Pari opportunità ed il loro impatto sui redditi ed i lavori delle donne:
quattro domande



Vicky Franzinetti

 

La legge 125 introdotta nel 1991 ha compiuto 21 anni. E’ stata introdotta a seguito di una legislazione europea che a sua volta si ispirava alla legge statunitense sui diritti  civili del 1963. Come noto, lo spirito della legge è la presunzione di uguaglianza tra due o più gruppi: ogni diseguaglianza nella distribuzione dell’oggetto (redditi, posti etc) è un indice di discriminazione ed è prevista l’inversione dell’onere della prova nel caso di discriminazione.
Dopo 21 anni mi pare l’ora di chiedersi se la legge abbia funzionato, che impatto abbia avuto sull’economia, sui redditi delle donne e degli uomini in Italia, e quali siano state le conseguenze generali dell’emancipazione femminile, per lo meno di quella di alcuni strati della popolazione.  A queste domande non ho delle risposte chiare, ma mi pare utile lo stesso porle.

Domanda 1 : Dopo  21 anni la distribuzione delle disparità sociali ed economiche non si è spostata in Italia a favore delle donne, ovvero il divario salariale tra maschi e femmine è aumentato, il tasso di occupazione e di attività femminile non sono variati grandemente come media nazionale, e ci sono meno donne elette in politica. Ci sono più donne in posizioni apicali nell’industria, sindacati e marginalmente nell’amministrazione pubblica
La domanda che mi pongo è la seguente: in questi 21 anni è migliorata la condizione delle donne ai livelli più bassi della scala sociale? Parrebbe di no. Mentre è evidente che il divieto di accesso delle donne alle cariche e posizioni più alte (magistratura, politica, accademia, vertici della Confindustria e dei sindacati), mancanza di leggi sul corpo favorevoli alle donne, quali aborto, contraccezione e violenza, danneggiavano le donne nel loro insieme, non è ovvio (né pare vero) che la presenza di queste leggi e cariche, favorisca tutte le donne in ugual misura o semplicemente tutte le donne, per esempio le famiglie uni genitoriali con donne a bassa istruzione, per dire.
Mi pare che la questione debba essere esplorata perché oltre al tetto di cristallo, oltre il quale non si procede, sia studiato anche il pavimento di paglia attraverso il quale stanno crollando molte donne.

Domanda 2: Quale impatto collettivo delle  scelte individuali? Si è responsabili delle scelte individuali anche quando hanno effetti diversi da quelli desiderati o previsti?  A volte le nostre scelte sono meno libere o meno individuali di quanto non ci piaccia pensare: negli ultimi 50 anni migliaia se non milioni di donne in Italia hanno avuto un’istruzione migliore, non si sono viste obbligate a scegliere la maternità, hanno avuto una vita migliore delle loro madri in termini di diritti (aborto legale, divorzio, legge sulla violenza, accesso a studio e lavoro, diritto di famiglia) ed il tasso di natalità italiano è crollato. Tutto questo è però avvenuto praticamente a ‘bocce maschili e societarie ferme’, ovvero senza che vi siano stati dei mutamenti sostanziali nei comportamenti maschili e senza un a crescita sostanziale nei servizi che dovrebbero sostituire una parte del lavoro di cura gratuito che le donne facevano in famiglia. Alcuni esempi: gli uomini (e le donne) che non hanno avuto figli,  non perché non li desiderassero,  ma per non limitare la propria libertà,  o per  non assumersene la responsabilità. Nel caso degli uomini questa scelta  è stato soprattutto per non ‘limitare la loro libertà’ un modo elegante per dire che non se ne volevano assumere il carico. Tutto ciò ha creato una gruppo di donne senza figli disponibili a percorsi di carriera senza carichi di lavoro non retribuito. Altro caso sono donne e uomini di ceto medio o medio alto che hanno assunto per i lavori domestici e di cura donne meno libere, di ceto più basso, spesso con figli per non dover discutere sula divisione del lavoro di cura tra di loro. Va anche detto che mentre nei paesi del Nord Europa alcuni percorsi di emancipazione hanno coinciso con anni di sviluppo economico (e quindi con disponibilità di denaro per servizi) , in Italia l’era dei servizi è durata neanche 20 anni e quasi solo nel centro nord del paese. L’Italia (più di ogni altro paese dell’UE, ma con un ordine di grandezza simile a quello degli altri  paesi  mediterranei) ‘usa’ più badanti del nord Europa; si può ipotizzare una combinazione della mancanza di servizi e di una struttura familiare non molto flessibile? In altre parole si compra il tempo di persone (generalmente donne) che in genere vengono da altri paesi, cosi da non turbare l’ordine familiare e sociale (oppure si usano i nonni – soprattutto le nonne) .
Altro fatto su cui è calato il silenzio sono le motivazioni che sottostanno l’invecchiamento della società (ovvero meno nascite ed  un allungamento della vita).  La diminuzione delle nascite è il frutto dell’emancipazione delle donne, e quindi importiamo giovani da società in cui le donne hanno meno figli  e proponiamo loro, i lavori che le donne e gli uomini locali non vogliono più fare (cura, agricoltura ed edilizia), trend che solo la crisi economica forse spezzerà. A mio parere questo potrebbe essere un processo di ridefinizione di classi in presenza di emancipazione femminile, e non penso che la seconda o terza generazione di immigrati (sempre immigrati, una casta?) si presterà volentieri a svolgere gli stessi compiti. La scommessa di nessuno o pochi figli (ma buoni) non ha tenuto presente il lavoro invisibile delle donne e la  caducità del corpo. Poiché penso che le idee nascano anche dalle condizioni materiali, credo che questo genererà un pensiero autogiustificativi alla  Rousseau sulle donne immigrate che forniscono servizi  che alcune donne italiane non svolgono più. Questo vuol anche dire modelli sempre più differenziati di donne in Italia.

