Intervento a
Tutto su mia madre
2,3,4 settembre 2011

di Vicky Franzinetti

 


Élisabeth-Louise Vigée-Le Brun

 

Mi pare giusto presentarmi:
ho 58 anni e sostanzialmente ho allevato da sola mio figlio che adesso ne ha 28. Nella vita la politica è stata la mia passione. Sono stata presente nel 1968 nei movimenti studenteschi, al movimento femminista dal 1972, e al sindacato donna dalla sua fondazione, ho lavorato con l’Ires Cgil, con le ASL di Torino,  e con il sindacato SPI-cgil. Nel movimento delle femminista facevo parte dei gruppi che insegnavano auto-visita ed eseguivano aborti (fino all’introduzione della legge 194). Questo mi ha lasciato una grande familiarità con il corpo delle donne, sia il mio che quello delle altre. Ho avuto un figlio maschio e cerco di tenermi ad una discreta distanza dalle sue ragazze perché non avrei voluto un suocera o non suocera come me. Mio figlio abita per conto suo. Considero il mio potere di madre il potere della forza, quello di figlia il potere della debolezza, cosa che può cambiare con l’età e con l’invecchiamento della madre (la mia ed io come madre). Non dimentichiamoci che noi in questa sala (come ovunque) siamo figlie (o figli) ma per la prima generazione essere madri è stata una scelta. Siamo tutte figlie per natura ma ormai da almeno una generazione madri per cultura. Ringrazio Monica moltissimo sia per l’organizzazione che per avermi invitata.

Come detto sono della prima generazione che ha potuto scegliere cosa fare (se fare figli, se sposarsi o meno,  che sessualità . Molte delle giovani sono più uguali delle loro madri ai maschi giovani poiché, come anche confermano studi sociologici, la parità si è avuta esonerando anche le figlie dai lavori domestici. Ovvero mentre due generazioni fa le figlie femmine aiutavano le madri in casa ed i maschi no, adesso nessuno dei due aiuta e quindi la trasmissione trans-generazione si è fermata ma sul modello maschile, non è riuscita ad incorporare il modello femminile. L’unica parità concepibile è stata quella maschile. Che immagine hanno quindi le figlie ( ed i figli) delle madri e dei padri (che un po’ di più anche se poco aiutano). Contribuisce ad un’infantilizzazione estesa?

Gli anni 70, 80 e 90 dell’altro secolo (e millennio) hanno visto la socializzazione della sfera privata e del lavoro svolto in quella sfera (dalla famiglie estesa ai servizi), con un seppur parziale negoziazione sociale della sfera privata e del lavoro di maternità (allora on si parlava ancora di genitorialità). Si sono identificati alcuni diritti, quali la titolarità dei bambini ai servizi per l’infanzia (e non più alle madri che erano quelle ‘preposte’ ad occuparsene.
Tuttavia una cultura è tale se riesce a riprodursi, ovvero a perpetuarsi pur evolvendosi (e se i suoi appartenenti continuano ad identificarsi con essa). Credo che non siamo riuscite proprio in questo, nel riprodurre o far crescere quell’embrione di cultura, ovvero a perpetuarci seppur in modo diverso. Non siamo riuscite a proporre né una cultura né la sua riproduzione nel sociale. Molte delle nostre lotte si sono trasferite su servizi personali forniti da immigrate, ma su questo torno tra un momento. Per intanto vorrei citare Lea Melandri che nel corso della presentazione di Amore e violenza (Torino, presentatrice Anna Bravo)  descrisse il sesso berlusconiano (si parlava delle minori in quei giorni) lo descrisse sostanzialmente come sesso libero non governato, non gestito che quindi (metto io parole a un suo concetto)  una libertà diventata schiavi di vizi che non rientra su se stessa (riproponendo mores e ipocrisie degli anni 50), ma non riesce a liberarsi da altri demoni diventandone vittima e poi merce. In questi anni alcune persone hanno attribuito alle straniere una naturalità di cultura, un ossimoro, non essendo nessuna cultura per definizione naturale, ma appunto un costrutto culturale. Con l’atteggiamento suddetto si esentano alcune persone (immigrate) dal giudizio che la cultura, a differenza della natura, impongono.

