Violenza di genere. Cambiamone la percezione

di Emanuela Moroli

 

1.    2 gennaio, Mortellaro Maria Concetta, 69 anni, uccisa con arma da taglio dal partner a Ladispoli.

2.    4 gennaio, Ferlicca Roberta, 31 anni, uccisa con arma da taglio dal coniuge a Roma.

3.    6 gennaio, De Bartolo Immacolata, 47 anni, uccisa con arma da fuoco dal coniuge a Montaldo Uffugo.

4.  12 gennaio, Disseto Caterina, 64 anni, uccisa con arma da taglio dal ex coniuge a San Front.

5.  20 gennaio, Verona Elda Iside, 73 anni, uccisa con arma da fuoco dal coniuge a Genova.

6.  24 gennaio, Boi Emanuela, 62 anni, uccisa con arma da taglio dal coniuge a Genova.

7.   7 febbraio, Antiochia Roberta, 44 anni, uccisa con arma da fuoco dal ex coniuge a Roma.

8.  10 febbraio, Capati Paola, 49 anni, uccisa con arma da fuoco dal coniuge a Terni.

9.  11 febbraio, Surgus Donigala, 70 anni, uccisa con arma da fuoco dal coniuge a Vicenza.

10. 12 febbraio, Arnaldino Olimpia, 40 anni, uccisa con arma da taglio dal partner a Milano.

Queste le prime dieci donne europee-italiane-cristiane-cattoliche ammazzate da un uomo della propria famiglia e dintorni nel corso del 2003 (dato Eurispes). Quell’anno sono state 95. Nel 2004 stessa sorte è toccata a 102 donne italiane e nel 2005 a 98. Per loro a volte un trafiletto, spesso un pesante silenzio.

Nessuno scandalo, nessun giornalista tuttologo che discetta di tradizioni crudeli/arretratezza culturale/relazioni familiari inique/religione arcaica e misogina. Loro, le 95, le 102, le 98 sono state tutte ammazzate nei modi più efferati all’interno di una civiltà evoluta, paladina dei diritti civili, che ha promosso le Pari Opportunità e di una religione che racconta di rispettare le donne. La loro morte strettamente connessa all’antica volontà di controllo e dominio maschile, non ha suscitato nessuno scandalo, ma un padre islamico che ammazza la figlia che gli ha voltato le spalle per avvicinarsi ad un altro uomo di cultura europea, la nostra cultura, questo no, non si può sopportare.

Ed esplode la polemica filosofica, culturale, politica.

Ancora una volta una storia di uomini che si contendono la supremazia della propria cultura e religione, ancora una donna che con coraggio esprime i propri desideri, sceglie la propria libertà e la paga con la vita, ancora una volta un’occasione per manipolare un esecrabile fatto di cronaca e trasformarlo in altro; questa volta va in scena una campagna denigratoria nei confronti di tutti gli immigrati residenti in Italia.

Ma è accaduto un imprevisto, chi sperava di avere al suo fianco il movimento delle donne per rafforzare il suo grido d’orrore per questo delitto compiuto in nome di altre tradizioni e altra religione, che pure siamo consapevolissime che a volte hanno per le donne uno sguardo spietato, è rimasto spiazzato: il femminismo come sempre ha conservato la sua lucidità politica, la sua autonomia di pensiero, la sua capacità critica e ora parte proprio dall’inaccettabile uccisione di Hina Saleem, la ventenne pakistana sgozzata dal padre e dai famigliari che non sopportavano la sua scelta di libertà, per un’analisi critica sul fenomeno della violenza di genere che sembra inestinguibile anche nei Paesi che si definiscono ad alta civiltà.

Insomma a chi sperava di vedere sfilare cortei di donne contro l’integralismo patriarcale islamico, gli sta scoppiando in mano la potenza critica e costruttiva delle analisi e dell’elaborazione femminista, che sa bene di lapidazioni, segregazioni, matrimoni forzati, ma non accetta che questi orrori oscurino il disprezzo occidentale per la dignità delle donne, le finte Pari Opportunità, i numeri spaventosi delle donne che affollano gli oltre cento Centri antiviolenza che operano in Italia e che al 90% hanno fra le loro ospiti donne massacrate in famiglia..

