Del perduto inverno

di Daniela Pastor

 

Non domandare – non è giusto saperlo – a me, a te
quale sorte abbian dato gli dei..
se molti inverni Giove ancor ti conceda
o ultimo questo che contro gli scogli fiacca le onde

– breve è la vita – rinuncia a speranze lontane. Parliamo
e fugge il tempo geloso: cogli l'attimo, non pensare a domani.

(Orazio)

 

Una volta, nei primi anni ‘90, il torneo di San Pietroburgo ricordava al tennis che la seconda settimana di marzo è ancora inverno. Per pochi, però: fra i top ten mondiali vi partecipava il solo Kafelnikov, numero uno russo, e poi c’erano giocatori di media classifica, svedesi e dell’est europeo. Nessuna tv lo trasmetteva  Gli highlights della CNN mostravano il livido interno azzurro di un palazzetto, con lo scarso pubblico dall’aria infreddolita, ma incuriosivano di più le scene di pesca sul ghiaccio organizzata per gli atleti, sorridenti e divertiti, almeno davanti all’obiettivo. Non ricordo se fosse il fiume Neva, un lago, o addirittura il Baltico gelato, tuttavia  la distesa bianca, i cappucci di pelo, gli scarponi, erano un’immagine insolita per il tennis, come una rappresentazione in chiave sportiva della fiaba tradizionale di quel Paese, con la Fata primavera che ritarda il suo arrivo perché non vuole lasciare Babbo Gelo e la figlia, la principessa della neve.

Ma anche nel nuovo millennio tutti i migliori tennisti (e le reti televisive) a marzo si spostano nel deserto californiano ad Indian Wells, un nome che agli amanti del western evoca tamburi lontani e duelli al sole, con lo sprezzante Herod-Gene Hackman  (in Pronti a Morire di Sam Raimi) che smaschera il “pistolero da fiera” prima di ucciderlo –Ma c’eri tu, in quella sparatoria a Indian Wells?- Chissà che cosa sarà stato questo luogo nel 1878, l’anno in cui è ambientato il film. Forse non esisteva ancora, o forse era già uno degli avamposti dove cercavano oblio o redenzione personaggi come Doc Hallyday e Camilla di Chiedi alla polvere di John Fante.
Oggi è un rifugio per ricchi pensionati: resort, piscine, campi da golf, e un gigantesco stadio del tennis (inferiore negli States solo all’Arthur Ashe di New York), una specie di monumento al deserto e alla giovinezza.
.“Non amo Indian Wells.” diceva “cavallo pazzo” Goran Ivanisevic, il croato campione di Wimbledon nel 2001 e ora ritiratosi, “Si incontrano solo vecchi che attendono di morire”.

I telespettatori ne hanno un’altra percezione. Il deserto, innanzi tutto. E’ descritto, avvertito, mai mostrato. Quando s’inquadra lo stadio dall’alto, scorgiamo le montagne sullo sfondo e il limite del centro abitato (edifici molto bassi, che paiono immersi nei green) con file di palme dietro alle quali i telecronisti  ci assicurano che comincia il deserto, di cui, però, non abbiamo mai visto nulla. E’una presenza incombente ma misteriosa, responsabile sempre di una notevole escursione termica fra il giorno e la notte, e spesso di un forte vento che  innervosisce i tennisti sconvolgendo le traiettorie della palla, per cui ogni anno ci sono risultati sorprendenti in questo torneo. Non vince il migliore, ma chi sa meglio giocare nel vento..
Dal primo match alle 11 ore locali (le nostre 20) fino al tramonto, le telecamere, nelle pause dei cambi di campo, indugiano sui volti dei giudici di linea, rugosi, quasi ispessiti e segnati dal sole, ma anche sulle spalle nude di ragazze che si abbronzano sugli spalti e su bambini con cartelli inneggianti ai loro campioni. Almeno in quelle due settimane di marzo allora, questo non è solo “un paese per vecchi”.