Il tentativo delle donne madri (o figlie se si occupano delle madri e dei padri con l’invecchiamento della popolazione)  di mettere assieme lavoro di cura, servizi, lavoro retribuito, non riesce più a trovare uno sbocco sociale e quindi politico. L’arrivo delle immigrate ha ridefinito quello che un tempo si sarebbero chiamate le classi sociali, ed il loro lavoro (mal retribuito) è andato a sostituire i servizi e la percezione dei servizi. Come sempre il trasferimento del lavoro richiede un’ideologia, come dimostra la ripresa di valori familiari (matrimoni etc) nella borghesia  (definita anche come chi si può permettersi di pagare tali lavori). L’ideologia di questo strato sociale rende possibili, giustificabili (razionali) le decisioni di togliere il lavoro di cura dall’ambito della contrattazione pubblica. Se si era passate dal ‘personale è politico,  ‘il privato è pubblico’ ora lo si riprivatizza ma in un'altra forma che chiamerò la privilegizzazione (ossia che resa privilegio).  Come prima della rivoluzione francese tornano ad essere le classi più povere a non sposarsi (perché il matrimonio  costa,  perché la gente ha meno paura  delle istituzioni) mentre le classi più colte e ricche si sposano. Negli anni 70 invece erano le donne più indipendenti e colte che non desideravano sposarsi mentre le donne di classe lavoratrice si sposavano per conformità alla regola e alla religione (vedi anche discussione sul referendum sul divorzio). A me per esempio a volte mi dicono ‘ma è come se tu fossi sposata’  ed io rispondo no non è lo stesso  perché quello svilisce la mia scelta, che tale era e continua ad essere, oppure altre o altri che dicono ‘ noi è come se on fossimo sposati ‘ che non solo svilisce la loro ma non fa i conti con i vantaggi sociali e familiari.  Negli anni le pari opportunità sono diventate sinonimo di carriera, e non si occupano più della disparità delle carriere in basso o del rapporto tra lavoro retribuito e di cura (non retribuito). Si è creata dunque una dicotomia tra le classi che acquistano lavoro di cura (spesso con una giustificazione emancipatoria : ‘ho il mio lavoro non posso mica rinunciarvi’) e quelle che lo vendono. Nelle fasce a basso reddito quando non è possibile acquistare lavoro di cura alcune tornano ai ruoli tradizionali ed altre ad  una forma di uguaglianza coatta. Si crea una sorellanza scomposta spesso velata dall’ambiguità dell’amicizia per la badante, relazione priva della condizione necessaria per l’amicizia, ovvero la libertà delle parti contraenti. Mentre per le datrici di lavoro  la figura sociale si scompone a seconda del lavoro, età,  regione e famiglia, l’identità di quella di chi vende il proprio lavoro viene data come univoca e gli uomini spariscono felicemente dall’equazione.  Girano discorsi da anni 50, secondo cui piacerebbe alle donne il pagamento il di cura a pagamento (si diceva la stessa cosa delle casalinghe allora).

La domanda era anche se siamo più madri o più figlie. Sicuramente figlie, e figlie più a lungo ma anche perché come corpo politico femminile abbiamo trovato  più uguaglianza non incorporando  il lavoro di cura nella sfera pubblica piuttosto che incorporandolo. La privatizzazione del diritto sociale che si acutizzerà con la crisi potrebbe portare ad una regressione sgangherata, come la libertà sessuale di cui parlava Lea, libera ma agita da altri.  Come le madri che hanno proposto l’uguaglianza togliendo il lavoro anche alle femmine (ma il lavoro non è sparito) lo abbiamo fatto anche nell’ambito sociale.
Una domanda allora: qual è il progetto politico dietro l’essere madre e quale dietro l’essere figlie (ambedue in senso sociale e politico) . O vogliamo ricondurre tutto a una naturalità, meglio se pagata da altri/e?
Se non è politico, il personale, il lavoro di cura  che cos’è?

Ringrazio Monica Lanfranco sia per aver organizzato il seminario sia per tutto il lavoro svolto

 

14-9-2011

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