contro i bambini, perché spesso le segnalazioni fatte dal minore ai genitori o ai servizi non vengono prese in considerazione. Anche molte perizie psichiatriche basano l’analisi su classici pregiudizi, facendo disperdere le prove: partendo dal presupposto che stupratori, pedofili, assassini, debbano essere individui brutali, si tende a valorizzare la gentilezza del soggetto, il bel rapporto che lo legava alla presunta vittima.
Il rischio dell’approccio psicologico è lo spostamento e la negazione della responsabilità: è ancora viva la propensione a giustificare le molestie attribuendo la responsabilità alle vittime «collaborative», come il bambino che seduce, la ragazza che si lascia sedurre (Abraham, Bender, Mirkin), o che è gratificata dallo stupro incestuoso del padre (Weiner).

La Salter è netta nella sua analisi: la violenza sessuale non parte mai da un «eccesso d’amore», rappresenta sempre la scelta pianificata del criminale di trarre per sé la massima gratificazione da una relazione di fiducia e confidenza, che si è costruito ad hoc. Non si può pensare a una «riabilitazione» di chi compie crimini sessuali: le statistiche mostrano che, anche dopo la terapia più efficace, sessanta criminali sessuali su cento tornano a delinquere nel breve termine, molti di più nel lungo termine.

Questo perché, spiega la Salter, per ogni criminale sessuale «il controllo del comportamento sessualmente violento è uno sforzo da applicare anche per tutta la vita». Ma anche il carcere non paga, anzi, diventa luogo di ideazione di nuove fantasie.
È il dominio simbolico del patriarcato infatti, attraverso una cultura pornografica fallocentrica, a consentire il moltiplicarsi di criminali sessuali: se non si scardinano le dinamiche predatorie di controllo alla base di questa concezione, diventa difficile pensare soltanto a come proteggere le prede.

Di questo dovrebbe tener conto anche il nostro legislatore, che, nel disegno di legge sugli atti persecutori, introduce la possibilità di programmi di riabilitazione per i condannati, ma nulla dice sul come prevenire gli episodi di persecuzione, non riconoscendo che alla base di questi c’è proprio la volontà di controllo da parte dell’ex partner sulla donna, anche dopo la fine di una relazione.



Anna Salter, Predatori,
Elliot, 2009, pagg. 350, 17 euro

 

da "Le Monde diplomatique" gennaio 2009

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