Le viscere della storia
di Lea Melandri


Maria Morganti

Questo articolo è apparso su il manifesto del 12 novembre 2004

Quando scoppiò in America lo scandalo Clinton-Lewinsky, molti intellettuali si chiesero come era possibile che una squallida storia privata di sesso potesse diventare più importante della guerra che sconvolgeva in quel momento i Balcani. Oggi, di fronte all'esito delle elezioni americane, lo stupore è analogo, anche se sono cambiati i termini della contrapposizione. "Bush - ha scritto Rossana Rossanda (Il Manifesto 5.11.04) - sta scombinando il nostro lessico e i nostri riferimenti": diventano "valori forti e caldi" sentimenti, emozioni, fobie sessuali che avrebbero dovuto restare dentro i confini del vissuto personale, mentre si eclissano, facendosi "deboli e freddi", quegli "interessi materiali" che una ragione illuminata ha considerato la struttura portante della vita pubblica (lavoro, stato sociale, emarginazione, limitazione delle libertà, ecc.).

Un elenco di dualismi così dettagliato -caldo/freddo, materiale/immateriale, cuore/ragione, maschile/femminile, ecc- non si vedeva nella cultura occidentale da quando Pitagora dettò la sua famosa "tavola" degli opposti, con la differenza che la gerarchia non è più la stessa: la viscere, il cuore, la vampa emotiva, la fragilità, l'egoismo, la vincono oggi sull'ordine che ha istituito la pòlis e che ha dato poi forma alle moderne democrazie.
L'effetto di capovolgimento è eclatante: la provincia, la campagna, le piccole città trionfano sulle metropoli, le comunità religiose mobilitano più della sinistra laica, la fede fa prendere più voti che il ragionamento, la paura premia le scelte politiche che sono destinate ad accrescerla, l'aborto e i matrimoni gay spaventano più della disoccupazione e del terrorismo.
Osama Bin Laden, nel suo appello alla responsabilità dei cittadini americani, non sapeva (o forse malignamente sapeva) che da quel "cuore" profondo dell'America si sarebbe risvegliata una potenza a lui opposta, ma speculare: il fondamentalismo cristiano, quel "cielo e inferno dei valori morali", per usare un'espressione di Massimo Cacciari, a cui la sinistra ha guardato sempre con diffidenza, tenendoli separati dalla politica.

La vittoria di Bush si configura in modo evidente come un terremoto la cui faglia si è aperta l'11 settembre 2001: l'irruzione dell'altro da sé, del lontano, del nemico sul suolo proprio. Ma quella che appare come una "regressione", un ritorno al Medioevo, a una virilità rozza "da Frontiera", forse ha bisogno di una lettura meno semplificatoria, fuori da facili e tradizionali contrapposizioni.
E' vero che i cosiddetti "valori morali" sono in realtà dei "non valori", dei "valori pessimi" e, quanto meno, contraddittori: la difesa della vita contro l'aborto e la pena di morte, il via libera alle leggi di mercato e la chiamata all'altruismo cristiano, il richiamo al bisogno di sicurezza e l'uso spregiudicato di una forza militare che non ha confronto. Ma è anche vero che le spinte, da cui questi "valori" muovono e di cui appaiono come una risposta deformata, sono dati reali di quella "vita psichica" che la razionalità illuministica e l'economicismo di gran parte della sinistra hanno cancellato dalla loro visione del mondo, consegnandoli di fatto alla religione o all'interiorità.
Penso, per nominarne solo alcune, alla paura del diverso, sentito, per un riflesso arcaico come nemico, e, in particolare, a quel primo diverso che è il corpo femminile da cui l'uomo è generato, visto come potenza capace di dare la vita e la morte; penso all'omofobia, struttura portante di una società di soli uomini che si costituisce, non solo immaginariamente, come "fuga dal femminile"; penso al bisogno di protezione e quindi di appartenenza, che porta ad identificarsi col più forte.
Oggi si scopre che l'inconscio collettivo, che si è espresso "democraticamente" nel voto di una maggioranza silenziosa, è reazionario. Non era poi così difficile da immaginare: tutto ciò che è stato sepolto nella zona più oscura della vita dei singoli, identificato con la natura o con la parola rivelata di un Dio, per potersi modificare ha bisogno innanzi tutto di essere riconosciuto, narrato e analizzato, restituito alla cultura e alla politica con cui è sempre stato in rapporto, sia pure un rapporto alienato, strumentale, distruttivo della politica stessa e delle sue conquiste democratiche.

L'"immensa esperienza negativa" che si è accumulata nelle "viscere della storia" nel corso dell'ultimo secolo, come conseguenza del fatto che sono stati considerati condizione quasi esclusiva del cambiamento i rapporti di produzione, oggi esce allo scoperto attraverso la retorica populista delle destre occidentali. Ma, se non ne abbiamo paura e, soprattutto se non abbiamo fretta di cancellarla o imitarla, forse è l'occasione per dare finalmente cittadinanza a "esperienze essenziali del vivere umano".
In una vicenda drammatica e carica di conseguenze come l'11 settembre, quando si vanno a raccogliere "le parole dei testimoni", la prima constatazione, come ha scritto Ida Domijanni (Il Manifesto 2.11.2004) è che la "varietà dei vissuti" non ha né una "rappresentazione pubblica" né una "rappresentanza politica" che possano reggere al confronto con quella ufficiale. Ma quante altre esperienze "impresentabili" per i linguaggi codificati della politica restano sepolte nel magma indifferenziato di pensieri e sentimenti "che si è ancora tentati di appiattire sulle leggi immodificabili della natura, o di leggere semplicemente come fenomeni antropologici?
In tempi in cui la "biopolitica" sembra voler penetrare fin dentro la cellula prima della vita -proclamando la personalità giuridica dell'embrione- è quasi incredibile che chi si batte per la giustizia sociale e per l'umanizzazione dei rapporti tra diversi, non si renda conto che sottrarre all'"insignificanza" storica le pulsioni e le componenti più elementari della "vita psichica" è il passo indispensabile per non esserne pesantemente condizionati e ostacolati nello sforzo di costruire "un altro mondo possibile".

La giusta preoccupazione, a cui fa spesso riferimento Rossana Rossanda, di non fare della politica una totalità inglobante, normativa, regolatrice dei rapporti sociali ma anche della "persona" nella sua interezza, sentimenti compresi, non sembra tener conto che è proprio l'idea di una politica ristretta alla sua funzione"calcolatrice e amministrativa" a costituire una minaccia di assimilazione, e a lasciarsi perciò ai margini una vasta area di "impoliticità", resistente a farsi omologare o anche soltanto tradurre nei suoi linguaggi e nelle sue leggi. Finchè questo "residuo" immenso di sapere, energie e risorse creative resterà tale, le democrazie non potranno dormire sonni tranquilli e le rivoluzioni perderanno un apporto indispensabile per to
gliere consenso alle logiche del dominio e della guerra.