Padova 20 novembre 2010

Essere maschi tra potere e libertà

Intervento introduttivo
di Paola Zaretti

 

Buongiorno, grazie per essere qui con noi. Un grazie speciale a Stefano Ciccone per aver accettato di presentare Essere maschi tra potere e libertà.
E poiché è di questo libro che oggi dobbiamo parlare sarò brevissima, riservandomi di intervenire più tardi, se ci sarà spazio, su alcuni punti del testo che hanno catturato maggiormente la mia attenzione per alcuni aspetti giustamente critici sollevati dall'autore nei confronti di un sapere e di una disciplina in cui mi trovo personalmente e professionalmente implicata.
L'incontro di oggi, per me ma anche, credo, per molte delle persone che lavorano in o con Oikos-Bios, rappresenta un momento di particolare intensità emotiva. Non solo per via di una precedente esperienza di collaborazione sulle problematiche di genere avviata nell' Istituto Gramsci con Giacomo Mambriani che partecipa, assieme a Stefano Ciccone dell'Associazione Maschile Plurale - ma anche  e soprattutto in relazione al recentissimo Evento pubblico Donne in strada. A scuola di non violenza da noi organizzato in città a partire dalla data fatidica dell'11 Settembre e solo da poco concluso.

Per rendere visibile e almeno in parte comprensibile a coloro che non hanno avuto l'opportunità di parteciparvi o anche solo di esserne informati/e, i contenuti e il senso di questo Evento proposto alla cittadinanza in uno spazio pubblico, e per evidenziare il nesso che lo lega a filo doppio all'iniziativa di oggi - di cui si può dire abbia rappresentato senz'altro e a tutti gli effetti, un'anticipazione - abbiamo pensato di far scorrere, all'inizio e nei momenti di pausa di questa giornata, una serie di immagini che riprendono alcuni passaggi di questa iniziativa, fatta di letture, di recitazione di brevi aforismi, di poesie, e di brani musicali che ne hanno scandito, di volta in volta ritmo e senso.
Si è trattato, in sostanza, nella costruzione di questo nuovo Evento, di una pubblica lettura di brani, selezionati e scelti da testi di autori e autrici vari/e, fra cui Essere maschi tra potere e libertà, realizzata all'aperto, ogni sabato e per la durata di quasi due mesi, in una delle vie più frequentate della nostra città.
Sono stati otto, complessivamente, gli incontri di questo primo ciclo di Donne in strada proposti all'attenzione della città e impegnati su una serie di temi scottanti: Guerra e Violenza, Infanticidio e Maternità, Paternità, Coppia, Prostituzione, Lavoro, Suicidio, Amore.
Il materiale raccolto per l'occasione - che alcune persone ci hanno già richiesto - verrà pubblicato, riproposto e dislocato, condizioni permettendo, sia in altri luoghi della città che in altre città e offerto all'attenzione delle Dirigenze scolastiche.
Una sollecitazione in tal senso ci è già pervenuta, qualche giorno fa, da  Bruna Bianchi,  docente di Storia delle donne all' Università Ca' Foscari di Venezia che ringrazio per aver accolto con calore il progetto, per aver partecipato con la sua parola ad alcuni degli eventi, per averci inviato del materiale a dir poco straziante sul tema della prostituzione e, da ultimo, per averci proposto di pubblicare parte del materiale nella rivista DEP da lei diretta. Stiamo inoltre valutando insieme l'eventualità di diffondere l'iniziativa a Venezia fuori o dentro l'Università Ca' Foscari. Ringrazio, oltre a Bruna Bianchi, tutte e tutti coloro che, in modi diversi, hanno contribuito e speso molte energie per la realizzazione di Donne in strada e i cui nominativi compariranno nel video.

