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riflessioni su femminismo e biotecnologie |
E’ troppo facile bollare la neonata legge n. 147 sulla procreazione medicalmente assistita come “retriva, reazionaria, antiprogressista e cattolica”. E’ indubbio che l’impianto della legge ci riporti immediatamente ad un passato accantonato anche dalla maggior parte delle donne e basato sulla disuguaglianza, la degradazione e la subordinazione di genere. Tracciandone un brevissimo ed incompleto riassunto, è evidente nei vari articoli l’assoluta assenza della figura della donna come essere pensante ed agente e, al contrario, l’onnipontenza ed onniscienza dello stato.
Questa è la legge che è stata approvata in senato, ma proviamo a spostare l’angolo di visuale. E’ drammaticamente reale che il movimento delle donne questa legge se la sia fatta calare sul capo senza alcuna opposizione palese ed organizzata. Mentre il diritto alla regolamentazione dell’aborto venne visto come una vera e propria battaglia il cui esito finale era il rispetto del nostro corpo e del corpo delle moltissime donne morte o devastate dall’aborto clandestino, la fecondazione assistita ci è parsa argomento lontano dal nostro vissuto, prerogativa di pochi addetti ai lavori, ed il lottare per la sua regolamentazione quasi degradante. Il movimento delle donne, occorre ora ammetterlo, non è stato, in questo caso, al passo con i tempi. Mentre le rivoluzioni informatica prima e biotecnologica poi modificavano sostanzialmente il nostro habitat, siamo rimaste abbarbicate a giudizi decadenti e difensivi, rifiutando di confrontarci con così vasti cambiamenti. Noi donne occidentali, pur avendo a portata di mano tutti gli strumenti culturali, tecnologici, economici e relazionali per analizzare nella maniera più approfondita i progressi della tecnoscienza, sul piano delle biotecnologie ci siamo volute inserire in quei 4/5 dell’umanità deprivati di tutti questi mezzi e che ci picchiamo spesso di voler difendere o, più ipocritamente, liberare dalle loro condizioni di vita opponendoci però ad un utilizzo meditato del progresso della ricerca a questo scopo. Per distanziarci da una visione tecnofila che interpreta il progresso scientifico come metafisica salvifica, ci siamo rintanate in un comodo ed insulso atteggiamento tecnofobo, sognando il ritorno ad una natura che di fatto non esiste ed alla quale obiettivamente non potremo più ritornare. Il movimento delle donne come tale forse è il passato, ma come donne in movimento non possiamo più tenerci a distanza dalla tecnologia, proprio per non lasciarla nella mani di quegli acritici difensori di tutte le acquisizioni tecnoscientifiche, miopi o in mala fede, che vorrebbero affidare completamente alla scienza il miglioramento delle condizioni umane senza tenere in conto il pericolo esistente nell’incapacità dell’uomo di gestirne le potenzialità. Dobbiamo quindi spostare la nostra visione del mondo. Il “partire da sé” è stato un momento fondamentale che ci ha rese consapevoli della nostra forza ma, nel frattempo, lo stato ed il capitale sono andati avanti, si sono evoluti, hanno assorbito a livello socioculturale il nostro cambiamento di ruolo ed hanno rielaborato nuove strategie di subordinazione. Rendiamoci conto che, se non vogliamo accorgerci troppo tardi di essere indissolubilmente nuovamente incatenate, dobbiamo guardarci intorno, spostarci da una visione ginocentrica ad una eteroreferenzialità nella quale le macchine, le tecnologie, le scienze (tutti sostantivi femminili, caso vuole) possono e devono essere nostre partners per una positiva crescita comune e non nostre nemiche. Non lasciamo la responsabilità delle vite nostre e di quelle/i che verranno dopo di noi, perché di questo si tratta, in mani sbagliate per paura di affrontare con consapevolezza il futuro. Dobbiamo avere piena coscienza dei cambiamenti che, come la rivoluzione meccanica e quella informatica, la rivoluzione biotecnologica ha apportato nelle sfere cognitiva, etica ed addirittura ontologica dell’essere umano e degli orizzonti oggi inimmaginabili che ci spalanca davanti, per poter proporre un modello etico che ne preveda la riappropriazione da parte di tutti e di noi donne in particolare, sollecitando subito una discussione il più possibile aperta e senza tabù.
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