TRAVAUX

IL VOLTO UMANO DELL'OCCIDENTE NELLA FIABA DI BRIGITTE ROUAN

di Alessandra Paganardi

 

Persino un accanito detrattore del "pensiero della differenza" potrebbe avere ben pochi dubbi che Travaux di Brigitte Rouan sia stato scritto e diretto da una donna. Lo dice la semplicità "discartesiana" (per parafrasare la Weil) con cui la regista sa coniugare ragione ed emozioni, in una filmografia tutta francese che non arretra di fronte a una Parigi malinconica, confusa e ferita dalla modernità.

Chantal è una donna di grande fascino e carattere, separata da un marito piuttosto avaro; ha due figli adolescenti, una madre stramba e una professione d'avvocato, esercitata con grazia e con decisione a favore dei deboli e degli emarginati. Per tutti questi motivi, nonostante i successi professionali, nonostante la nobile signorilità e quasi la regalità di ogni suo gesto, Chantal non è affatto una donna ricca.

Quando decide di ristrutturare per necessità la sua bellissima ma ormai fatiscente casa d'epoca, Chantal si rivolge a un fantasioso architetto argentino fornito di maestranze variopinte, pensando di procedere in fretta e di risparmiare tempo e denaro. Non sarà così: in una danza metamorfica lieve ma seria, reale ma intessuta di fantastico - il tutto ricorda in più punti l'intramontabile fiaba di Mary Poppins - Chantal verrà coinvolta quasi suo malgrado in una trasformazione dell'ambiente esterno che pian piano coinvolgerà lo spazio interno, suo e dei suoi cari.

La porterà soprattutto, con notevole leggerezza, ad essere più consapevole del proprio ruolo nel mondo, fino a vivere con umanità ancora maggiore una presenza nel sociale che prima di questa esperienza aveva forse scelto solo astrattamente, con sguardo soprattutto mentale. I problemi di convivenza con culture diversissime, nell'esperanto di un lavoro irregolare fatto di piccole e grandi intolleranze interne, si stemperano nell'ascolto sempre più empatico di storie di vita spesso spietate, che delineano, tra disastri e sorrisi, toccanti parabole di un'umanità liminare.

Un po' almodovariano e un po' crepuscolare, illuminato senza mai un eccesso da una stupefacente Carole Bouquet matura, questo film dipinge il volto umano di un Occidente che spesso non comprende ma perlomeno accoglie, ed è forse ancora capace di resistere e di guarire. Vivamente consigliata la visione ai giovanissimi, che potranno così apprendere senza cinismo, ma anche senza ingombranti buonismi didascalici, un'efficace lezione di vita e di storia.

 

28-02-2006