Senza troppo concedere a una celebrazione tardiva dell'Evento, batto il chiodo. E dico che la riproposizione qui, in questo luogo, altro dalla strada, di quanto è avvenuto in Donne in strada, lungi dal portarci fuori strada, ci consente di realizzare - proprio grazie alla presenza di Stefano Ciccone e alla presentazione del suo libro - quel legame, quella continuità discorsiva fra un evento e l'altro, quell'unità di senso garantita dalla connessione fra un fuori e un dentro - in questo caso - che rappresenta, nella concretezza delle scelte, uno dei tratti peculiari della nostra attività.
E' dunque per tutte queste buone ragioni  che Ciccone - in compagnia di molti altri pensatori e pensatrici appartenenti a diversi ambiti del sapere, dalla poesia alla filosofia, dalla letteratura alla politica, dall'antropologia alla religione, cui, attraverso le nostre voci, abbiamo dato pubblica Parola - prima ancora che essere qui, fosse già lì, presente in strada, anche se non in carne e ossa, e forse a sua insaputa, in ciascuno degli otto incontri, con tanta parte dei suoi pensieri e delle parole espresse nel suo libro, che abbiamo voluto riportare anche nei cartelli esposti e che concorrono a fare di Essere maschi un libro degno di attenzione.
Donne in strada ha dunque rappresentato un'occasione importante sia per la diffusione di Essere maschi.
Dall'aperto al chiuso, dal fuori al dentro, dalla strada all'Università: ecco il tragitto a doppio senso di un percorso lungo il quale abbiamo voluto dislocare, seminare, lasciar tracce, impronte e memoria delle citazioni più significative tratte dal libro del nostro ospite di oggi, nella speranza che il moltiplicarsi della loro visibilità e fruibilità in differenti contesti, facciano di questa nostra passione del dentro e fuori, di questo andirivieni dalla strada all'istituzione e ritorno, un'opportunità per abbandonare al loro destino vecchie dicotomie declassate ed escludenti, in favore di un paziente lavoro di ri-tessitura di connessioni fra personale e politico, fra pubblico e privato.
Certo è che non avremmo mai dato inizio a questo esperimento inedito se non avessimo riconosciuto nel pensiero di Arendt qualcosa di intimamente nostro, qualcosa che nel profondo ci appartiene. Se non pensassimo, con lei, che

"l' umanità non si raggiunge mai in solitudine, né rendendo pubblica la propria opera" ma solo esponendo "la propria persona al rischio della sfera pubblica".

Se non fossimo d'accordo con lei sul fatto che:

"il significato più profondo del compiere un atto o del pronunciare delle parole in pubblico è indipendente dalla vittoria e dalla sconfitta e deve rimanere immune dall'esito finale, nonché dalle conseguenze buone o cattive".

Se non sapessimo - per averlo sperimentato sulla nostra pelle - quel che Rosa Luxemburg sapeva :

"Chi non si muove non può rendersi conto delle proprie catene".

Se non fossimo persuase, come lo era Carlo Michelstaedter, che

"il coraggio non  vuole la prudenza ma l'atto".

Se - come Soren Kierkegaard - non avessimo compreso che

"Il silenzio è la seduzione del diavolo e più si tace più il demonio diventa terribile".

Se non sapessimo, infine, che

"pensare è un atto eroico" - come scriveva Simone Weil - per i rischi che il pensiero comporta.

Benché la parola "etica" - usata e abusata -  non sia nelle mie corde, convinta come sono che andando di questo passo, fra un po' parleremo, di stupri etici, anziché di stupri etnici, tuttavia il senso Etico, Sociale e Politico di Donne in strada è condensato in queste e in altre parole da noi pronunciate come se ci appartenessero da sempre e non ci fosse alcun bisogno di aggiungerne di nostre, in sovrappiù, con la nostra stupida firma, spinte da quel delirio di Narciso che porta tanto spesso a mettere il proprio nome, pur di farlo, su libri da rottamare.
Tutto, o quasi tutto è già stato detto. Tutto o quasi tutto è già stato scritto e noi post moderni solo rarissimamente riusciamo a essere qualcosa di più che dei brillanti o pessimi ripetitori, che dei mediocri o brillanti commentatori e quando non si è all'altezza neppure di questo, beh!, allora tacere è pudore.

