Katalin Karicò, la Nobel più importante dopo Marie Curie Valeria Fieramonte
Ho incontrato Katalin Karicò al Festival della Scienza di Genova. Avevo appena letto il suo libro, intitolato ‘Nonostante tutto. La mia vita nella scienza’, ho insistito per intervistarla, cosa che mi è risultata impossibile perché erano ammesse solo grandi testate o TV. Per cui trovarmela davanti mezz’ora prima dell‘inizio della conferenza in cui le è stato conferito il premio Asimov, come sempre in anticipo su tutti gli altri da vera autentica secchiona (capace di stare in laboratorio fino alle due di notte e poi di tornarci alle cinque del mattino per verificare qualche esperimento), mi ha emozionato non poco: se non proprio un’intervista ho almeno potuto fare quattro chiacchiere con lei, disponibile e alla mano, alta, con un caschetto di capelli rimasto lo stesso di quando era giovane, un vestito chiaramente abborracciato provvisto solo una giacca elegante, all’apparenza sempre quella in vari colori, perché non ha tempo per queste cose, essendo anche impegnata nell’impresa di leggere sempre tutta la letteratura scientifica che trova nel suo ambito di ricerca. Ungherese, classe 1955, di famiglia contadina, povera, ma calda e accogliente, ha trascorso la giovinezza ai tempi in cui esisteva ancora l’URSS e la 'cortina di ferro'. Suo padre faceva il macellaio e, prima che lei nascesse, tale scelta si rivelò una fortuna, perché quando Stalin decise di affamare i contadini e collettivizzò le terre, almeno la sua famiglia ebbe sempre da mangiare. Katalin tuttavia fotografa il sistema socialista con obiettività, senza parlarne particolarmente male. La F con cui era classificata sui documenti, non significava che era di sesso femminile, ma che era di famiglia povera: cosa che negli studi la facilitò parecchio perché il sistema privilegiava i meno abbienti. A tredici anni fece le sue prime ‘gare’ su argomenti di biologia ( lei amava sopratutto le piante) vincendo vari premi. Perchè in Ungheria gli studi scientifici erano promossi fin dalle prime classi elementari (e non ignorati come da noi) e si poteva partecipare a doposcuola su temi scientifici. Questo dei premi dev’essere proprio un destino nella vita di Katalin: mi ha detto che finora, Nobel a parte, ha vinto 150 premi e naturalmente ne vincerà ancora perché ormai tutti la vogliono. Non è più una outsider come è stata fino a 58 anni , quando è stata mandata a forza in pensione dalla sua università in Pensilvania, perché non riceveva abbastanza finanziamenti alle sue ricerche e vigeva il criterio che i laboratori erano dati in gestione a chi riceveva più finanziamenti dall’esterno, secondo una formula precisa: dollari per metratura netta dello spazio dei labs. Per convincerla ad andarsene le hanno addirittura fatto buttare via documenti di lavoro e provette, senza neanche avvisarla. Ma ormai è acqua passata: il suo libro, scritto benissimo con l’aiuto di un ghostwriter, ricco di particolari sulla sua vita e sulla vita della comunità scientifica, è stato pubblicato in tutto il mondo e la prossima nuova edizione sarà in farsi (Iran). Ma in che cosa consiste la scoperta di Katalin e perché, dopo Maria Curie, è già di fatto la Nobel più famosa nella storia di questo ambito premio? Lei ha scelto da subito un argomento che nessuno voleva studiare: l’mRNA messaggero. A differenza del DNA, infatti, che è stabile, ma le cui modifiche restano per sempre nelle cellule, l’mRNA ha vita breve e, dopo aver mandato il suo messaggio di lavoro alla cellula (per esempio, produci la proteina taldeitali, ) scompare velocemente senza lasciare traccia. Studiarlo è però una vera rogna, proprio perché è così sfuggente, e probabilmente poteva riuscirci solo una geniale secchiona come lei. Immagino debba risultare chiara la potenzialità di un metodo ( l’utilizzo dell’ mRNA per inviare direttamente alle cellule i messaggi voluti) che è in fondo del tutto ‘ecologico’ perché ogni componente della struttura di lavoro si decompone e viene riciclata o espulsa, senza lasciare segni permanenti nel codice genetico. Naturalmente la faccenda è spiegata da me molto in soldoni: quegli stessi che non sono mai veramente interessati a Katalin, rivolta verso la curiosità scientifica molto più che ai guadagni, ma che certo le stanno piovendo addosso in gran quantità. Katalin è stata anche fortunata: proprio alla Penn University, in uno dei suoi trasferimenti di lavoro verso scalini più bassi dovuti alla sua mancanza di finanziamenti, davanti a una fotocopiatrice (cosa che ora non sarebbe più possibile), ha incontrato Drew Weissman, l’uomo destinato a prendere il Nobel con lei. Si presentano, e lui le spiega che lavora per trovare nuovi vaccini per le malattie infettive: influenza, herpes, HIV, malaria. ‘Fino a quel momento – dice - la mia mente era così assorbita dal potenziale terapeutico dell’mNRA, che mi ero completamente disinteressata ai vaccini.’ Drew aggiunge che è in grado di veicolare nelle cellule un antigene, (l’antigene è semplicemente una molecola che innesca una risposta immunitaria) per lo sviluppo di un vaccino, ma che lui e colleghi padroneggiano tutti i metodi tranne uno: quello per fare l’mRNA. ‘Nessun problema, ce l’ho io!’ Da lì si è innescata una catena di eventi destinata in seguito, con la comparsa del Covid, a cambiare per sempre le loro vite e a salvarne milioni di altre. Karicò è stata fortunata anche nella vita privata. Un marito d’oro (perfetto esemplare di quelli segnalati anche da Amalia Finzi), e una figlia, Susanna, diventata due volte campionessa mondiale di canottaggio alle Olimpiadi. Col suo metro e 88 di altezza è stata senz’altro facilitata, ed è molto simile a sua madre anche come determinazione e livello di impegno. Morale della favola: in Ungheria hanno fatto la statua della figlia, anch’essa nata lì e poi naturalizzata americana, ma non ancora a Katalin. Perciò lei risulta essere la mamma della più famosa campionessa sportiva, aggiunge scherzando. Se non è una bella favola moderna questa, non saprei proprio quale altra possa esserlo. Devo dire che a me le due, madre e figlia, sono risultate ancora più simpatiche la volta che hanno inscenato, molto tempo prima, davanti alla Casa Bianca, ai tempi di Clinton, una manifestazione per far tornare il marito, di nome Bela Francia, dall’Ungheria, con tanto di cartelli, musiche di protesta e lettere alla First Lady Hillary. Era dovuto partire da Filadelfia, dove vivono, per rinnovare le pratiche burocratiche dovute alla sua condizione di immigrato. Aveva trentacinque anni, ma per ottenere la green card dovrà aspettare a Budapest ancora alcuni mesi. Katalin però l’ha girata come sempre in positivo: ’una protesta del genere,- commenta - sarebbe stata inimmaginabile nell’Ungheria comunista quando ero bambina…’
Katalin Karicò, Nonostante tutto La mia vita nella scienza Bollati Boringhieri, 2024, pagg.280, 22 euro
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