Nella sessione serale del torneo la notte scende all’improvviso sorprendendo anche noi  telespettatori che la ritroviamo, a volte, appena dopo uno stacco pubblicitario fra un match e l’altro. Il campo è naturalmente illuminato a giorno ma lo scenario è cambiato:  l’inquadratura di giovani e anziani, tutti in maglioni e giacche, stretti l’uno all’altro per dividersi le coperte sulle ginocchia, provoca strane suggestioni in chi, già verso l’alba in Italia,  segue il tennis tra il sonno e la veglia. Che Babbo Gelo e il Grande Spirito dei Pellerossa si siano incontrati lassù? Che il buio, il vento e il freddo sussurrino il giuramento dei capi  indiani cacciati dalle loro terre?:-Visi pallidi, noi torneremo di notte.-
Chissà invece che cosa avrà pensato Goran Ivanisevic tornando quest’anno a  Indian Wells.come coach del connazionale Marin Cilic. Si guarda diversamente questo luogo quando si è ormai pensionati del tennis, seppure a 38 anni? Per la cronaca,  Cilic non sa giocare nel vento, e in una sera di vera tempesta ha perso nervi e match, ed i due sono partiti per il prossimo torneo.
Chi invece, come me, resta sino a tarda notte per seguire in tv  le fasi finali di  Indian Wells si domanda se non sia proprio questo “paese per vecchi”  lo specchio della vita dei ventenni campioni della racchetta. Qui non é mai inverno, dieci mesi tra mite autunno e calda primavera,  più due di estate afosa. Anche dal circuito professionistico del tennis, almeno per i primi 50 del mondo, che partecipano solo ai grandi tornei, è stato eliminato l’inverno, ora che la tappa a San Pietroburgo  è  spostata  ad ottobre.

Il calendario tennistico è massacrante, copre quasi tutto l’anno, con un vuoto di  tre settimane a dicembre, ma è innaturale, non segue il ritmo biologico e le stagioni: all’estate succede la primavera,  poi un’altra estate, e si chiude a novembre,  tranne per i finalisti della coppa Davis che si disputa nel primo week end di dicembre, quando la maggior parte dei giocatori, però,. é già in  vacanza su spiagge lontane o nell’eterna primavera di Montecarlo, dove molti di loro risiedono.
Scorriamo rapidamente il giro del mondo dei tennisti: si comincia a giocare  il 30 dicembre nei tiepidi tardo pomeriggi del Qatar, a Doha, poi la torrida estate australiana e a febbraio quella un po’ più fresca  sudamericana . C’è anche una tappa nell’inverno europeo, a Marsiglia, ma  sappiamo tutti che già a fine gennaio sulla costa francese fioriscono i pruni, e se non soffia il Mistral, al vieux port si può mangiare la bouillabaisse nei ristoranti all’aperto. Si ritorna a sudare a Dubai, e a marzo, dopo Indian Wells, si assapora un altro anticipo d’estate a Key Biscaine, Miami. Poi c’è la primavera europea lungo la costa, da Montecarlo, a Barcellona, e nelle capitali, Roma, Parigi.e Londra. La lunga estate calda negli States, e in autunno, i palazzetti indoor europei e asiatici.

Manca quindi l’inverno nella  loro professione, il tempo che la natura si prende per riposarsi, raccogliere, proteggere il seme, e che dovrebbe corrispondere, idealmente, per l’uomo, anche all’ascolto del silenzio, alla riflessione.
Mi chiedo come  si sentano i campioni di tennis quando si ritirano, di solito intorno ai trent’anni.. Che effetto avrà su di loro riappropriarsi dell’inverno, dopo almeno dieci anni che non l’hanno vissuto? Mi sembra, innanzi tutto, che per le donne. sia diversa l’uscita di scena. Più sensibili al calendario biologico, per loro la fine, di solito, è legata a un nuovo inizio: lasciano la carriera (che fra montepremi e sponsor garantirà loro un futuro agiato) per avere un figlio, sposarsi, e in generale per un desiderio di stabilità dopo tanto girovagare fra campi di gioco e alberghi di lusso. Gli uomini invece, alle classica domanda su che cosa faranno e saranno dopo il tennis, tergiversano, dichiarano che hanno sì qualche progetto ma niente di preciso, e che sentono comunque  il bisogno di fermarsi e pensare.

