E’ per questa ragione che non mi sono
sorpresa, ma certo scandalizzata, scoprendo che nella stessa notte della
parata trionfale della nazionale, il ghetto ebraico, a Roma, sia stato
imbrattato con svastiche e scritte antisemite. Un fatto gravissimo, non
certo imputabile al milione di uomini e di donne andato ad accogliere
Lippi e compagni, ma che non può non essere letto in relazione col
contesto che stiamo vivendo: le scritte “Zidane ebreo”, le accuse di
essere “froci” rivolte ai giocatori francesi, le madri e mogli definite
“puttane”, i cartelli “francesi tutti appesi”. L’equazione: sono nato in Italia e per
questo tifo per l’Italia, non l’ho mai capita se non sulla base di questa
dinamica che farà gioire se si vincono i mondiali, ma fa poco ridere se
significa un paese chiuso, xenofobo, in cui la cittadinanza è basata sul
“sangue” - sei italiano solo se sei concepito da sangue italiano - invece
di essere libera e aperta. Si possono muovere diverse obiezioni. Come
quella che rivendica nei festeggiamenti di questi giorni l’elemento
ludico, di partecipazione, di festa, di una comunità che trova nuova
linfa. Ma è innocente la coincidenza che la festa, la gioia, l’unità siano
così plateali quando il collante è la retorica dell’orgoglio di essere
italiani? Il sistema mediatico ha fatto di tutto
per alimentare questo nuovo mito collettivo, usarlo per definire
un’identità certa in un’epoca in cui di certo non c’è niente. Gli uomini e
le donne, i tanti giovanissimi che hanno partecipato alle manifestazioni
per la vittoria ai mondiali non sono evidentemente gli autori di questo
disegno. Ma, nella società dello spettacolo, linguaggio dei media e senso
comune sono due elementi che si alimentano l’uno dell’altro, creano un
cortocircuito pericoloso tra la rappresentazione dei fatti e la loro
realtà. Sono anni, anni di quella che abbiamo chiamato guerra permanente,
in cui giornali e tv hanno costruito la retorica dell’italiano, di colui
che è eroe solo perché rappresenta la nazione in un paese “straniero” a
prescindere da quello che fa o pensa. Lo slittamento semantico è stato
costante, efficace, ha cambiato la percezione degli eventi e ha rafforzato
forme di nazionalismo, antiche appunto, ma che oggi trovano nuova ragion
d’essere nel contesto globale. Una parte della politica è stata
connivente. Non penso ai Calderoli, ma a personaggi moderati che, nel
discorso pubblico, o hanno trovato conforto alla loro incapacità di
costruire un’alternativa oppure hanno espresso una reale adesione.
questo articolo è apparso su Liberazione del 12 luglio 2006 |