Documento approvato dall’assemblea di

Usciamo dal silenzio del 26 ottobre 2006

 

La violabilità del corpo delle donne sta dentro la nostra storia e tutte le storie, è tutt’uno con la nascita della nostra civiltà e di tutte le civiltà.

Ecco perché oggi chiediamo alle istituzioni una parola pubblica che riconosca questo punto di partenza, che spezzi un silenzio insopportabile, che rifugga dalla facile scorciatoia dello scontro di civiltà.

Le donne non vogliono essere vittime per sempre.

La legge sulla violenza sessuale del 1996 che ha segnato una svolta nel costume e nel diritto recuperando un ritardo storico del nostro paese, è ascritta al pensiero e alla pratica politica delle donne.

Dieci anni dopo sono ancora soltanto le donne a farsi carico di questo tema, mentre ci è chiaro che la violenza sta dentro il rapporto tra gli uomini e le donne tanto nella loro relazione intima quanto sulla scena pubblica e richiede parola di entrambi.

L’allargamento della cittadinanza alle donne è infatti tutt’ora imperfetto e continua a convivere con l’idea di un femminile corpo vile, da proteggere, controllare, tutelare.

Combattere la violenza manifesta chiede allora di snidare la cultura che la produce, incarnata nelle istituzioni, nella morale, nelle religioni, nelle tradizioni, nelle usanze familiari e comunitarie, ma anche e soprattutto negli habitus mentali sedimentati dal millenario dominio maschile.

E’ la stessa cultura che si esercita anche ai danni delle donne lesbiche nella vita quotidiana, nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, di studio fino a giungere ai casi drammatici della cronaca. Il fatto che l’amore tra donne non sia protetto dal rispetto sociale espone le donne omosessuali ad un rischio aggiuntivo di violenza e sopraffazione.

La parola pubblica che noi sollecitiamo non è quella che si spende con facilità nelle emergenze “estive” sbandierate dai media, ma deve essere iscritta nell’agenda istituzionale con la centralità che la questione della violenza ha nella vita delle persone. La sua assenza o inadeguatezza è infatti lo specchio della distanza tra la politica e la società.

Il nostro paese è oggi abitato da uomini e donne che arrivano da culture e tradizioni le più diverse. Costruire una convivenza che condivida, in questo tempo e in questo spazio, i principi costituzionali e l’idea della libertà femminile che ha principio nell’inviolabilità dei nostri corpi è il cammino di cui ci sentiamo protagoniste insieme alle donne straniere che nel nostro paese devono essere padrone di se stesse, dunque in condizione di esercitare i diritti di cittadinanza.

In questo percorso ci saranno difficoltà e contraddizioni, ma non devono costituire un alibi per occultare dietro la categoria dello scontro di civiltà il nodo conflittuale del rapporto tra i sessi che attraversa invece tutte le culture.

Sta alla responsabilità del governo, che sollecitiamo, riconoscere qui e adesso la radice del problema e la sua urgenza, e dare luogo e voce nello spazio pubblico ad azioni di cambiamento a cominciare da un segnale forte e simbolicamente inequivocabile di assunzione del tema della violenza.

Da questa visuale accogliamo positivamente il progetto del Ministero delle pari opportunità di costituire un Osservatorio nazionale sulla violenza di genere. Pensiamo sia un primo passo, ma che per avere utilità concreta e senso simbolico debba nascere con requisiti precisi, facoltà decisionale e disponibilità di spesa.

Il primo fondamentale requisito è che l’osservatorio sia un luogo delle donne, delle competenze delle donne, delle associazioni delle donne italiane e straniere, aperto a tutte le interlocuzioni ma con questa fisionomia.

Guardiamo come a un serio pericolo che nasca invece come luogo di rappresentanza delle comunità nazionali o religiose o come incontro tra esperti fintamente neutrali.

L’osservatorio potrà e dovrà essere uno dei motori principali di elaborazione di politiche e azioni positive che abbiano a tema la diffusione nel nostro paese di una cultura che tenga al centro la libertà femminile e la costruzione di una convivenza civile tra i sessi.

Sensibilizzare, prevenire, tutelare, progettare sono i verbi che scegliamo per dire come l’azione pubblica debba rispondere a esigenze molteplici che riguardano la sfera dell’educazione, della formazione, della socialità, del diritto e avere, insieme, l’ambizione di un nuovo disegno di convivenza. Tra le persone, nei luoghi, nelle nostre città che vogliamo più vivibili e aperte.

Per questo motivo, con l'incrocio delle competenze della nostra assemblea, abbiamo formulato proposte più specifiche che riguardano questi ambiti: tutte insieme - le troverete negli allegati - concorrono all'idea che la parola pubblica sul tema della violenza sulle donne sia indifferibile e debba essere all'altezza della nostra domanda.


Usciamo dal silenzio

 

Milano 26 ottobre 2006