Istituto Ramazzini

Valeria Fieramonte



Fiorella Belpoggi, direttrice scientifica dell'Istituto Ramazzini

 

Fondato nel 1987 da Cesare Maltoni, l'istituto Ramazzini prende il nome dal medico carpigiano Bernardino Ramazzini, che già alla fine del '600 aveva parlato di prevenzione e messo in correlazione alcune malattie con l'ambiente di vita e il lavoro svolto. Per questo è considerato il padre della medicina del lavoro.

Da oltre 30 anni la sua mission è la prevenzione dei tumori, con particolare attenzione ai dati epidemiologici ambientali, dato che il 70% dei tumori è correlato all'ambiente in cui si vive.

Quando ha potuto, il professor Maltoni ha trasferito il suo istituto di ricerca sul cancro nel castello di Bentivoglio, alla periferia di Bologna, sotto l'egida del Ramazzini, con cui si è stabilita una simbolica continuità.

E' un esempio unico al mondo di indipendenza scientifica – l'Istituto è una cooperativa onlus che conta 30mila soci – e uno dei pochissimi centri che si occupa di fare epidemiologia ambientale. Quasi nessuno, nel mondo, studia questo genere di correlazioni, e questo rende l'Istituto prezioso a livello mondiale.

“Maltoni – dice l'attuale direttore scientifico del centro, Fiorella Belpoggi – aveva iniziato a studiare gli effetti del cloruro di vinile, un monomero plastico, nel 1974. Scoprì che nei ratti provocava un angiosarcoma del fegato, che era un tumore rarissimo. Di lì partì tutto. In quattro anni le quantità permesse nel mondo del lavoro passarono da 5000 parti per milione allo 0,1! Quante vite sono state salvate dal nostro lavoro ma nessuno lo sa. E' un lavoro che passa sotto silenzio, a meno che non ci siano questioni eclatanti come il glifosato e i 5G...

Nel '77 Maltoni pubblicò la prime ricerche sul benzene come agente cancerogeno. Nel '96 avevamo studiato ( la dott.sa Belpoggi è stata assistente di Maltoni) la serie completa dei carburanti, dimostrando che sono tutti cancerogeni: anche il MTBE ( metil-terbutil etere), un additivo ossigenato che sostituisce il piombo nelle benzine 'verdi', provoca leucemie e tumori al testicolo. I risultati sono stati resi pubblici a Washington nel 1995 durante la conferenza internazionale del Collegium Ramazzini, ma la ricerca è stata del tutto ignorata, nonostante fosse scientificamente inattaccabile.

In seguito è stato dimostrato che molti agenti importanti per la produzione industriale, come il tricloroetilene e la formaldeide e i clorofluorocarburi sono cancerogeni, come pure molti agenti presenti o contaminanti nell'ambiente, nell'acqua e nel cibo: amianto, lana di vetro, fibre di ceramica, pesticidi, acetato di vinile, cloro, etanolo e metanolo. In particolare un pesticida, il Mancozeb, che era molto usato in Emilia. Oggi nelle acque italiane sono presenti oltre 250 pesticidi.

Anche l'aspartame, un dolcificante un tempo molto usato, è cancerogeno, ogni sua molecola si trasforma in formaldeide.

Siamo il secondo centro al mondo per sostanze studiate dopo l'US National Toxicology program americano. Penso- prosegue la Belpoggi – che le attuali linee guida siano obsolete. I ratti per esempio vivono tre anni, che equivalgono ai nostri 90. Le linee guida attuali chiedono di sacrificarli dopo due anni di vita, ma così si vedono solo i cancerogeni molto potenti, e non si può capire nulla dei composti chimici a basse dosi. Sarebbe come non fare più ricerche per tutelare dai tumori le persone sopra i 45, 50 anni, assurdo, dato che la maggior parte dei tumori si sviluppa dopo i 50 anni, e dopo i 65 la probabilità di ammalarsi aumenta dell'80%!


Abbiamo anche studiato le esposizioni prenatali e neonatali in ratte coi loro piccoli: quando è stata fatta l'autopsia nei piccoli c'erano tumori attorno al 40%, mentre nelle madri nessuno: segno che i cancerogeni sono ancora più pericolosi per i neonati e i non ancora nati.

