Storia di Maria
Amore e immigrazione

di Tiziana Tobaldi

 


Vorrei chiamare la protagonista di questa storia Maria, che non è il suo vero nome, ma è indicativo di quanto vicende come queste siano numerose e generalizzabili. 

Maria, dunque, è una donna di ventiquattro anni dall’aspetto estroverso, intraprendente, anche seducente; è cresciuta in un istituto perché la sua famiglia, napoletana ed immigrata a Genova, trovandosi in precarie condizioni economiche non riusciva più ad occuparsi di lei.

Lavora presso un’agenzia che affitta accompagnatrici ad uomini in cerca di compagnia o ballerine alle discoteche in cerca di “cubiste”.

Nel 2000, per quindici milioni, ha accettato di sposare un cittadino egiziano che, commerciante in  discrete condizioni economiche e malato di fegato, voleva ottenere la cittadinanza italiana per potersi curare nel nostro paese, data l’inefficienza ed arretratezza dell’organizzazione sanitaria  egiziana.

Il matrimonio è stato celebrato al Cairo ed è stato registrato in Italia, ma  Maria credeva (voleva credere? glielo avevano fatto credere?) che si trattasse di una cerimonia priva di validità in Italia, almeno per lei, cittadina italiana.

Il marito, quasi della medesima età, però con lei non ha mai convissuto, abbandonandola al suo destino. Infatti subito dopo la celebrazione del matrimonio Maria rientra in Italia, dove i coniugi avevano programmato di vivere insieme,  e resta in attesa dell’arrivo del marito, che le aveva assicurato che l’avrebbe seguita a breve.

Crede veramente che questo matrimonio possa essere l’inizio di una nuova vita? Perché lo attende, visto che fra  loro era stato steso un contratto  basato su un compenso in denaro? Il motivo possiamo trovarlo in quel ravvisato bisogno di moltissime donne, forse di quasi tutte, di riconoscere come primari nella loro vita i sentimenti e le emozioni, propri e degli altri.

Aveva venduto una disponibilità, che possiamo equiparare ad un bene qualsiasi, ma non era riuscita ad accettare nel suo sé più profondo che merce di scambio fossero gli affetti, che le basi di un’unione tra uomo e donna fossero altro dall’attrazione, dalla passione, dall’amore.

Maria attende il marito, che nel frattempo, non solo non  la raggiunge in Italia, ma  si rifiuta di avere contatti con lei,  anche epistolari. Lo attende per tre anni. Poi viene a sapere che lui è arrivato nel nostro paese senza avvertirla, per potersi curare presso un grande ospedale di Milano e che questo lo ha ottenuto grazie alla richiesta di  cittadinanza italiana che aveva avanzato a seguito del matrimonio con una donna italiana.

A  questo punto  Maria intende formalizzare una situazione di fatto e lo contatta per chiedere la separazione consensuale, ma il marito gliela rifiuta proprio perché in tal modo perderebbe il diritto alla cittadinanza per la quale ha già inoltrato la richiesta.  Lei ha però investito troppo di se stessa in una speranza di cambiamento e firma un ricorso di separazione giudiziale avanti il Tribunale civile.

Oggi Maria ha un rapporto con un uomo nativo di Casablanca, dalle relazioni ed attività poco chiare,  al quale, però, ha rivelato il proprio precedente legame con non poche difficoltà proprio perché istituzionalizzato e da lei stessa ritenuto “importante”.

Ci troviamo di fronte ad una donna che non ha avuto un’esistenza facile, anzi, sin da subito si è dovuta attrezzare per la sopravvivenza fisica, psicologica ed emotiva. Eppure ad un certo punto della sua vita ha creduto di vedere in un rapporto con un uomo il punto di partenza per cambiare sì le proprie condizioni  di vita ma soprattutto la relazione con gli altri, le proprie aspettative, forse i propri sentimenti, forse se stessa. E la formalizzazione  attraverso la cerimonia del matrimonio  ne aveva ulteriormente accresciuto l’importanza ai suoi occhi, come coronamento di quel destino sognato ed occultato di moglie e madre.

Leggendo dall’esterno la sua storia è facile per noi darle dell’illusa. Come può essersi ingannata così ingenuamente? D’altra parte non era consapevole di avere venduto il proprio atto di matrimonio? Che cosa si aspettava da un uomo che l’aveva utilizzata come un modulo di richiesta di cittadinanza?

Ma quante volte anche noi che viviamo da privilegiate, economicamente ed intellettualmente, in questa parte dell’occidente ci siamo fatte ingannare da coloro cui diamo la possibilità di condividere la nostra vita? Eppure, nonostante le delusioni, forse anche le sofferenze, non appena ci si profila la possibilità di esprimere il nostro amore per un’altra persona, ci diamo senza riserve.

E’ giusto? E’ sbagliato? La mia unica certezza è che si tratta di un modo di vivere i  sentimenti  singolarmente femminile e che è uno dei nostri comportamenti su cui gli uomini reggono la loro pretesa autorità.