Domanda 3: cosa succede se il concetto di pari opportunità non si applica esclusivamente al genere ma a molti gruppi?  Forse potrebbe accelerare la moltiplicazione di gruppi se ad ogni gruppo corrisponde un vantaggio rispetto ad altri (criterio di utilità) , essendo un requisito per l’accesso alle risorse.  Inoltre un atteggiamento di questo tipo, presente anche molto nell’UE, si apre ad interpretazioni di un multiculturalismo di spartizione: ‘ad ogni gruppo  le sue risorse’,cosi determinando un restringimento dello spazio alla cittadinanza ed allo spazio pubblico condiviso, fatto che in periodi di crisi potrebbe determinare (modellare)  il futuro. Inoltre solitamente la forza di una comunità si traduce in o agisce come una forza normativa sulle donne della comunità stessa e, per riflesso sulle donne delle altre comunità. Questo non è mai stato un vantaggio per  noi, in quanto rafforza gli aspetti identitari e conservatori.  In ultimo una versione per gruppo di opportunità  oltre a rafforzare appartenenze contribuisce al nascondimento dell’uguaglianza tra individui  (che non essendo per definizione una diversità esce dalle pari opportunità).

Domanda 4: Hanno funzionato gli organismi di parità? La risposta richiederebbe una seria indagine perché probabilmente varia moltissimo a seconda della zona e delle politiche. Hanno funzionato e funzionano commissioni e comitati? Forse dopo 21 anni ci meritiamo una risposta seria.

 

Quanto detto,  e qui arrivo al dunque, ha impatti economici e  sociali  feroci e mi azzardo a fare qualche previsione, cosa assai rischiosa a questo mondo.  Nella crisi economica le posizioni apicali sono meno toccate di quelle basse. Le donne in posizioni apicali saranno marginalmente più colpite degli uomini e cercheranno di difendere le posizioni di (pensioni o piccoli privilegi) . Le donne che sostituisco servizi sociali (badanti, colf, madri e nonne) vedranno ridotte ulteriormente le retribuzioni (quando le hanno) , utilizzando la mancanza di diritti civili e politici (nel caso delle immigrate) come leva al ribasso. Ne soffriranno anche le donne con diritti politici e sociali. Le donne a basso reddito (quelle che un tempo si chiamavano povere) riprenderanno ruoli più tradizionali,  motivandoli nei modi più vari (dal bene dei figli, al piacere di stare a casa, alla mancanza di lavoro adeguato). Anche quel fenomeno della ‘vendita delle figlie’ che cosi tanto ha scandalizzato con Berlusconi,  ha degni antecedenti in epoca vittoriana.  In questo gruppo   potrebbero scivolare anche giovani donne lungo-precarie ad alta istruzione che useranno la definizione di una società liquida magari come elaborazione di una regressione sociale ed individuale.
I modelli di donna si differenziano viepiù in base al reddito (individuale non familiare) , al tipo di lavoro, all’accesso al lavoro, al modello culturale di genere della comunità di appartenenza .
Può darsi, anzi è quasi certo che abbia detto delle frescate, ma almeno ci ho provato. Ho provato a pensare, a chiedermi perché i divari retributivi  di genere in Italia aumentano, perché non cresce il numero di donne in politica, perché c’è una maggiore ridefinizione di classe e genere (forse lungo linee diverse da quelle maschili, ma altrettanto feroci) . Ho provato a  chiedermi cosa succede se un gruppo di donne si emancipa senza che cambino i modelli societari, quale sarà l’impatto della crisi sui modelli familiari, sociali e di genere. In un momento di mancanza di risorse e di declino di una società, sono gli elementi che si salvano a dar  forma al futuro. A  sinistra invece mi pare prevalga la difesa di modelli esistenti  cosa anche giusti,  ma dove son i modelli  nuovi? Come spesso succede nei momenti di cambiamento le scelte e le politiche passano sullo sfondo e diventano ‘inevitabili’ e di buon senso, ovvero non si vedono più e diventano una realtà piuttosto che una scelta.



Vedi social watch- poverty eradication and gender justice Gneder equità Index 2012 (http://www.socialwatch.org) e Human development report 2011 Gender Inequality Index especially table 4 (pages 139 142)  (hdr.undp.org/reports/global/)

 

12-04-2012

 

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