Elena Sorba, Back to Mum

Valeria Fieramonte

 

 

 

E’ un ritorno alla madre doloroso quello di Elena Sorba, cui sono stati sottratti i figli in seguito a una denuncia di violenze domestiche da lei fatta contro il marito e padre dei bambini.

L’incipit del libro da lei scritto anche come denuncia di questa esperienza, già da solo fa capire molte cose: ‘ Dedico questo libro alle mamme e ai bambini che hanno dovuto imparare a sopravvivere dopo che è stato strappato il loro cuore’, e ancora ‘ ricordatevi di vivere ogni tanto per non morire di dolore’.

I suoi figli hanno 5 e 7 anni, e dal mese di novembre vivono in comunità: «La mia colpa? - dice Elena- Aver cercato di proteggerli.

Sono una donna normale con un lavoro normale, ma quando a un certo punto della mia vita ho trovato il coraggio di denunciare le violenze subite, questo gesto ha messo in moto una macchina infernale, una sorta di tortura istituzionale. In questo ingranaggio impietoso sono stati travolti anche i miei bambini: quello che è accaduto potrebbe sembrare incredibile, ma negli ultimi anni situazioni simili alla mia si stanno moltiplicando.

Ho sporto denuncia per proteggerli e chiedere aiuto e me li hanno portati via. Ora vivono in una comunità, non possono ricevere telefonate, non possono vedere i nonni gli zii i cugini gli amici….stanno vivendo come orfani. Io li posso vedere solo un’ora e mezzo al mese e in uno spazio neutro. Un abuso nell’abuso..»

Privata dei figli e per far fronte al dolore, intraprende per protesta Il cammino di Santiago. Sarà in qualche modo, come sempre nelle grandi sofferenze, un viaggio iniziatico. Scrivere è come rivivere, costringe a ricordare e dunque fa male, ma Elena ricorda l’esperienza di altre madri cui sono stati sottratti i figli. Come la madre di Luca, un bambino gravemente epilettico che è stata accusata di essere colpevole dei disturbi del figlio. o quella di Silvia Mari, una madre di Imperia, che per non consegnare la figlia si era chiusa nel bagno di casa. Si è ritrovata la porta forzata e una ventina di persone tra forze dell’ordine, operatori dei servizi sociosanitari, direttori Asl e 118, Hanno sollevato di peso la figlia mentre lei perdeva i sensi a causa di una puntura nelle natiche. Al risveglio in ospedale, legata in contenzione a un letto, alle sue proteste le hanno fatto un Tso, ossia un trattamento sanitario obbligatorio. Sua figlia aveva dieci anni e mezzo e col padre non ci voleva stare, ma si è ritrovata in comunità per recuperare un rapporto col padre di cui aveva paura, sottoposto a misure cautelari per condotte lesive e pericolose, e per di più scioccata dal trattamento subito dalla madre.

Elena si chiede perché l’Italia sia piena di panchine rosse, se alla violenza subita dalle donne si aggiunge una seconda violenza istituzionale che rende le donne vittime una seconda volta.

Protesta perché le madri che denunciano sono trattate peggio dei carcerati: lei può vedere i suoi bambini due volte al mese per un’ora, mentre la carta dei diritti dei detenuti, approvata il 5 dicembre 2012, consente ai detenuti sei colloqui al mese, con non più di tre persone per volta.

Conclude che i detenuti hanno più diritti dei suoi figli, che pure non hanno fatto nulla.

Nel suo caso non è stato rispettato neppure l’articolo 4 della legge 149/91, che prescrive il dover essere indicato il periodo di presumibile durata dell’affidamento, che deve essere rapportabile ai interventi volti al recupero della famiglia d’origine. In Italia sono circa 23 ogni giorno i bambini allontanati dalla famiglia, mentre secondo lei andrebbe allontanato solo il genitore abusante, e le famiglie aiutate a casa loro. Dovrebbero funzionare solo strutture legate all’emergenza e per il tempo strettamente necessario, mentre attorno alle cooperative c’è un grande giro di denaro, di bandi e di posti di lavoro, ma ogni tanto ci vorrebbe un magistrato che pensa: ‘troppi casi per essere veri’, anche se questo dovesse mettere in crisi un sistema di clientele politiche. Ricorda una madre che ha protetto il figlio dal padre che lo stava accoltellando facendogli da scudo. Dopo il ricovero di entrambi in ospedale, Il figlio le è stato sottratto egualmente e si trova presso una casa famiglia.

Secondo la commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, « la rilevata tendenza degli operatori di negare la violenza in nome della bigenitorialità espone le vittime – donne e minori- a ulteriori sofferenza e pregiudizi, nonché al concreto rischio di subire la reiterazione delle condotte violente. Detta tendenza costituisce innegabilmente una forma di vittimizzazione secondaria».

Non pare tuttavia che il giudizio della commissione d’inchiesta sia servito a ridurre le ingiustizie. La convenzione di Istanbul, all’articolo 18, stabilisce che gli stati dovrebbero evitare la vittimizzazione secondaria, che consiste nel far rivivere alla vittima le sue condizioni di sofferenza e il cui effetto principale è scoraggiare le denunce.

Eppure anche la convenzione non sembra avere avuto molto seguito. Come si capisce dal racconto di questa madre: « Il mio ex compagno è stato condannato per violenza. L’ospedale ha certificato che il bambino, col padre, è in pericolo psichico, fisico e evolutivo. Ma lo stesso è stato disposto dal tribunale l’affido condiviso. Io non sento più niente, neanche il dolore.»

E di quest’altra:« Il giudice ha affidato in via esclusiva mio figlio di appena 4 anni al padre, mentre lo stesso era indagato per undici denunce sporte da un centro psicologico pubblico per maltrattamento conclamato e sospetto abuso sessuale paterno.»

Se le madri non vengono credute, i figli non vengono ascoltati. Quando i bambini non vogliono vedere il padre, viene attribuita alle madri la colpa. Ma se ci sono violenze, non è normale che i bambini vogliano stare con la mamma? Invece nei tribunali italiani si applica ancora la cosiddetta alienazione parentale, sconfessata anche dalla Cassazione che definisce quest’ultima una teoria nazista. Le CTU o consulenze tecniche d’ufficio, sono pareri di psicologi erogati senza alcuna indagine vera né alcun accertamento dei fatti.

Questa quasi incredibile situazione aveva visto l’interesse della deputata Stefania Ascari nella scorsa legislatura, che in una relazione alla commissione giustizia proponeva anche di istituire una banca dati nazionale per capire cosa succede nel tempo ai minori fuori famiglia.

Elena Sorba è decisa a dare battaglia, per sé e per la altre madri, e il suo libro di denuncia va in questa direzione.


 


Elena Sorba, Back to mum, Arca edizioni, 16 euro.

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