Strage di tessili in Bangladesh
Muoiono almeno 65 lavoratrici nell'incendio di una fabbrica.
Non possono fuggire, le porte sono bloccate. Molte fanno una terribile fine gettandosi dall'alto.
Si ripete la storia dell'8 marzo
di MAURIZIO GALVANI


Jeanne Hebuterne

L'ultimo bilancio parla di 65 morti e 88 feriti, ma il macabro conto può essere destinato a salire visto che sotto le macerie della fabbrica tessile della di Chittagong, nella zona centrale di Bangladesh, sono rimaste intrappolate la maggior parte delle operaie e degli operai (sembra circa 500 dipendenti) che stavano lavorando, in quel momento, nell'impresa di proprietà della K.T.S Textile Mills. Le prime ipotesi attribuiscono allo scoppio di un radiatore la causa dell'incendio e della sua diffusione.

La prima vera e sconcertante certezza pare essere che le lavoratrici e i lavoratori non siano potuti fuggire dalla porta o porte principali perché le stesse erano state bloccate dal proprietario. La morte, secondo le prime testimonianze, è stata terribile anche perché - per sfuggire alle fiamme - c'è chi si è buttato dalle finestre, dai piani più alti. Inoltre, i primi soccorritori e i medici del locale ospedale hanno riferito che molte persone, tra gli 88 feriti, versano in gravissime condizioni di salute e non si sa se ce la faranno a sopravvivere.

Nello stato del Bangladesh incidenti di questa natura non sono inconsueti. Si potrà aprire, anche in questo caso, la normale e consueta indagine ma è difficile pensare ed auspicare che le condizioni di lavoro muteranno, considerato che il settore tessile rappresenta l'85% delle entrate di questo piccolo paese a maggioranza mussulmana.

Le ultime stime (risalgono all'anno 2004) quantificano in 6 miliardi dollari il guadagno dall'export tessile; settore che, per lo più, si basa su salari bassi e sullo scarso potere contrattuale dei lavoratori. La situazione delle morti "violente" è diventata già da tempo endemica e, solo nel tessile, si contano - almeno dal 1999 - più di 350 decessi sul lavoro e ben 2500 persone rimaste gravemente infortunate per le stesse cause o per la mancanza di protezione.

E' tanto affermata l'"abitudine" a questi disastri che, anche ieri e giovedì, la stampa locale ha fornito all'inizio le cifre più bizzarre rispetto alla quantità delle morti (si è parlato che fossero appena dieci) e solo quando la rete televisiva locale Atnv ha dato notizie più precise si è dato conto della tragedia. Soprattutto del fatto che la K.T.S. Textile Mills è una impresa che occupa ben 1500 dipendenti e è non tra le più piccole, tra le circa 1500 imprese del settore. Oltretutto che la situazione lavorativa in tutta la regione di Chittagoing è molto simile a quella di questa fabbrica.

E' tra l'altro risaputo che in quella zona come nella fabbrica non operasse nessuna organizzazione sindacale; a fronte di una situazione occupazionale che è notevolmente peggiorata dopo il vertice di Doha del Wto (World trade organization) e l'ingresso cinese nell'organizzazione. Con l'entrata della Cina, è stata decretata la fine dell'accordo sulle Multifibre (1970) che "garantiva" i paesi più poveri, sulla base del fatto che il basso costo del lavoro serviva come strumento di protezionismo verso i paesi industrializzati.

L'incendio di Chittagong è avvenuto a pochi giorni dalla ricorrenza dell'otto marzo. Cambia lo scenario, ma rimangono le cause che provocano terribili incidenti per i quali sarebbe possibile almeno perseguire i colpevoli.

Nel 1908, a New York, le dipendenti dell'industria tessile Cotton iniziarono a protestare contro le condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero proseguì per diversi giorni finché l'8 marzo, il proprietario Johnson bloccò tutte le vie di uscita. Allo stabilimento venne appiccato il fuoco (si parlò anche allora di incendio accidentale) e le 125 operaie prigioniere all'interno non ebbero scampo.

 

il manifesto - 25 Febbraio 2006