Occhio alle metafore

Liliana Moro


E' usata di continuo per descrivere questi giorni la metafora della guerra e non è solo una metafora, visto che è stato chiamato l'esercito a pattugliare le strade.

Ma fermiamoci al livello delle parole, che sono importanti, come urlava Moretti. Usare la parola “guerra” per indicare le attività forti e determinate, decise e faticose, che si esplicano ora per affrontare il contagio è profondamente sbagliato, perchè una guerra non è mai, mai, volta a salvare vite ma a distruggerle, e questo è un piccolo particolare di grande rilevanza.

L'hanno fatto notare alcuni che hanno visto la guerra da vicino, o la seconda guerra mondiale qui o le guerre attualmente in corso altrove.

Usarla significa accostare i due eventi e quindi fare un passaggio di caratteristiche dall'uno all'altro, si slitta su un terreno scivoloso: la guerra armata è l'unico modo di operare in modo deciso e radicale?

Non è così e non è mai stato così nella storia, ma accadono cose strane. Ad esempio negli Usa è scattata la corsa all'acquisto di armi, vogliono sparare al virus ?? ridicolo se non fosse tragico. Perchè se una struttura mentale si basa sul presupposto che per difendersi bisogna armarsi, è chiaro che non si può fare altro che rispondere così a qualsiasi pericolo.

Altro slittamento grave: la guerra, l'uso di armi, può essere qualche cosa di positivo? di benefico? di utile? Credo che questo sia un pensiero che moltissimi condividono inconsapevolmente: la guerra è un mezzo riprovevole ma necessario per raggiungere un fine buono e giusto. Anch'io mi sono scoperta a pensarlo e mi sono accorta con orrore di questa implicazione della metafora.

Chi ha vissuto o vive una guerra vera sa troppo bene che non è così: non c'è un dopo positivo, c'è solo morte e distruzione, crudeltà e dolore, che sfociano in altre sofferenze. Dopo le guerre non si sistemano le cose, anche quando finiscono davvero e non si trascinano per anni e anni come in Afghanistan o in Siria.

Tuttavia è vero che viviamo in una situazione di eccezionalità, siamo immersi in una grande anomalia dove tutte le normali attività sono sospese. In questo c'è una forte analogia con la guerra: le nostre vite sono stravolte, cambiate profondamente, sotto la minaccia di un pericolo che nessuno di noi ha procurato con scelte avventate, ma che possiamo solo subire.

Siamo in una situazione dove viene allo scoperto quello che, in realtà, accade sempre nella quotidianità più ovvia e accettata: alcuni decidono anche per altri che ne patiscono le conseguenze.

Normalmente, però, abbiamo un margine ben maggiore di manovra e questo rasserena non poco, sappiamo di poter seguire una nostra scala di valori, abbiamo uno spazio (letteralmente) di libertà e di scelta.

Allora mi domando: che cosa vale? Che cosa mettiamo al primo posto quando bisogna scegliere e non possiamo più tenere insieme tutto?

Ora abbiamo visto chiudere subito scuole e università mentre le fabbriche di armi sono ancora aperte a oltre un mese dalla sospensione dei contatti sociali. Le industrie belliche sono una produzione essenziale, evidentemente, vitale... per i loro proprietari.

Sullo scempio della sanità è stato detto moltissimo ed è evidente a tutti ormai il basso valore sociale che è stato per anni attribuito alla tutela della salute di cittadini e cittadine. Confermato dall'inesistenza della prevenzione e dal generale disinteresse per la questione ambientale.

Se questa è la scala di valori che domina nel nostro mondo, non stupisce la situazione catastrofica in cui ci troviamo. Non torniamo alla normalità, vi prego.

 

26-03-2020

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