Ma ci sono finestre di rischio che caratterizzano ogni fascia d'età. Le esposizioni ambientali più comuni in Italia riguardano agenti cancerogeni a bassa potenza, dunque è più probabile che, se vengono ignorati, a farne le spese siano i bambini piccoli e gli anziani”.

Più di recente l'Istituto ha fatto uno studio sulle antenne delle stazioni di telefonia mobile, per capire l'impatto dell'esposizione umana ai livelli di radiazioni a radiofrequenza (RFR). Lo studio è il più grande mai realizzato finora. Nella ricerca pubblicata, il centro di ricerca ha studiato esposizioni alle radiofrequenze mille volte inferiori a quelle utilizzate nello studio sui telefoni cellulari del National Toxicologic Program USA, e ha riscontrato gli stessi tipi di tumore. Che sono: shwannomi maligni, tumori rari delle cellule nervose del cuore nei ratti maschi esposti all'intensità più alta 50V/ m. ( volt al metro). E gliomi maligni, tumori del cervello, nei ratti femmina.

Di fatto lo studio ha confermato i risultati del National Toxicologic Program americano. Le dosi di 5, 25 e 50 volt al metro sono le stesse che si trovano negli ambienti di lavoro, e sebbene l'evidenza sia quella di un agente cancerogeno a bassa potenza, si tratta comunque di un enorme problema di salute pubblica, dato che coinvolge miliardi di persone.

Ora al Ramazzini stanno facendo crowfunding per studiare anche gli effetti del 5G, che verrà immesso nell'ambiente senza alcuno studio preliminare circa la sua pericolosità, prevedibilmente maggiore, perché si tratta di migliaia di antennine connesse a miliardi di oggetti 24h su 24, con uso di frequenze a intensità più elevata.

Interessanti anche gli studi fatti sul glifosato, l'erbicida più usato della storia: più di otto miliardi di chili ne sono stati usati a partire dal 1974. Il suo uso è aumentato di 15 volte a partire dall'introduzione nel 1996 delle coltivazioni geneticamente modificate.

Nel 2015 l'Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro ( AIRC) ha classificato il glifosato come probabile cancerogeno per l'uomo. Le agenzie europee invece no. Sostengono che non ci sono abbastanza dati. Sia l'EFSA ( Autorità europea per la Sicurezza Alimentare), che l'ECHA ( Agenzia europea per la Chimica), hanno fatto opposizione. Questo stato di incertezza ha portato al rinnovo per cinque anni della licenza per il glifosato da parte degli stati membri dell'Unione Europea.

Il Ramazzini ha raccolto 300mila euro presso i suoi soci e sostenitori, che per fortuna sono oltre trentamila, per uno studio pilota.

Lo studio è stato fatto su ratti a partire dallo stadio embrionale fino a13 settimane dopo lo svezzamento, esposti a una dose di glifosato nell 'acqua da bere equivalente alla dose giornaliera accettabile nella nostra dieta secondo lo US Environmental Protection Agency. I risultati mostrano che i glifosati, anche a dosi considerate sicure e per periodi relativamente brevi ( dalla vita embrionale ai 18 anni), possono alterare alcuni parametri biologici, relativi allo sviluppo sessuale, alla genotossicità e al microbioma intestinale. C'è inoltre un effetto di bioaccumulo del glifosato proporzionale al tempo di trattamento.

Come si capisce da queste brevi note, l'attività dell'Istituto è unica al mondo e comparabile a quella di enti come l'OMS e il Centro Nazionale di studi tossicologici americano. Va dunque a tutti i costi tutelata nell'interesse collettivo. E' anche collegato a un poliambulatorio di prevenzione oncologica che ha ottenuto finora ottimi risultati. Già negli anni '60, quando la lotta ai tumori era pionieristica, Maltoni, con l'aiuto del PCI che allora governava Bologna, lanciò la prima campagna italiana di screening di massa per la prevenzione del tumore alla cervice dell'utero. Oggi si può dire che a Bologna e provincia questo tumore sia di fatto stato eradicato, a dimostrazione che la prevenzione, quando c'è, funziona.




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