TRANSAMERICA
L'AMERICA DALLE IDENTITA' DISSEMINATE DI DUNCAN TUCKER
di Alessandra Paganardi

 

 

"Transamerica", il primo lungometraggio di Duncan Tucker presentato allo scorso Festival di Berlino, esplora davvero tutti i significati del prefisso "trans", che caratterizza problematicamente la modernità. Vi vediamo infatti descritto un trans-ire psicologico e geografico, un viaggio metaforico e reale che è attraversamento di un confine ma anche ricerca di un oltre, di un altrove.

Il film racconta la storia di Stanley (Felicity Huffman), un transessuale pronto per l'intervento definitivo che lo trasformerà in Bree, la donna da sempre nascosta in lui. Nella periferia di Los Angeles, dove lavora in un ristorante sotto spoglie fenotipicamente già femminili, Stanley ha risparmiato con estrema tenacia per pagarsi il prezzo della metamorfosi; per concedersi di vedere il proprio sogno riflesso anche allo specchio, non soltanto nel pozzo buio di un'identità negata.

Ma un ostacolo sembra frapporsi alla realizzazione di questo progetto: un figlio concepito per caso diciott'anni prima, quando Stanley, da studente mai diplomatosi al college, aveva intrecciato una relazione biologicamente "normale" con una coetanea. La presenza casualmente rivelatasi di questo figlio, che inizialmente sembra soltanto un'escrescenza del passato ma diventerà poi il vero specchio in cui Bree potrà riflettersi, costringe la terapeuta a bloccare l'intervento e a convincere Stanley a partire per New York per cercare il ragazzo.

Fin qui una sorta di "Broken Flowers", diciamo così, con qualche complicazione di genere; di completamente diverso al film citato, oltre alle atmnosfere, c'è però anche la tragica inutilità di cercare la madre, che nel frattempo è morta suicida. Toby( Kevin Zeger), splendido sbandato rinchiuso in carcere per spaccio di droga, vive prostituendosi e progetta di diventare attore di film hard-core. Il padremadre si finge inizialmente un'estranea benefattrice, missionaria della "Chiesa dei Padri Potenziali": geniale trovata linguistica che svela una delle chiavi di tutto il film - la fluttuazione dell'identità, l'impero del "virtuale" come rapporto sempre irrisolto fra volere e poter essere, insomma la fluidità ambigua del fiume-vita in cui Eraclito scriveva che "non si può entrare mai due volte". Con una cauzione simbolica Toby esce di prigione, ma cerca davvero il proprio padre e vuole tornare a quella che sa essere la sua città di residenza: Stanley lo accompagna allora in un lungo viaggio in automobile, in una faticosa prossimità fra consanguinei sconosciuti, che plasmerà entrambi i personaggi attraverso una serie incredibile di equivoci.

L'errore forse più tragico da parte dell'adulto è l'aver pensato di affidare il ragazzo al patrigno, un sordido pedofilo la cui presenza riattiva ferite profonde del passato di entrambi; il più classico è la fiducia accordata all'immancabile hippy-ladro che scappa con soldi e automobile (e anche con gli ormoni femminilizzanti di Stanley), con il colpo di scena già visto in "Thelma e Louise" e in altri film on the road .

L'equivoco più divertente è la festa trans in casa di un'ospite amica di Stanley, dove la varietà degli incroci combinatori fra generi e orientamenti sessuali rende lecita una domanda: fra omo, etero, bis, trans uomini e donne di varie preferenze, quanti "generi" esistono, quanti possono ancora venire scoperti? Non dovremmo piuttosto modificare radicalmente il nostro punto di vista e riconoscere nella nostra identità disseminata di postmoderni una pluralità non necessariamente negativa, quella "sola moltitudine" che Pessoa era genialmente riuscito a trasformare da nevrosi in poesia?

Ma l'errore cinematograficamente più risolutivo è la tappa finale dai genitori di Stanley, non voluta ma resa necessaria dalla sopraggiunta mancanza di denaro, quando ormai la prima metà della menzogna (l'identità sessuale) è già svelata e l'altra metà (la parentela) è costretta a rivelarsi per sventare il rischio di un rapporto incestuoso, che ora Toby profondamente desidera. I due si ritrovano in uno splendido finale aperto dopo l'intervento di Bree e la realizzazione/superamento dello squallido sogno artistico di Toby: non più padremadre in incognito e figlio sconosciuto, forse davvero mai coppia possibile, come Toby avrebbe voluto; però finalmente individui/individuati, che hanno saputo ristrutturare il proprio Sè attraverso un rispecchiamento reciproco ai limiti del funambolico. Due identità ritrovate ma sempre fluttuanti, sempre plurali, che - forse - non si sono ancora arrestate.

 

2 marzo 2006