Essere maschi Tra potere e libertà è un libro che, dal canto suo, ha contribuito in larga misura a far sì che delle donne "di strada"- potremmo dire ricordando il titolo inizialmente proposto e poi modificato per l'equivoco cui si sarebbe prestato - offrissero all'attenzione della gente di strada, i pensieri e le parole di un uomo deciso a denunciare i danni che il sistema patriarcale ha prodotto innanzi tutto su di lui.
Un uomo che, come dichiara, scrive un libro, prima che su altro, sul suo "essere un uomo nel mondo", un uomo che parla del corpo, della miseria del maschile, che prende posizione, che vuole rompere con la storia del maschile affermando con forza la sua differenza rispetto ai modelli di costruzione della virilità.
Un uomo convinto - come noi - che non sia in alcun modo possibile "costruire una politica di trasformazione che non si misuri con una critica dei modelli di mascolinità" e che sia dunque politicamente e culturalmente necessario "agire un conflitto esplicito all'interno del maschile", se si vuole evitare che certe spinte trasformative precipitino e vengano miseramente ridotte a palliativi, a forme "emendative" e "subalterne".
Di queste forme subalterne ed emendative ci narrano la maggior parte delle iniziative istituzionali e associative che si vanno moltiplicando in questi ultimi tempi sul tema della violenza in diverse città.
Pare davvero di essere tornati indietro di quasi mezzo secolo, pare davvero, dalla riproposizione di discorsi vecchi e scontati, che quarant'anni di storia siano stati inghiottiti nel nulla e che sia necessario ricominciare tutto da capo.
Inutile ribadire - lo abbiamo detto e ripetuto in tutti i nostri luoghi d'incontro - che queste forme emendative e subalterne sono fiale di valium propinate al pubblico, false risposte a problemi veri, o da parte di chi, in buona fede, non ha ancora compreso a fondo quel che ci ricorda Cavarero, (citata anche da Ciccone nel suo libro):

Non si esce da un pensiero semplicemente pensando di uscirne, almeno finché quel pensiero dell'uscita si struttura sulle medesime categorie del pensiero dal quale si vuole uscire

o da coloro che, invece, in malafede, distribuiscono, nei loro discorsi pubblici, il sedativo della legalità facendo stalking nei luoghi di lavoro, eliminando le donne-madri dai posti di lavoro precedenti e magari - chi lo sa? - picchiando in casa mogli e/o stuprando figlie e figli.
Ciò di cui c'è bisogno, per cambiare realmente le cose, è dunque una posizione soggettiva di radicale "estraneità" all'ordinamento simbolico generatore di quel sistema di pensiero.  

