Io mi sono
innamorata di questo libro ed è il mio, come tutti gli innamoramenti,
un sentimento difficile da motivare, gioioso da vivere.
Oggi qui riunite e riuniti siamo tanti, ma in realtà di donne
ce ne sono molte di più. E' cosa nota: dal lesbofemminismo in
poi molte di noi hanno capito che non eravamo "le uniche lesbiche
al mondo".
Ma oggi a fare la differenza è questo libro. Qui riunite siamo
più di 700 e le 700 che hanno compilato i questionari dicono
una cosa con voce chiara e forte. Dicono: VOGLIAMO COMUNICARE, NON ABBIAMO
PAURA DI PARLARE DELLA NOSTRA VITA. ANZI ABBIAMO VOGLIA DI FARLO.
Si tratta di UNA FORZa STRAGRANDE PER TUTTE E TUTTI.
Ci sono voluti quattro anni per fare questo libro, e questo è
già un valore, ci sono voluti TEMPO, COSTANZA, IMPEGNO. Un tempo
che ha visto mantenersi inalterato e semmai rafforzato il principio
ispiratore di questo lavoro: il desiderio di fotografare la realtà
di un numero considerevole di donne lesbiche, di conoscere questa realtà
e di farla conoscere.
I desideri sono tra le cose più belle, sono i messaggeri delle
passioni. In più, se li interroghiamo, ci accorgiamo che ci svelano
e ci aiutano a costruire una visione del mondo. Noi donne lesbiche,
che abbiamo rivoluzionato vite il cui solco era già tracciato,
lo sappiamo bene.
Questo desiderio, dunque, svela una visione del mondo. Una visione che
conferisce valore alla sfera pubblica in vari modi. Per chi ha fatto
questo libro: Anita Sonego, Chantal Podio, Lucia Benedetti, Maria Pierri,
Nicoletta Buonapace, Piera Vismara, Rosa Conti.
PER LE SETTECENTO CHE HANNO COMPILATO I QUESTIONARI la sfera pubblica
è una dimensione in cui si è e si vuole essere, luogo
che può dare forza. Tutto questo vuol dire anche una cosa semplice:
voglia di comunicare. Ancora, vuol dire comunicare da lontano con chi
è lontano da noi.
Vorrei soffermarmi sul significato che hanno oggi queste due operazioni:
valorizzare una dimensione pubblica ed essere in tante per essere sempre
di più.
Fino a qualche mese fa, quando mi chiedevano che cosa si prova ad essere
una "donna pubblica" sorridevo sempre. Perché? La dicitura
donna pubblica utilizzata in questo modo registrava un cambiamento di
significato.
Fino a qualche tempo fa "donna pubblica" voleva dire "prostituta",
ma nelle domande a me rivolte non voleva più dire questo. Voleva
dire semplicemente: donna intellettuale che si espone.
Da quando hanno rapito i primi ostaggi donna in Iraq ci siamo accorti
che la dicitura e il suo senso avevano di nuovo fatto tanti passi indietro.
Cito dall'Unità del nove marzo, titolo azzeccatissimo "caccia
alla Sgrena". Autrice del pezzo, la nostra cara Lidia Ravera. Scenario:
i funerali di Calipari. Un signore di una certa età si rammaricava
che "un uomo della statura di Calipari fosse morto per salvare
la pelle a un mignottone".
Non era il solo commento di questo tenore.
Io ho provato orrore per queste parole e grande sofferenza. Rabbia e
indignazione. Adesso dicono a Giuliana: "Signora stia zitta".
L'antropologo Levi-strauss diceva che le donne simbolicamente sono aperte
in basso e chiuse in alto. Una collocazione che obbedisce agli assetti
strutturali della cultura.
Le donne che si muovono nello scenario fino a ieri solo appannaggio
degli uomini oggi sono tornate a essere considerate prostitute. Ricacciate
dunque da una parte non piccola dell'immaginario collettivo (basti vedere
la stampa di destra e di un certo centro) nel ruolo di coloro che fanno
servizi sessuali. La cui parola è fastidiosa.
Noi donne lesbiche sappiamo che questo anatema ci colpisce particolarmente.
E può tornare a oscurarci due volte: in quanto donne e in quanto
lesbiche. La nostra sessualità "autonoma" - cioè
che si dà il proprio passo, la propria legge - viene fortemente
minacciata da questo modo di pensare.
Cocktail d'amore e la voce delle 700 che parlano chiamate a raccolta
dalle autrici che ho citato prima sono la migliore delle risposte a
questo subdolo e mortificante modo di pensare maschilista (ma in bocca
anche a tante donne purtroppo), che sembra non morire mai.
Sono le nozze tra la sessualità autonoma e il diritto alla Parola.
