Racconti da Stoccolma

di Natalia Aspesi

 

 

 

Sono giorni questi in Italia, in cui eventi drammatici come lo stupro e l´accoltellamento di una ragazza a Roma da parte di un rumeno sta infiammando la campagna per l´elezione del sindaco (molto meno eco hanno assassini e stupri di ragazze avvenuti nel Lecchese, a Milano, a Firenze); e improvvisamente c´è un gran daffare a proporre soluzioni rigorose per attribuirsi il merito di sapere come cancellare la paura della gente, come rassicurarla, come difenderla.

Misure confuse e anche azzardate, che partono dall´incongrua ma anche ipocrita certezza che le violenze contro le donne avvengano sempre in strada, sempre di notte, sempre in luoghi isolati, sempre da parte di stranieri criminali. Ma non è così, e ce lo mostra un bel film svedese, Racconti da Stoccolma, ispirato a fatti realmente avvenuti. Nella tollerante e paritaria Svezia.

Ognuno dei tre episodi può suscitare una domanda legata ai provvedimenti suggeriti in Italia e alla voglia di Tolleranza Zero verso gli stranieri, richiesta da molti. Le ronde più o meno padane avrebbero potuto salvare una moglie dalle continue botte selvagge, in casa, da parte del marito? Avrebbe indossato il bracciale antistupro la inconsapevole ragazza immigrata immolata per l´onore della famiglia? Nuove più severe misure di sicurezza, che dicono già essere molto dure in Svezia, avrebbero impedito a un gruppo di balordi svedesi, di ferire il buttafuori svedese di un ristorante alla moda e di minacciare di morte il proprietario svedese che li aveva visti in faccia? Quest´ultimo episodio, tutto maschile, criminali maschi, vittime maschi, pare alieno rispetto alle promesse di futura sicurezza di cui si discute accesamente da noi, che paiono riferirsi solo alle donne, come se gli uomini in quanto tali, se non violentatori, sapessero sempre cavarsela.

La Svezia sembra un paese staccato dal mondo perché capita raramente che le nostre cronache se ne occupino, così si continua a supporre che si tratti di un paese di massima democrazia, dove lo Stato pensa a tutto e tutti stanno bene, pacificamente. Poi arriva un film di quelli di cui non si sa nulla, bravi attori a noi sconosciuti, regista Anders Nilssen, 45, anni noto solo a rari cinefili, che ci svela altre verità.

Racconti da Stoccolma, premio Amnesty International al Festival di Berlino 2007, è fatto di storie di violenza anche atroce, quotidiana, segreta, che forse non verrà mai denunciata, tra gente che pare per bene, e che potrebbe avvenire, avviene ovunque, anche in Padania. È a Gardone Val Trompia che viveva Hina Saleem, immigrata pakistana, che voleva la libertà di amare un ragazzo italiano. Il padre e due zii l´hanno ammazzata nell´agosto 2006 e gli assassini si sono presi trent´anni. È a Stoccolma che vivono Nina e Leyla, due sorelle che si vogliono bene, dentro una grande famiglia patriarcale di lavoratori benestanti, venuta dal Medioriente: le ragazze sembrano integrate, frequentano il liceo, vestono come tutte le coetanee, scherzano con i compagni, si sentono come loro.

Ma non è così: il padre sospetta da una telefonata che Nina abbia un ragazzo, un disonore intollerabile che richiede un consiglio di famiglia. La decisione è presa: Nina scappa ma poi la convincono a tornare premiandola con una bella gita in Germania. Ci sono tutti i parenti, una folla di maschi, e anche la nonna che tutti comanda. È lei che per la notte ha prenotato un albergo su un´autostrada trafficatissima: Nina si troverà in mezzo, spinta come una palla da ping pong dai parenti schierati sui bordi della strada. È una scena lunga, atroce, il delitto dovrà sembrare un suicidio. Fatto vero, ispirato da un rapporto di polizia: forse per non essere colpiti tutti quanti da sanguinose Fatwa, la famiglia del film non è musulmana ma cristiana.

La storia di Carina è molto simile a quella di una nota giornalista svedese, Maria Carlshanze, diventata poi europarlamentare. Carina e suo marito Hakan lavorano insieme come giornalista e operatore per una televisione, ma il premio dell´anno per i loro reportage di guerra va solo a lei, che si dimentica di ringraziare lui per la sua collaborazione. A casa, lui pazzo di gelosia professionale, fa quello che fa sempre, la picchia selvaggiamente, le rimprovera di non saper curare i figli, la umilia: «Tu non sei intelligente, non sei niente, sei solo un buco in cui in tanti si vogliono ficcare». Finirà in galera (la madre che sta dalla parte della nuora è la bergmaniana Bibi Anderson) ma lei non potrà raccontare la sua odissea di moglie alla televisione, perché il garantismo svedese non lo consente.

Amnesty International nel suo rapporto 2006 sulla violenza in Italia dice che la famiglia è il luogo più a rischio per una donna: molto più della strada più o meno deserta, della notte, della solitudine. Su 10 omicidi, 7 sono perpetrati da genitori, fratelli, mariti, partner. 5 italiane su cento hanno subito uno stupro o un tentativo di stupro: autore 70 volte su 100 il partner, 6 volte su 100 uno sconosciuto, per il resto amici o colleghi. L´ultimo rapporto di Amnesty International in Svezia intitolato spicciamente "La violenza degli uomini sulle donne nelle relazioni intime" segnala anche là casi di violenza in famiglia, sia pure meno frequenti che da noi e che nessuna classe sociale ne è risparmiata, né tra supericchi, né tra supercolti. I comuni, sollecitati a prendere provvedimenti, hanno per la maggioranza risposto di non ritenere il problema prioritario.

Ora bisognerebbe chiedersi se le giuste e sempre in ritardo iniziative legislative che saranno prese per proteggere le donne (e non solo) dalle violenze fuori casa, verranno estese anche dentro casa: ronde che a sorpresa irrompono nelle case considerate a rischio, immigrate provviste di braccialetto da usare se il padre tenta di squartarle; bisogna poi vedere se qualcuno risponde.

 

Articolo pubblicato su La Repubblica del 23-04-08

24-04-08

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