Tornando a Donne in strada, s' è trattato da parte nostra, per dirla tutta, di un vero e proprio saccheggio del testo di Ciccone, dovuto non certo - diciamolo chiaro - a penuria di parole di donne altrettanto appassionate e radicali che sono state e sono tante in Italia e fuori e che abbiamo messo al centro del nostro Seminario dello scorso anno - Butler, Braidotti, Cavarero, Rossanda, Weil, Arendt.
Ciccone, del resto, non trascura di riconoscere con onestà il debito contratto nei confronti dei contributi teorici e pratici del pensiero femminista nazionale e internazionale senza mai perdere di vista - e questo tratto ha deciso del mio indice di gradimento del libro - la distinzione fra riconoscimento del lavoro altrui e debito a vita, fra  gratitudine e servitù.
Durante la lettura avviata in strada, abbiamo dunque impiegato Essere maschi senza risparmio, come uno degli strumenti indispensabili di cui fare abbondantemente uso per ri-dire, per bocca di un uomo e in uno spazio pubblico non selettivo, quello che moltissime donne, moltissime di noi, hanno detto, ripetuto, gridato, scritto, da almeno quarant'anni a questa parte.
Questa osservazione non è una riduzione del valore di Essere maschi o una riduzione dell'importanza che il gesto, l'atto coraggioso di scriverlo - quel "coraggio che non vuole la prudenza ma l'atto" di cui ci ha appena detto Michelstaedter - rappresenta da un punto di vista simbolico per gli effetti che certamente ne deriveranno.  
Conosco bene il peso decisivo della potenza del simbolico e, a proposito di coraggio, fu proprio questa consapevolezza a farmi dire, in tempi non sospetti, che nulla sarebbe cambiato nell'attuale ordinamento simbolico - fortemente misogino - e, checché se ne dica ancora patriarcale - sintantoché gli uomini si fossero limitati a manifestare contro la violenza alle donne all'interno delle iniziative indette dalle donne stesse, senza un'assunzione diretta e coraggiosa dell'atto - simbolicamente decisivo - di indirne, loro, una, una buona volta, di loro iniziativa - come di fatto, di lì a qualche tempo, si è poi verificato.
Non so se da un punto di vista simbolico un libro sia più incisivo o meno dell'atto di fondare un'Associazione o di indire, in piena autonomia, una pubblica manifestazione, ma anche se resta vero che per raggiungere l'umanità occorre qualcosa di più di un'opera, di un libro - come Arendt ci ricorda - diamo, comunque, il benvenuto a Essere maschi tra potere e libertà per essere e per rappresentare quell'inizio di qualcosa, quella "natalità" di cui la stessa Hanna, citando Agostino, ci parla: "Initium ergo ut esset, creatus est homo, ante quem nullus fuit", nella speranza che questo libro possa contribuire - allo stesso modo dell' "azione" politica condotta dalle donne a:

"interrompere ciò che è comunemente accettato e irrompere nello straordinario, dove non trova più applicazione ciò che è vero nella vita comune e quotidiana".

E anch'io mi interrompo qui…per dare la parola a Ciccone e per sapere da lui se considera il suo libro un modo per "fare irruzione nello stra-ordinario", anticipando a lui, alle nostre ospiti e al pubblico, una serie di domande, utili forse alla discussione, che credo meritino un'analisi approfondita sullo stato attuale della situazione da proseguire, magari, in futuro, assieme o non, in altri luoghi.

- Perché orrori, guerre, violenze,  assassinii, stupri in famiglia e fuori, torture d'ogni genere, lapidazioni e infibulazioni perpetrati ai danni di coloro che rappresentano la metà del genere umano, non hanno oggi la capacità di attivare nelle donne la forza necessaria per rompere quegli argini, sfondati quarant'anni or sono, da quel fiume in piena di donne in strada - di ogni ceto, razza, cultura, generazione e religione - che, impegnate a contrastare gli aborti clandestini, le mammane e decise a sostenere la legge sul divorzio, inondavano le strade delle nostre città?

- Di che cosa è segno, di che cosa ci parla e ci racconta, oggi, questo vuoto di   presenze femminili nello spazio pubblico, questa rinuncia ad azioni politicamente incisive e dirompenti, a favore di un "fare" "subalterno" ed "emendativo", di un "fare" spesso minimalista e vetero-rivendicazionista, se non dell'avvenuto compimento di un lento processo di contenimento e di controllo di una conflittualità di genere che, sopita solo in apparenza, viene poi di fatto, brutalmente agita in forme sempre più devastanti?

- E quali eventi, quali circostanze storiche, quali mutamenti sociali e politici, quali strategie, hanno dato origine e alimentato, nella storia di questi ultimi quarant'anni, questo processo di narcotizzazione della conflittualità di genere - sino al punto di spegnerne la fiamma,  anche quando, in circostanze come quelle di oggi, questo fuoco sarebbe vitale, anche quando la posta in gioco per cui impegnarsi ad agire sul terreno personale e politico, è qualcosa di infinitamente più sacro del diritto all'aborto, più motivante del diritto al divorzio, anche  quando, insomma, a dover essere difesa è la Vita stessa?

-  Dobbiamo forse individuare l'origine di tale processo - come alcuni/e ritengono - in un clamoroso fallimento della grande rivoluzione culturale avviata dalle donne negli anni '70 e nel conseguente "riflusso depressivo" cui avrebbe dato luogo negli anni successivi, o tale processo è invece l'esito imprevisto, il frutto - maturo e crudo al tempo stesso - del grande tentativo di trasformazione culturale politica e sociale iniziato dalle donne?