Le istituzioni locali, sulla scia dei media, si sono improvvisamente allarmate, propongono radiobus rosa, telecamere ovunque, luoghi sicuri di aggregazione, ma non sarà così che si allontanerà la violenza dalle città e dalle case. Nessun intervento sporadico e isolato potrà dare risultati; non si tratta di acciuffare qualche colpevole o salvare qualche ragazza dall’aggressione, è necessario trasformare la percezione sociale che si ha della relazione uomo/donna e del violento.

Può apparire un’impresa impossibile, ma può concretizzarsi anche nella più straordinaria delle rivoluzioni.

Le donne da decenni studiano questo fenomeno mondiale, hanno portato avanti esperimenti e grandi progetti, sanno che ce la si può fare. E viene la tentazione di rimboccarsi le maniche proprio ora che se ne parla per dividere popoli e culture: sarebbe il modo più giusto per onorare il coraggio e la memoria di Hina Saleem.

Ma è necessario che scendano in campo i saperi delle donne, le loro esperienze, la loro capacità di fare ed elaborare insieme. Solo così è possibile passare da proposte sporadiche e isolate di repressione della violenza ad un progetto integrato che coinvolga la comunità nel suo insieme, un intervento globale della società contro la violenza di genere, per cambiare da tollerante a severa la risposta della comunità tutta nei confronti degli aggressori.

In altre parti del mondo le associazioni di donne e le istituzioni, in sinergia, ci stanno provando. In Inghilterra, Olanda, Stati Uniti sono in corso esperimenti interessanti. In Italia, oggi, si può fare molto e bene.

Quello che ieri poteva apparire impresa impensabile, oggi può trasformarsi in impegno fattivo. Ci vogliono leggi che sostengano l’esperimento, ci vuole la volontà di inserire piani di interventi culturali al femminile nelle scuole di ogni ordine e grado, ci vogliono progetti che favoriscano

concretamente l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro, ci vuole un intervento di sensibilizzazione dei media perchè tutelino con più competenza e correttezza la dignità e i diritti delle donne, ci vuole la volontà politica di sostenere con ogni mezzo i centri antiviolenza, ci vuole una mutazione nella sensibilità e competenza delle strutture sanitarie, ci vuole la possibilità di intervenire nella formazione dei magistrati, ci vuole la determinazione a inserire la lotta alla violenza di genere nei programmi di formazione delle forze di polizia, ci vuole la capacità di stilare progetti psico educativi per gli uomini che hanno usato violenza nella loro relazione, ci vuole un’attenzione sapiente per evitare che i più piccoli siano testimoni di violenza, ci vuole l’impegno politico necessario per dare valore e mettere in evidenza le differenze di genere, ma soprattutto ci vuole saper offrire ad ogni donna gli strumenti culturali necessari per fare una autovalutazione della sua relazione rispetto ai rischi di violenza.

In una parola bisogna cambiare il clima di tolleranza, ora palese, ora sotterranea, ma sempre presente, che c’è nella nostra comunità nei confronti degli aggressori e trasformarlo in un giudizio totalmente critico nei confronti dei violenti, finalmente declassati da bulli e da uomini che si sanno fare rispettare, ad individui spregevoli e vili indegni di abitare in una società solidale.

Difficile? Sì

Ma se le donne prendono con forza e determinazione la parola, tutto ciò è possibile. C’è un sapere, quello femminista, che non ha ancora trovato sbocchi sufficientemente ampi, che ancora non ha imperniato di sé segmenti consistenti della società, il risultato è una società violenta.

Oggi l’esperienza femminista si è rafforzata nella riflessione e nel confronto, nelle tante pagine scritte, nei grandi incontri internazionali e nelle esperienze sul campo, penso ai Centri antiviolenza, veri e propri laboratori sociali. Gli strumenti elaborati nei luoghi delle donne, non vengono più vissuti con sospetto dalle donne delle istituzioni. Sui grandi temi come la violenza di genere, oggi che in Italia al governo, in parlamento e nelle istituzioni locali vi sono donne che hanno attraversato il femminismo o che comunque conoscono la qualità e il valore delle politiche delle donne, si può creare sinergia e trovare le forze per un grande progetto che metta a punto una risposta integrata e coordinata della comunità alla violenza contro le donne.


 questo articolo è apparso su
Liberazione del 31 agosto 2006