Veline
di Lea Melandri
I
modelli costruiti dai media, pubblicità e televisione in particolare,
sono molteplici, toccano le sfere alte della politica , dell'economia
e della scienza, e quelle comuni della vita dei singoli e delle loro relazioni
sociali. Allora perché tanto accanimento da parte di uomini e donne
di cultura nell'indicare come esempio massimo di "successo e volgarità",
illusione e sfruttamento, sogno e idiozia, quello che Natalia Aspesi,
commentando l'ultimo film di Muccino, Ricordati di me (La Repubblica
5.2.2003), chiama "la mandria" delle "veline",
"tutte uguali, tutte belle e interscambiabili", avide di
comparire in Tv più che di ricevere un premio Nobel?
|

Rosa Bonheur
|
Qualcuno
ha parlato di "sindrome della scorciatoia", altri del
"demone della facilità", per stigmatizzare una
cultura, un comportamento diffuso, che tendono sempre più a scansare
la fatica, le difficoltà, la sofferenza e i lavori "umili".
Ma nessuno si riferiva ai guadagni facili, a politiche precipitose e distruttive,
alla distorsione in chiave spettacolare delle notizie, bensì, quasi
sempre, alla "bellezza", e alle giovani donne che la ostentano
davanti a milioni di spettatori.
"La bellezza è fragile", scriveva tempo fa Corrado
Augias nella sua rubrica di lettere su Repubblica, e "ha sempre
avuto fretta di affermarsi", sicura di poter contare su strade
aperte. Perché una ragazza piacente, si chiede sempre Augias, dovrebbe
sopportare di fare la badante di un anziano quando può guadagnare
in un'ora il compenso di un mese?
Non si capiva a che cosa fosse riferita quell'"ora" così
ben remunerata, se a una comparsa televisiva o alla prostituzione di strada.
Quello che è certo è che le alte grida per la caduta dei
"valori", degli "ideali" che comportano sforzi, per
l'abbandono dei lavori "umili ma dignitosi", viene messa
unanimemente in relazione con una "libertà femminile"
che si esprime provocatoriamente come "libertà di sedurre",
appropriazione di un corpo da sempre asservito al dominio maschile e ora
usato come "patrimonio" proprio, da cui ricavare soddisfazione
e denaro.
Ciò che irrita e induce a giudizi moralistici sembra essere un
conflitto antico come il mondo: la potenza e le attrattive che l'uomo
ha visto nell'altro sesso e che oggi, nell'emancipazione della sessualità,
dei corpi, delle donne, vengono allo scoperto, impugnate, si potrebbe
dire, da "schiave radiose" più che da "vittime",
contro un'oppressione millenaria.
"Noi dove siamo? -si chiedono le ragazze del Collettivo Peppina
Baush di Pisa- siamo la lolita anoressica spalmata sulla vetrina
della Sisley, o la precaria spalmata sulla tastiera dodici ore al giorno?"
Costrette alle "schiavitù pianificate" di lavori
precari e mal pagati, dove non cessano di essere oggetto degli sguardi
e del controllo maschile, perché meravigliarsi se alcune donne,
contando su quel "potere" che è stato loro attribuito
e negato, se ne servono per illudersi di contare qualcosa, trasformando
in immagine, forme perfetta e idolo per molti un corpo destinato storicamente
a un destino violento?
Articolo
pubblicato su Carnet di marzo 2003
|