I tempi della trasformazione della realtà di un ordine simbolico maschile, non sono i tempi delle intuizioni felici che hanno abitato e ancora abitano le teorie e le pratiche femministe impegnate a distinguere nettamente o a connettere cultura dell'emancipazione e cultura della differenza, e, a guardare quel che ci sta davanti, tutto spingerebbe a dire che i frutti che stiamo raccogliendo sono, sic stantibus rebus, quelli di una coltura/cultura ancora saldamente centrata e paralizzata da una visione tutta emancipazionista il cui esito si riassume o nella nuova forma di alienazione rovesciata che è l'unisex, o, in alternativa, in forme di femminilizzazioni consapevolmente oggettivate e sfruttate dalle stesse donne.

- Che cosa vuol dire oggi "femminismo"? Perché questa parola è diventata uno spauracchio sufficiente a far allontanare la gente a prescindere dal genere e dalla generazione d'appartenenza?

E infine:

-  Che cosa rappresenta, oggi, da un punto di vista storico e per le donne della mia generazione l'uscita di un libro come Essere maschi tra potere e libertà - quarant'anni dopo la domanda radicale di cambiamento rivolta dalle donne agli uomini e al sistema di pensiero da loro creato non senza la complicità della filosofia dell'Occidente, a cominciare da Platone?

- Che cosa rappresenta per le donne di nuova generazione la messa in discussione dei modelli di costruzione della virilità da parte di una rete di uomini cresciuta in Italia da qualche anno, in una fase storica in cui ad essersi appropriate di tali modelli sono le donne stesse? Non siamo forse di fronte a un evento che potremmo situare, in via provvisoria e in attesa di meglio comprenderlo e definirlo, fra un "troppo tardi" e  un "troppo presto" ?

- E' possibile, è pensabile, immaginare un'altra scena, futura, quella che Floriana nel suo ultimo articolo definisce "un altro pianeta da cui ricominciare" in un "tempo "giusto"? L'avvento di un tempo altro, un tempo in cui donne e uomini, dopo essersi avvicendati sulla scena - a distanza di anni e in regime di separatezza e di alternanza gli uni dalle altre - per contrastare pubblicamente i disastri prodotti dal modello patriarcale di costruzione del femminile e del maschile, possano decostruirlo e  ricostruirlo finalmente insieme?

Ecco, credo che solo a uno scenario lontano, antidialettico e improbabile come questo vada affidata la chance di narrare, un giorno a venire, dell'avvenuto superamento della contrapposizione maschio-femmina creata, voluta e alimentata dalla metafisica dell' Uno.  Anche se, a far ben sperare, già si profila all'orizzonte, quella "rottura di due solitudini" cui Ciccone allude in  Essere Maschi . (218-219)

Domande:

Premesso che per discutere con lei del suo libro mi ci vorrebbe qualche settimana, mi limiterò a sintetizzare, in sequenza, alcuni temi essenziali da lei sollevati e sviluppati e a intervenire - tempo permettendo - sulla critica da lei rivolta alla psicanalisi,  non solo per via della teorizzata centralità della funzione paterna e dell' ideologia patriarcale che la sottende, ma soprattutto, per un'incapacità di trasformare in politica il personale, in pubblico il privato che - come appare chiaro - mi sembra la  grande scommessa del suo libro.
I temi sollevati sono i seguenti:

1) Il carattere strutturale - e non naturale - e la radice sessuata della violenza di genere;
2) La critica ai concetti di "patologia e di "devianza"
3) L' accessorietà del maschio nel processo generativo e la necessità di "riparare" a tale accessorietà attraverso la creazione di protesi simboliche
4) L'analisi del rapporto fra costruzione dell'identità maschile, nazionalismi,  modelli di appartenenza etnica e pensiero reazionario
5) La storia e la politica visti come luoghi in cui esercitare le capacità creative maschili, ma anche come luoghi deputati a salvaguardare l'esercizio di una genealogia maschile
6) La costruzione dell'identità maschile contro la corporeità e lo svilimento conseguente del corpo
7) La riduzione del desiderio e della sessualità maschile ai canoni del consumo  e la miseria relazionale che ne deriva.
8) Il meccanismo di scissione nell'uomo fra sessualità come consumo e affettività. L' Autismo.
9) Il nesso fra prostituzione e violenza
10 L' individuazione della miseria della sessualità maschile come "nodo fondante" della costruzione sociale che si vuole destrutturare e la reinvenzione della sessualità maschile come leva per sradicare la violenza e per aprire nuove opportunità di vita per gli uomini.
 11) L' Incomprensibilità per l'uomo del "mistero del corpo" femminile: "Un corpo che non riusciamo a capire neanche quando facciamo all'amore"

Oltre a questi temi, ho trovato interessanti gli ultimi due capitoli del suo libro Per una relazione politica tra donne e uomini e Maschile plurale in cui vengono individuate e analizzate ambiguità e difficoltà da lei incontrate sia nel lavoro con i gruppi di uomini, etero ed omosessuali - con le problematiche aggiuntive che la presenza di questi ultimi ovviamente comportano all'interno di un gruppo - sia con le rappresentanti del femminismo storico che con donne di recente generazione.
L'aspetto però decisivo - quello che mi sollecita ad approfondire perché tocca il punto nevralgico del mio rapporto da sempre critico con la teoria e la pratica che esercito - ha direttamente a che fare con il mio costante lavoro di ripensamento - su nuove basi, non patriarcali - di una psicanalisi dell'avvenire capace di connettere privato e pubblico, personale e politico.  
Ed è proprio qui, su questo punto che alcuni dei suoi interrogativi che vertono non tanto sul Che fare? ma su come fare ciò che s'ha da fare incrociano i miei  a partire dalla funzione formativa dei gruppi di autocoscienza maschili di cui lei parla nel suo libro e da ciò che li avvicina - o li allontana - a un'esperienza  analitica.
Se per lei si tratta di come fare a "non relegare" l'esperienza di Maschile plurale a dei "luoghi speciali" di pratica d'autocoscienza ma di darle piena "cittadinanza nel mondo che abitiamo", di come fare in modo, insomma, che "la scelta di partire dalle singole vite" non precluda la costruzione di un pensiero e di una politica", per me si tratta, per altra via, di come fare a non ridurre l'analisi a un'esperienza individuale, scissa dall'azione nel politico e nel sociale.
E tuttavia è proprio su questa esigenza forte, che lei avverte, che si addensano nel suo libro dubbi, perplessità e una certa prudenza nell'imboccare la via dell'azione nello spazio pubblico a causa di una serie di difficoltà  - che lei enuncia e cerca di articolare nel testo - e che vanno dalla "difficoltà di collocazione di una soggettività critica maschile", al rischio che un agire come uomini nello spazio pubblico  appaia inautentico, alla difficoltà di misurarsi con "un ordine che nega la possibilità di differire", al rischio "di ambiguità e di pulsioni ideologiche".

