|   Come un tuono Marianna Cappi     
   Luke è un pilota di motociclette, impiegato in uno spettacolo ambulante. Dovrebbe   partire al seguito del carrozzone per una nuova meta, ma scopre di avere un   figlio, Jason, nato da una breve relazione con Romina, una ragazza del posto.   Resta, dunque, nella provincia dello stato di New York, per provvedere alla sua   nuova famiglia e impedire che suo figlio cresca senza un padre, come è accaduto   a lui. Le rapine in banche e le fughe in moto sono il metodo più veloce per   procurarsi tanti soldi e in fretta, ma "chi corre come un fulmine, si schianta   come un tuono", ed è così che la folle corsa di Luke si arresta davanti alla   recluta di polizia Avery Cross, anch'egli padre da poco. Quindici anni dopo,   Jason e il figlio di Avery stringono amicizia al liceo, ma il passato che li   lega riaffiora e la vecchia violenza chiama nuova violenza. 
 Il talento di   Derek Cianfrance, alla boa del terzo film, è un talento evidente, tanto nell'uso   della macchina da presa quanto, e soprattutto, nell'abilità narrativa. Mentre   noi scopriamo lui, anche lui sembra scoprire se stesso, misurandosi in toni e   registri diversi. Con Blue   Valentine aveva raccontato meglio di chiunque altro, recentemente, la   straordinaria forza sentimentale del quotidiano, la potenza di tuono di ciò che   torna, mediato e deformato dal filtro del ricordo, dell'amore quando l'amore non   vince più sul resto.
 
 Con Come un tuono allarga il campo e opta per una   narrazione forte, che abbraccia più personaggi e più generazioni. Quasi il primo   fosse un racconto, perfetto e insuperato, e il secondo un romanzo, la cui mole e   la cui impalcatura narrativa, rigida e calcolata, finiscono per schiacciare a   tratti emozione e freschezza. 
        C'è infatti un determinismo buono -   drammaturgicamente parlando -, che è quello che pone i personaggi di fronte a   delle scelte che hanno sempre a che vedere con la replica o il rifiuto   dell'eredità paterna, e porta il film in territori molto interessanti; ma c'è   anche un determinismo più rigido, secondo cui le ferite non possono rimarginarsi   ma solo tornare a sanguinare, che concorre efficacemente alla dimensione del   pathos ma ruba al film apertura e verità.
 
 Sono scelte narrative fatte con la   scure, non con mano leggera, nelle quali si può includere anche l'idea   rigorosamente speculare che un uomo corrotto generi un figlio dal cuore puro e   un uomo che ha fatto della propria vita una lotta alla corruzione, un figlio   solo e oscuramente arrabbiato con se stesso e col mondo.
 
 Si soffre dunque la   mancanza della potente delicatezza di Blue Valentine, ma si resta   ammirati dalla circolarità e dalla coerenza con la quale Cianfrance e i suoi   cosceneggiatori hanno inscenato questa persecuzione del destino ai danni di   quattro esseri umani, tanto che la miglior metafora del film è nel suo inizio:   in quel "globo della morte" dentro il quale nessuno è agile e sicuro quanto   Luke, ma che è pur sempre una gabbia, come quella dell'estrazione sociale, come   e soprattutto quella del carattere.
   7-4-2013 |