Sono apertura in alto e in basso, per usare i termini di Levi-strauss,
secondo ritmi propri.
Sono la migliore reazione: sono cultura che distrugge quell'Araba fenice
che vuole ridurre le donne in schiavitù. E la prima delle schiavitù
vede il potere esercitarsi sui corpi, in primo luogo sui corpi delle
donne.
SETTECENTO DONNE CHE PARLANO LIBERAMENTE delle loro AFFETTIVITA' E SESSUALITA',
di dimensioni CHE NULLA hanno A CHE VEDERE CON LA LOGICA DELLE PRESTAZIONI,
SONO IL SEGNALE DELLA RESISTENZA delle donne e della resistenza LESBICA.
E CONTEMPORANEAMENTE DELLA VOGLIA FORTE DI ESSERE.
Non è solo una questione di visibilità del lesbismo. Insomma
un gesto di liberazione non estemporaneo, ma costruito nel tempo e fortemente
voluto, è anche testimonianza. Dice a tutti che ci si può
liberare.
Diventa una questione di valore: prendere la parola e parlare autonomamente
di sé è già non riconoscere la logica "del
mignottone" potremmo dire, la logica che conferisce agli altri
la parola su di noi.
Infine parlavo di numeri. Voi dite: settecento e più modi di
essere lesbica.
Parlate di collettività. Della possibilità per le donne
lesbiche di non sentirsi più "l'unica al mondo", di
andare oltre la dimensione della coppia "sola", ma di essere
in tante. Nel numero lievita il senso della collettività che
diventa una sorta di trascendenza tutta laica. In una parola: ossigeno.
Io credo infinitamente nella collettività, la considero una Musa.
Dopo questa premessa, vi introduco nel merito del libro che nasce dai
questionari diffusi e interpretati dal gruppo Soggettività lesbica
della Libera università delle donne di Milano, compilati dalle
donne per conoscersi e per entrare in relazione con chi nulla sa delle
loro storie e pensieri. Cocktail d'amore, deriveApprodi, pp.214, euro
14 davvero ben spesi.
Un'indagine che mancava. Pezzo dopo pezzo vengono smontati gli stereotipi
sul lesbismo. Dopo le opere di sociologia che indagano sulla realtà
gay - "Omosessuali moderni" di Barbagli e Colombo (Il Mulino),
"Diversi da chi?" di Chiara Saraceno (Guerini e Associati)
- un gruppo di donne lesbiche fotografa il proprio mondo in movimento.
E inizia a colmare il vuoto di informazione che induceva a dire: "Delle
lesbiche non sappiamo niente".
COMINCIAMO DALLA PAROLA
La parola lesbica indica una donna che ama le donne, ma solo una su
due la pronuncia per sé e chi lo fa a volte abbassa il tono della
voce. Un segno. Io faccio un giochino a questo riguardo. Consiglio a
tutte e tutti di guardarsi intorno e cominciare a elencare gli oggetti
a portata di sguardo, inserendo con naturalezza il termine lesbica:
tavolo, comodino, giornale, sedia, lampada, lesbica
libro, borsa,
cappotto, quaderno, merenda, fiore, orologio, lesbica
. Così
facendo familiarizziamo con una parola che ha radici classiche ed è
preziosa. Non merita la nostra presa di distanza.
Dalla parola all'immagine. La metà di coloro che hanno compilato
i questionari non si riconosce nelle donne mascoline. Rifiutano il cliché
del maschio mancato (brutta eredità della freudiana invidia del
pene). Due su tre si definiscono femminili, pur lasciandosi affascinare
dal mito dell'androginia.
Dalla parola alla comunicazione. Conoscono la comunicazione anche con
Internet. E ne sperimentato i molteplici usi. A volte navigano per nascondersi
dietro maschere seducenti, per giocare con tante identità, ma
poi approdano a incontri oltre il virtuale.
POLITICA
Dalle risposte ai questionari viene fuori un'immagine di speranza. Sebbene
tanti questionari siano rimasti nei cassetti, perché le donne
tendono a trattenere per sé le loro testimonianze di vita, la
posizione rispetto alla politica segnala un aspetto chiaro: Le donne
lesbiche non vogliono condurre più vite "a misura di cassetto".
Vogliono esserci. Più della metà si dice femminista e
moltissime vogliono rafforzare i legami tra donne, creare comunicazione
e cultura. La maggioranza conosce le proposte di legge per i diritti
omosex, e la metà quando va alle urne tiene conto della posizione
espressa a riguardo dai partiti. Sono consapevoli che una legge non
coinciderà con la liberazione dai pregiudizi. Riescono ad essere
concrete e a sognare, elemento che, tenendo insieme concretezza e utopia,
appare un tratto specifico. Sognano un mondo in cui nessuno debba più
nascondersi e la diversità di ciascuno sia di casa.