Ma torniamo in medias res: ciò che lei ritiene necessaria e non più rinviabile  -  è  "l'apertura di un conflitto esplicito all'interno del maschile e la trasformazione di questo conflitto in politica", il che significa, in concreto, per lei, che "la fatica di scavare nelle nostre contraddizioni individuali" non può essere "relegata a questione privata".
I luoghi maschili di scavo proposti e praticati dagli uomini ai quali lei fa riferimento, NON sono dei percorsi analitici veri e propri ma si ispirano e ripropongono quella pratica formativa di gruppo, fuori setting, del partire da sé, inaugurato dalle donne negli anni '70 con i gruppi di autocoscienza.
Ed è qui, proprio qui che il discorso diventa interessante. Vale  infatti la pena ricordare che la funzione principale dei gruppi di autocoscienza femminili sorti in quegli anni, in cui lo scavare delle donne attorno alla loro condizione era pratica costante, non ha mancato di produrre nelle persone che ne facevano parte, delle lacerazioni spesso talmente ingovernabili e insolubili all'interno dei gruppi stessi, da garantire la fortuna economica di non pochi  psicanalisti e nulla esclude, fino a prova contraria, che il confrontarsi degli uomini, a loro volta, con le proprie contraddizioni attraverso delle modalità strutturalmente simili, non produca effetti analoghi spingendoli, com'è avvenuto per le donne, malauguratamente o provvidenzialmente  - ecco qui il nodo da sciogliere - sulla medesima strada.
Abbiamo così distinto in via preliminare, un percorso analitico da un percorso di autocoscienza. Fare autocoscienza e fare analisi sono entrambe due esperienze formative ma diverse. Si potrebbe tuttavia affermare - a posteriori e in via non pregiudiziale - che se la pratica dell'autocoscienza ha attivato in moltissime donne l'esigenza di andare oltre questa esperienza e di proseguire con l'analisi il percorso iniziato, questo fatto ci suggerisce di interrogarci per un verso sui limiti, sulla parzialità e sulle possibili complicanze della pratica dell'autocoscienza ma di riconoscerne anche, per un altro verso, le potenti risorse.
La pratica dell' autocoscienza, è certamente, a mio modesto parere,  un primo passo verso un percorso di  maturazione soggettiva, di liberazione e di libertà. Non intendo auspicare, nel dire questo, la necessità di un passaggio obbligato e automatico dall'esperienza dell'autocoscienza all'esperienza dell'analisi e, men che meno,  intendo suggerire l'idea che la psicanalisi - così com'è stata sinora teorizzata e praticata - sia una sorta di panacea di tutti i mali.
Sono  lontana dal pensare che l'analisi - che va comunque distinta da psicologie e da psicoterapie varie - sia una pratica indispensabile e altrettanto lontana dal credere che il suo impianto teorico attuale - quale che sia la scuola di cui si tratta - sia davvero in grado di avviare dei processi di trasformazione individuali che siano anche politici e sociali.
Al contrario, se continuo a fantasticare su una possibile psicanalisi dell'avvenire, è proprio perché sono persuasa che una psicanalisi filo patriarcale sia peggio, per uomini e donne, dei mali che pretende di curare. Benvengano dunque i gruppi di autocoscienza - pur con i limiti che comportano. Che comincino a esistere - per degli uomini inconsapevoli del loro patire, per degli uomini che mai si avvicinerebbero, per nessuna ragione e in nessun caso, a dei luoghi di cura tradizionali - dei luoghi di parola altri rispetto alle stanze offerte dalle prostitute, mi sembra una gran cosa.

Ma veniamo alla critica da lei rivolta alla centralità assegnata dalla psicanalisi alla funzione paterna di cui lei parla nel paragrafo intitolato Il padre terzo. Funzione o esperienza del capitolo intitolato Essere l'Altro. La critica riguarda, precisamente, l'accento che questa disciplina pone sulla funzione del  padre come terzo rispetto alla relazione-madre bambino. Lei vede in questa funzione simbolica - "associata alla scoperta del mondo, delle sue regole, della sua dimensione sociale" - la ricerca di "luoghi di costruzione e verifica della virilità, sempre bisognosa di conferme sociali esterne, per il loro fondarsi  fuori dal corpo e "contro il corpo".
In altre parole, il richiamo alla necessità del ruolo del padre come terzo separatore altro non sarebbe secondo lei se non

"una costruzione sociale e simbolica che ordina gerarchicamente i generi, ma struttura, nella complementarietà, anche la loro rappresentazione, proponendo in modo ambivalente un materno potente e minaccioso il cui dominio è al tempo stesso limitato alla maternità". 

Di qui l'individuazione del nodo problematico che lei esplicita e approfondisce di lì a poco:

"se guardiamo al senso di questa minaccia alla mascolinità, ci accorgiamo che essa parla innanzitutto di precarietà della virilità e propone come luogo della sua costruzione, istituzioni che sono al tempo stesso luoghi dell'affermazione e dell'alienazione maschile. Sono, divento un uomo solo se ho una relazione con il potere, dove costruisco e verifico la mia identità.

