Il modello è la lingua: contaminare e mescolare per includere

Intervista a Igiaba Scego
di Maria Vittoria Vittori



Nasce da un corpo traumatizzato, finisce con un corpo di nuovo collegato all'interiorità, di nuovo capace e felice di esprimersi, questo romanzo: e in mezzo ci sono le storie di due giovani donne, delle loro madri e dei loro paesi, feriti e traumatizzati al pari dei corpi: questo, e molto di più, è Oltre Babilonia di Igiaba Scego. Drammatico e luminoso, a più voci e più prospettive, pieno di cicatrici e di energia vitale. Le voci di Zuhra e di sua madre Maryam, in fuga da una Somalia lacerata dal colonialismo e dalle guerre tribali, la voce di Mar e di sua madre Miranda, esuli da quell'Argentina dei colonnelli che ha risucchiato i suoi figli migliori, s'alternano - insieme a quella di Elías, il padre - in un inquieto andirivieni fra epoche e luoghi diversi. A raccontare in una lingua densa, succosa, meravigliosamente miscelata di percorsi differenti, ma ugualmente accidentati, tra i progetti dei singoli e i campi minati della storia.

Igiaba Scego, nata nel 1974 a Roma da genitori somali venuti in Italia a seguito del colpo di stato di Siad Barre, ha esordito nel 2004, con il romanzo Rhoda (Sinnos). Laureata in lingua e letteratura spagnola, con un dottorato di ricerca in letteratura post-coloniale, si definisce precaria della ricerca. Collabora con Il Manifesto , Lo Straniero , Nigrizia . Ha pubblicato il libro per bambini La nomade che amava Alfred Hitchcock (Sinnos) e diversi racconti inseriti in antologie; Oltre Babilonia è il suo ultimo romanzo.

Una trama complessa, intrecciata: da quali immagini, impulsi nasce?
Prima di tutto, dal desiderio di raccontare che cosa succede alle donne quando una violenza attraversa il loro corpo, che sia violenza sessuale o violenza di guerra. Di violenze le donne somale ne hanno viste tante, soprattutto nel corso della guerra civile. Ma io volevo raccontare non solo di loro, ma anche di ogni altra donna, e mi interessava inoltre capire cosa succede dopo la violenza, qual è il percorso per ricostruirsi una possibilità di vita.

Tutti i personaggi femminili hanno una denominazione significativa: la Negropolitana, la Nus-Nus, la Reaparecida, la Pessottimista: è forse il modo con cui la storia collettiva si salda a quella dei singoli?
Anche se affronto temi complicati e dolorosi ho cercato di essere lieve e ironica, e questo è visibile soprattutto nel personaggio di Zuhra, la Negropolitana. E certo, il nome gioca sullo stereotipo: ti appropri di quella parola orrenda che ti scagliano in faccia per offenderti e ne fai una bandiera. Sua madre è la Pessottimista, in omaggio all'omonimo libro di Emil Habibi. Palestinesi e somali si somigliano moltissimo, i primi non hanno una patria, gli altri ce l'hanno, ma è un territorio senza governo. Nus-Nus, che in somalo vuol dire mezza-mezza è Mar, a metà tra due mondi. Difficile condizione, quella degli immigrati di seconda generazione: ci trattano sempre da stranieri. La Reaparecida, infine, è Miranda, la madre argentina di Mar, riuscita a scampare al destino dei suoi coetanei desaparecidos.

Come mai c'è questa singolare mescolanza tra il destino dei somali e quello degli argentini?
Nasce da un fatto personale. Avevo assistito alla presentazione del libro di Verbitsky Il volo ed ero rimasta fortemente colpita da quest'enorme tragedia dei desaparecidos. E mi venne da pensare, improvvisamente, che quelli che erano rius
citi a mettersi in salvo in Italia, alla fine degli anni Settanta, s'erano ritrovati, a Roma, insieme ai somali in fuga da Siad Barre, proprio come i miei genitori. Da questa babele di corpi e di linguaggi si resta sconvolti, ma poi ho pensato che dovevo creare una struttura che riproducesse la diaspora somala e argentina.

Nel romanzo c'è molto del passato remoto e del passato prossimo della Somalia. Come lo vede il presente?
Penso che più ancora della dominazione di Mussolini siano stati deleteri quei dieci anni di amministrazione fiduciaria dell'Italia. Mio padre era tra quegli uomini politici che appartenevano alla Lega dei giovani somali, costretti dalle Nazioni Unite a prendere lezioni di democrazia proprio da un paese che era appena uscito dalla dittatura. Invece della democrazia - che, comunque, non si può apprendere da nessuno - i somali hanno appreso il malcostume politico e la corruzione. Hanno ripetuto gli errori altrui, in un contesto molto differente; e così la corruzione si è insediata all'interno del tribalismo, rendendo tutto molto più complesso e pericoloso. Quando è arrivato Siad Barre, ha trovato il campo libero. La Somalia ne ha viste troppe: la dittatura, una guerra civile interminabile, la questione dei rifiuti tossici, il traffico di armi e di esseri umani, i signori della guerra, i fondamentalisti: una situazione intollerabile, di estrema violenza. In cui le vittime più vittime sono le donne.

Nel romanzo, che pure ha forti connotazioni sociali e politiche, c'è un'attenzione particolare al corpo, e non solo delle donne.
Noi siamo fatti del nostro corpo, che gioisce, che è ferito, che soffre. Ma la politica non conosce il nostro corpo. Non conosce nemmeno il proprio. Due atteggiamenti in particolare mi colpiscono: la morbosità che continua ad esserci intorno al corpo delle donne e l'indifferenza rispetto al corpo di alcune persone, come i rifugiati. Ecco, io penso che dovremmo tornare alla considerazione che non è solo biologica ma anche e soprattutto politica di un corpo reale, vero, che ha bisogno di determinate cose come il cibo, l'ambiente, l'amore, il rispetto.

"Oltre Babilonia" è anche oltre il "politicamente corretto". Perché non ha paura di intaccare gli stereotipi buonisti, certi slogan melensi quanto fasulli. «Gli zoo sono ancora dentro di noi», scrive. E' proprio così?
Noi abbiamo svariati politici incompetenti e xenofobi e diciamo la verità: il razzismo non è solo di destra, di governo. Anche in parte della sinistra serpeggia il razzismo, magari meno evidente, ma forse proprio per questo ancora più subdolo e pericoloso. Ma non per questo rinuncio a dire che anche molti africani, all'interno delle loro comunità, coltivano diffidenze e pregiudizi verso altre popolazioni. Il pregiudizio è l'unica cosa che veramente ci affratella.

Visto da questa prospettiva che non fa sconti a nessuno, il razzismo che cos'è?
Fondamentalmente è imbecillità, paura di chi non si conosce, rifiuto di conoscerlo. E mi sembra che in questo momento qualsiasi forma di diversità, in Italia, faccia paura. E invece, si deve contaminare, mescolare, riflettere e lavorare sul linguaggio perché la lingua è fondamentale per far crollare le barriere, attivare una politica di pedagogia antirazzista, allargare la rappresentanza degli immigrati di seconda generazione, per poter creare una società che include, e non esclude. Un'Italia vera e possibile, diversa da questa. Perché noi italiani siamo decisamente migliori di chi ci rappresenta.


Igiaba Scego
Oltre Babilonia
Donzelli 2008, pp. 458, euro 17,50

 

pubblicato da Liberazione del 16 novembre 2008

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