La novità è di rilievo: donne lesbiche disposte a partecipare,
intervenire negli spazi pubblici. Pronte a rischiare un po' di più,
a non essere più soltanto voci fuori campo.
PARENTI E AMICI COMING OUT
A lavoro parlano di sé, però con i colleghi fidati, sanno
che rischiano derisione e mobbing (una su dieci). Tifano quasi tutte
per chi dice pubblicamente: "Sì, certo, sono una donna lesbica
e ne vado fiera".
C'è una quota che non nutre sentimenti del tutto sereni nei confronti
della lesbica che si espone, ma è una quota "fisiologica",
potremmo dire, che va ascritta ai conflitti interni all'animo umano.
In famiglia parlano pur sapendo di rischiare. Solo la metà dice
di sé: chi tace tende ad evitare i conflitti, chi parla sceglie
quasi sempre di aprirsi con la madre (che reagisce con più inquietudine
rispetto al padre) e lo fa per "bisogno di sincerità".
Vogliono sentirsi intere e verificare le relazioni importanti. Sono
pronte a ogni esito visto che, sebbene nel tempo i rapporti con i familiari
migliorino, le reazioni alla "notizia" una volte su tre non
sono positive e che i sentimenti dei genitori sono di accoglienza nel
cinquanta per cento dei casi e di delusione e sopportazione nell'altra
metà. Luci e ombre che non paralizzano come succedeva ieri, così
il coming out in famiglia si rivela ora "una tragedia siciliana"
ora "un'esperienza bellissima!".
Amicizie e locali. Nelle amicizie poco meno della metà frequenta
indifferentemente maschi e femmine, sapendo di muoversi con gli uomini
su un terreno oltre i codici consueti. Disinvolte a seconda dei contesti,
in compagnia scelgono di passare al filtro della riservatezza e dell'agio
i gesti affettivi verso la partner. Quasi tutte frequentano altre donne
lesbiche e due su tre si incontrano nei locali for women only.
AMORI
Spesso prima degli amori al femminile, si vive l'esperienza con un uomo.
E' il percorso emotivo di due lesbiche su tre, mentre per un terzo l'esordio
dell'amore è con una donna. Altre volte rapporti etero e omo
si alternano nel tempo e sono segnali di "un difficile percorso
di accettazione della propria omosessualità", sottolineano
le curatrici dell'indagine. Ma è diffusa la sensazione che non
è il "letto" a rilevare l'orientamento, poiché
come dice Paolo Rigliano in "Amori senza scandalo" (Feltrinelli):
"Si è omosessuali per come ci si sente rispetto all'altro
e non per quello che si fa". Così una su cinque si definisce
lesbica pur non avendo avuto ancora né relazioni né flirt
con donne.
ETA' e attrazioni.
Nell'incontro l'età della partner sembra spesso indifferente
e ad attrarre sono intelligenza e sensibilità (68 per cento),
seguite da umorismo, ironia e bell'aspetto.
CHE TIPO DI RAPPORTO VUOI. GESTI E PAROLE
La maggioranza, quando sorge Afrodite, mette al primo posto i baci,
poi le carezze e l'odore della pelle.
Qui occorre una riflessione sui termini. Dico: "sorge Afrodite"
e non "sorge Eros" e su questa scia cerco di trovare parole
aderenti per parlare di sessualità. L'uso delle tabelle e il
bisogno di esaminare molti dati ha indotto le curatrici ad utilizzare
termini come "rapporto orale" e "masturbazione reciproca".
Poiché rapporto orale mi evoca la "prova scritta" e
mi sento altrove, ho preferito usare una locuzione che cita bocca e
genitali: ho scelto di dire "affiatare lingua e vagina". A
me questo succede, sento un fiato, un respiro che unisce lingua e vagina.
Ho scartato poi "la masturbazione reciproca" come decisamente
fuorviante. La masturbazione è rapporto da sé a sé.
Se inseriamo in questo rapporto la dimensione della reciprocità
sembra che ci facciamo prestare la mano dall'altra che a sua volta ci
chiede in prestito la sua
.! Toccarsi è relazione ben diversa
dall'onanismo. Dunque ho preferito utilizzare la dicitura "vivere
l'amplesso con le mani" che mi restituisce il senso di una relazione
a due. Da questa riflessione mi è venuta una idea: bandiamo una
specie di concorso, periniziare tra le visitatrici del sito di Soggettività
lesbica e del sito che io edito, www.fuorispazio.net , chiedendo di
farci inviare termini alternativi per descrivere il rapporto d'amore
tra donne. Credo che sarebbe davvero interessante e divertente!
