TrasformAZIONE, no alla discriminazione sul lavoro delle donne malate di tumore

Valeria Fieramonte

 

 

Si tratta di un progetto per favorire il rientro sul lavoro delle donne che hanno avuto un tumore (la maggioranza al seno), realizzato da Europa Donna Italia.

Non lo conosce quasi nessuno, anche perché queste notizie non hanno diffusione, e oggi come oggi causa leader europei siamo diventate lo zimbello del mondo, tuttavia è una notizia utile da dare, perché donne che si sentissero discriminate, che abbiano perso il lavoro causa malattia, o siano state, nel migliore dei casi, retrocesse (ma in questo caso si tratta di ditte importanti), possano avere un sito dove rivolgersi in cerca di aiuto.

Il progetto si chiama TrasformAZIONE, è sponsorizzato anche da Manpower, Fondazione Human Age Institute e Studio Fava Associati.

Speriamo che l’azione sia vera e non le solite parole di rito da pensiero magico, ma trattandosi di donne è facile che l’azione ci sia davvero, a meno che non vengano spaventate dalle solite minacce.

Dice Lionella Maggi, presidente del Gruppo Terziario Donne Lombardia, una regione che ha un terzo delle imprese italiane: « Rappresentiamo la filiera delle donne imprenditrici, quasi tutte piccole medie imprese di carattere familiare. In mezzo alla gran quantità di persone che stanno perdendo il lavoro, chi è sola in balia della malattia si sente cadere il mondo addosso, sebbene ci siano in Europa 180 associazioni che ci dovrebbero aiutare. Io ero malata ed una delle ansie più grandi era di perdere il lavoro. Eppure le donne sono più attente degli uomini alla salute: quasi il 90% fa visite di controllo, una su quattro fa controlli al seno. Le conseguenze al di fuori della vita professionale sono meno importanti ma esistono. Di solito la famiglia è di supporto, ma una su quattro constata che è stata più che altro lasciata sola, evitata, isolata e compassionata».

Il fenomeno si aggrava in caso di donne dirigenti, declassate quando tornano al lavoro perché sono guarite. Il lavoro è una vitamina in più, uno stimolo per ripartire e riconquistare l’autostima, e certo è già tanto avercelo, ma non dovrebbe , come quasi sempre avviene, più sovrastare i tempi della vita. Sono 50mila ogni anno in Italia le donne che hanno una diagnosi di tumore.

Dice Loredana Pali, vicepresidente di Europa donne e anch’essa guarita da un tumore: « Quando ho avuto la diagnosi mi sono dimessa per non ostacolare i soci, ma quando sono tornata al lavoro non ho più trovato la scrivania perché ero stata demansionata. Cento donne, la maggioranza tra i 40 e i 50 anni – hanno aderito al progetto che abbiamo proposto e mandato il curriculum. E’ un modo per ricominciare. Però senza fondi la papera non galleggia.»

Aggiunge Anna Annese. « ho lavorato per 20 anni poi mi sono ammalata. Sono entrata nel progetto proposto da Stefania Grea, segretario Human Age Institute, e ho molto apprezzato che chiedessero il curriculum. E’ stato un modo per ripartire ad affrontare il mondo del lavoro, mi hanno aiutato ad affrontare i primi colloqui, sono grata anche a Manpower, che ha cooperato.

Il quadro normativo da conoscere è accennato da Gabriele Fava, avvocato. « Ho perso il seno, non il cervello, mi ha detto una donna che aveva perso il lavoro. Bisogna capire dove intervenire, il quadro normativo è vecchio e superato. C’è chi ha bisogno di assentarsi per cure (ormai anche con un tumore cronico si può vivere anni) potrebbe essere utile lo smart working...»

Insomma, qualcosa si muove per aiutare le donne, ancora più discriminate degli uomini in caso di malattia, quasi una ulteriore scusa per lasciarle a casa, anche se oltre il 70% dei tumori è causato dall’inquinamento ambientale, da radionuclidi (sono vivi e vegeti ancora quelli di Chernobyl) oppure inquinanti chimici, come a Brescia e Frosinone.

Chi inquina dovrebbe essere costretto a pagare anche questi ulteriori costi sociali, ma non è così.



Alcuni indirizzi utili: marianna.lavagnini@europadonna.it

Studio Fava e associati

Ufficio.stampa@Manpower.it


 

 

 

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