Di questo aspetto precario della virilità lei trova fondamento, fra l'altro, nell'indagine antropologica condotta da Giuditta Lo Russo in Uomini e padri e nella sua sottolineatura dell'accessorietà, della terzietà, che spetta all'uomo nel processo procreativo. Aggiungo benzina sul fuoco della sua tesi, sul senso della minaccia che la madre rappresenterebbe per la costruzione della mascolinità, ricordando che l'idea di una madre-coccodrillo con le fauci sempre spalancate, è l'immagine associata al materno lasciata in eredità da Lacan ai suoi allievi.
In alternativa alla terzietà del padre intesa come funzione, che - concordo con lei - è, assieme a quella del fallo, una delle ossessioni, degli psicanalisti, la sua proposta consiste nello:

"ascoltare domande e tensioni derivanti dall'esperienza che è propria della condizione maschile in relazione alla generazione. In questo senso - scrive - la paternità come esperienza e come istituzione sono in una tensione di polarità:  la paternità come istituzione è una risposta al disagio di marginalità e di terzietà del maschile, e risponde al bisogno di costruire una cultura che rompa con la naturalità e fondi socialmente un ruolo degli uomini che altrimenti apparirebbe marginale. Al tempo stesso il potere e l'istituzionalizzazione della paternità appare oggi come un ostacolo all'esperienza paterna, una costruzione che condanna gli uomini a un esilio. (141)

Vien da chiedersi, per inciso, se non sia stata proprio la consapevolezza di questo ostacolo a un'esperienza piena della paternità, a far dire a Nietzsche-Zarathustra:

"Nei vostri figli dovete riparare di essere figli dei vostri padri. Così dovete redimere tutto il passato.

 E ancora:

"Sei un uomo a cui sia lecito augurarsi un figlio?

Lei ha ragione: nonostante le acrobazie di Lacan - che sulla questione del Paterno finirà per chiedere la "pelle di Freud" -  la psicanalisi non solo resta dentro il sistema di pensiero patriarcale ma provvede ad alimentarlo. Fu questo che mi fece scrivere, in un tempo lontano, Come fare psicanalisi col martello.
E le dirò di più: non è affatto stupefacente che un biologo che dichiara di non avere strumenti "per discutere la fondatezza delle diverse letture psicanalitiche del rapporto madre e figlio/a e della funzione paterna", riesca a vedere con tanta chiarezza quello che gli psicanalisti  fanno di tutto per oscurare.
Ma, se lei ha ragione, come credo, si pone un problema serio: che cosa ci si può aspettare, in termini trasformativi, sociali, culturali e politici da uomini e donne "formati/e" da teorie e pratiche  incapaci di misurarsi - come lei giustamente auspica per la politica - "con una critica dei modelli di mascolinità?". Nulla.
Ma forse c'è qualcosa di peggio del nulla di cambiamento e delle trasformazioni involutive che queste pratiche hanno contribuito a promuovere: il controllo e la manipolazione - involontaria, certo - delle donne fino alla quasi scomparsa dell'isteria, la comparsa dell'anoressia, la scomparsa della conflittualità di genere, la crescita massiccia di forme di narcisismo ingombrante, una rassegnazione generalizzata, un individualismo sfrenato e donne che con le loro nevrosi ossessive sono sempre più somiglianti agli uomini persino nella "malattia".
Non ho mai pensato al setting come a un luogo privato contrapposto al Politico,  non ho mai pensato che qualcuno/a qualcuna possa davvero "guarire", senza la messa in discussione radicale di un ordinamento simbolico malato che pretende di curare le patologie che genera, ma ho sempre pensato al mio lavoro come un mezzo attraverso il quale il conflitto privato possa davvero trasformarsi in politica.
A una condizione però - che nel suo libro non è contemplata: quella di fare i conti con l'inconscio.

 

6-12-2010

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