Allora, riprendendo i dati raccolti possiamo dire che in amore le più
si procurano piacere "affiatando" lingua e vagina, una su
due preferisce le mani per vivere l'amplesso e, infrangendo un certo
immaginario da porno cabaret, solo una esigua minoranza (5 per cento)
fa uso di falli finti. (la domanda è: visto che se ne vendono
parecchi, chi li compera? Forse i consumatori di viagra o gli omosex
travestiti da etero?)
Quattro su cinque hanno relazioni stabili, ma meno durature di quelle
dei gay (che però in buona parte vivono la "coppia aperta").
Il sale del rapporto è costituito dall'affinità emotiva
per la maggioranza, e la soddisfazione sessuale gioca un buon ruolo
(è importante per oltre la metà). La metà dice
di avere una vita sessuale soddisfacente e il 40 per cento la definisce
"migliorabile".
La gelosia per eventuali altri rapporti d'amore o incontri sessuali
della partner infiamma al massimo due terzi delle intervistate (risposte
frenate?). La modalità diffusa di relazione è quella monogamica,
non condivisa solo da una su cinque.
L'amore finisce per la rottura della comunicazione verbale e per l'infedeltà.
Tengono molto agli affetti, tante restano amiche quando l'amore fugge.
Al centro della relazione una dimensione diffusa e preziosa, ed è
bello vederne la coscienza. Per le donne che hanno risposto ai questionari,
è vitale il delicato equilibrio tra fusionalità - tendenza
che si rivela spiccata - e capacità di vivere in modo autonomo
la propria vita. L'amore travolgente, di cui molte parlano, necessita
di una solidità dell'io per evitare che la passione amorosa diventi
perdita di sè. Una consapevolezza che è già conquista.
MATERNITA'.
Vogliono un figlio e alcune sono diventate madri in una relazione stabile
con un uomo. Una su due non nasconde di essere una mamma omosex. Il
rapporto lesbico non frena più desideri di maternità che
il 16 per cento delle intervistate ha cercato di realizzare, anche con
un uomo che faccia da padre. Il desiderio di allevamento sembra diffuso
quasi quanto quello di gravidanza e vede le partner desiderose di prendersi
cura insieme dei figli. Per una mamma su tre che vive apertamente il
suo lesbismo, un'altra sceglie la discrezione e un'altra ancora lo nasconde.
CONCLUSIONI
Questo quadro in movimento di cui ho dato solo qualche cenno (leggete
il libro e di scoperte ne farete. Acquistatelo in triplice copia, regalatelo
ad amici e amiche compagne genitori figli
perché davvero
ne vale la pena!), fotografa un'esplosione al rallentatore di istanze
e dimensioni finora compresse nel segreto. E ha il suo fulcro in un
sogno di "libertà sociale".
Dario Fo di recente alla Sorbona ha definito così la libertà:
"La libertà non significa soltanto agire senza controllo,
vivere senza opposizione, ma piuttosto non cedere mai alle lusinghe
del potere che prende di te la parte migliore". La lusinga del
potere è sempre dietro l'angolo: nel ruolo di figlia e madre
devota, di donna pubblica o di partito, nella trappola del considerare
strumentale una qualsiasi relazione umana dove invece occorre portare
il soffio della libertà.
E' un premio Nobel dario Fo, e quel premio non è di uno solo
per uno solo, ma di tutti. Perché non c'è premio che non
veda nella collettività una madre. E' un premio per tutti.
Questi concetti - sogno, libertà, collettività - sono
presenti nelle risposte delle 700. Per una vita migliore occorre, dicono
in molte, "far politica, costruire gruppi seri, lottare insieme
a tutti i discriminati". Il sogno è già costruzione
di libertà, primo passo per uscire dall'affezione al microcosmo
che spesso frena molte vite di donne lesbiche nella cornice di un "cassetto"
- più o meno grande, arioso o caldo, ma pur sempre un cassetto.
"Il nostro impegno, i nostri pensieri e il nostro desiderio - concludono
le curatrici di "Cocktail d'amore" - sono rivolti alla costruzione
di un mondo in cui chiunque sia portatore di una diversità possa
vivere senza menzogna e paura". E' un desiderio aperto, vivo, che
si rivolge a chi è vicino e a chi è lontano. Un desiderio
che vuole fare uso della libertà nel modo più nobile,
e che vuole costruire non Poteri, ma capacità.
Leggendo il libro con passione, sete e riconoscenza, ho avuto una immagine
chiara.
Pagina dopo pagina, mi è sembrato che dal buio uscisse un cocktail
di luci.
Grazie
Milano,
Libreria Babele, 13 marzo, 2005
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