Negli ultimi anni, dal “tempo ritrovato”di ex tennisti che hanno scritto la storia di questo sport, sono emerse, all’improvviso, dichiarazioni scioccanti riprese da tutti i media e che anticipavano loro autobiografie. Cominciò John McEnroe:-Sono stato dopato come un cavallo-, seguito da Boris Becker- Ero schiavo dei barbiturici per reggere la pressione, tanto da pensare al suicidio. Per la solitudine c’erano l’alcool e le donne.- Recentemente Andre Agassi: nel suo “Open”, ha ammesso la  positività ad un controllo antidoping, poi insabbiata dai vertici della Federazione tennis, nonché di aver perso la finale di Parigi  del ’90 perché preoccupato che gli scivolasse il parrucchino fissatogli male dal fratello…
Devo riconoscere che i fans di un tennista sono proprio come gli innamorati: nei vari forum sul web, all’uscita di queste rivelazioni ho letto pochissime espressioni di condanna, di abbandono da parte dei loro sostenitori che generalmente hanno preferito minimizzare, ipotizzare un bluff per tornare ancora in prima pagina e promuovere i loro libri.

Può darsi che abbiano ragione loro, e che sia io l’ingenua  a credere alle confessioni di una persona, specie se si accusa. Sono comunque perplessa, non so spiegarmi perché questi ex campioni abbiano deciso di mostrare lati così negativi, umilianti o meschini. Mi domando però se, dopo febbrili anni di attività agonistica, inseguendo ovunque la bella stagione ma anche, forse, l’illusione di eterna giovinezza, non siano scesi su di loro, improvvisamente, gli inverni mancati, finché un giorno si siano sentiti improvvisamente vecchi e logori,  già alle prese con un bilancio della propria vita, con la voglia di raccontarsi, e, forse, di mettere alla prova coloro che li amano.. E pur delusa, io rimango fra questi, anche perché i gesti restano, come il talento di chi, secondo Carmelo Bene, non “gioca a tennis, ma è giocato”, lo lascia fluire nel suo corpo, fra le dita, nella racchetta.

E poi, se ci pensiamo bene, Indian Wells, quel paese per vecchi da cui siamo partiti, non ci ricorda solo la carriera dei tennisti, ma anche  un po’ noi stessi, ogni volta che fuggiamo dall’inverno, temiamo il silenzio, identifichiamo la felicità con un cielo sempre azzurro, cerchiamo in ogni modo di prolungare la giovinezza. Gli spettatori di tennis, poi, si rivedono nel pubblico di Indian, appena cominciano  i tornei primaverili europei, primo fra tutti Montecarlo, dove arriviamo al mattino con crema protettiva per il sole, ma anche con impermeabili e felpe,  e temiamo il vento che avvolge la terra rossa in vortici simili a quelli del deserto. Personalmente, poi,  il vento e le palme della California  mi riportano ai luoghi natali, all’estremo Ponente ligure, dove, come annotava Claude Monet, che vi soggiornò nei primi mesi del 1884, quando tramonta il sole si rabbrividisce più che al Nord, per la brezza inaspettata e fredda della sera, quando il giorno ti illude di un perenne tepore.

Ma più rassicuranti ancora per me, sono le notti degli spettatori del torneo di Indian Wells, perché vorrei che la mia ultima notte fosse come le loro, con una coperta da condividere ancora con vecchi, giovani e una passione. Così, forse, sarà meno duro non aspettare il mattino.

 

da www.lafuriaumana.it

 

27-04-2010

 

 

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