Michela Zucca

Donne delinquenti

Storie di streghe, eretiche, ribelli, rivoltose, tarantolate

Prefazione dell'autrice

 

Erano le donne, nelle comunità arcaiche, che curavano i malati, determinavano i tempi della festa, del piacere, della vita e della morte, amministravano il rapporto con gli spiriti, prevedevano il futuro, sapevano interpretare le voci dell’aldilà e iniziavano le rivolte contro il potere costituito.

Una civiltà antichissima, raffinata e complessa, che credeva ogni cosa governata da un’anima intelligente e senziente, con cui comunicare. Entità e spiriti che, a loro volta, si solvevano in un’unica divinità, che tutto pervadeva e dominava: una dea madre il cui unico scopo - amorale - era la procreazione, la conservazione della comunità, la prosperità. Una cultura che, ad un certo punto, Chiesa e Stato demonizzarono e distrussero: per procurarsi schiavi da mandare in guerra, ai lavori forzati, a co­struire le meravigliose città d’arte di cui siamo tanto orgogliosi. Ma il “progresso”, purtroppo, è fondato sullo sterminio. Delle donne streghe.

Dietro le donne (e i rari uomini) legate alle “buone dee” notturne s’intravede un culto sciamanico, di carattere estatico, legato al viaggio nel mondo dei morti, all’uso di eccitanti, al ruolo che le donne, nella società premercantilistica, rivestivano: quello di intermediarie fra il mondo reale e quello degli spiriti, quindi di guide morali e religiose delle comunità. La sottile crosta diabolica che avvolge il linguaggio con cui queste arcaiche credenze sono arrivate fino a noi si spiega facilmente con la circolazione europea dei trattati di demonologia, basati sugli stereotipi che si erano venuti cristallizzando sulle Alpi fra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento, per mano degli inquisitori.

Donne che credono e che dicono di andare di notte al seguito di una signora che cambia il suo nome, spesso identificata da giudici e frati zelanti, infarciti di cultura classica, con Diana, dea latina degli animali e delle foreste, in groppa o insieme a bestie, percorrendo grandi distanze volando, obbedendo ai suoi ordini come ad una padrona, servendola in notti determinate, con feste fatte di canti, balli e grandi mangiate, in cui si fa all’amore senza curarsi delle convenzioni: spesso si lasciavano dietro i mariti, addormentati, che non sospettavano nulla. Questo il minimo comune denominatore delle confessioni delle streghe. Elemento più, elemento meno, con le debite eccezioni.

Come i combattimenti fra le nubi per la fertilità dei campi, o contro gli spiriti del male; il cannibalismo rituale; le cavalcate con l’eser­cito furioso dei morti implacati. Per un periodo di tempo inimmaginabilmente lungo, secoli, forse anche millenni, matrone, fate e altre divinità femminili e benefiche, mortuarie e vendicative, hanno abitato invisibilmente l’Europa celtizzata.

Cacciate via presto, a suon di roghi e benedizioni, dalle città, in cui dominava il clero, continuano a praticare indisturbate sulle montagne, dove sono i leader delle comunità. Al riparo delle foreste, tornate dopo la caduta dell’impero romano, trova rifugio una popolazione di fuorilegge, di cui i cittadini hanno paura, ma che vengono lasciati vivere fino a quando gli interessi urbani si espandono, e anche loro devono essere ridotti alla ragione e, letteralmente, razionalizzati.

La caccia alle streghe non è l’unico mezzo di eliminazione di una cultura arcaica. La “soluzione finale” passa anche attraverso la distruzione del substrato ambientale che permise per secoli alle varie “tribù delle Alpi” di mantenersi indipendenti: la foresta meravigliosa che proteggeva genti e spiriti.

Il Concilio di Trento è il momento di rottura violento che sancisce il cambiamen­to culturale: tanto è vero che viene ricordato nella memoria orale in maniera ancora oggi vivissima. Ma da quando la morsa di repressione si è allentata e si è potuto riparlare di streghe senza incorrere nella maledizione del parroco, loro, le maliarde, sono ritornate al proprio posto in tutte le case delle Alpi. E non solo: sembra che strega e montagna siano irrimediabilmente legate anche sugli Appennini, sui Pirenei, in Nord Europa...

In questo libro si vuole ricostruire la storia delle streghe e delle donne “contro”-eretiche, brigantesse, rivoltose-, verificare quali tracce la loro religione animista e i loro culti di trance hanno lasciato nella cultura popolare, attraverso la raccolta e l’esame di miti e di leggende, di racconti e di modi di dire, dell’iconografia sacra e profana, dell’interpretazione che dei fatti hanno dato e danno gli abitanti delle Alpi e delle altre montagne italiane, i luoghi in cui l’antica cultura è riuscita a conservarsi.

Ciò che emerge dalla comparazione delle fonti (documen­tane, iconografiche, mitiche, leggendarie, orali e archetipe) testimonia l’esisten­za di una civiltà sciamanica  precristiana, fino ad un certo punto parallela alla cultura urbana, poi apertamente contro, che ha combattuto una lunga guerra per non essere assimilata e, in qualche modo, per riuscire a sopravvivere, il cui ricordo è ancora vivissimo nella memoria della gente delle Alpi e delle altre montagne italiane. E che ha creato le basi dell’immaginario collettivo che, re­presso dal potere, torna nel desiderio.

 

Michela Zucca
Donne delinquenti
Storie di streghe, eretiche, ribelli, rivoltose, tarantolate.
Edizioni Simone, Napoli, 2004, 18 euro