A proposito di G8: ricentrare il centro di Genova
di Maria Grazia Campari

Ho partecipato alle due giornate di incontro su "Genere e globalizzazione" che si sono svolte a Genova il 15 e 16 giugno 2001.

L’incontro, accanto a molti aspetti molto positivi (sui quali non mi soffermo perché già noti e illustrati, per una volta, grazie alla dedizione delle organizzatrici, dai media) ha anche manifestato una lacuna di merito e di metodo sulla quale voglio esprimere la mia opinione, nella speranza di aprire un dibattito.

L’aspetto di merito è il seguente: ci siamo riunite per discutere l’incidenza negativa della globalizzazione in atto sulle nostre vite di donne, abbiamo ricevuto contributi preziosi, in cui il vissuto parlava, da parte di alcune ospiti straniere, non abbiamo, però, fatto parlare a sufficienza le nostre esperienze di donne occidentali.

Non ci siamo date il tempo per un necessario confronto di approfondimento in un dibattito assembleare fra le partecipanti, dopo i lavori svolti nei gruppi (- globalizzazione, migrazioni, lavori – globalizzazione, soggettività, esperienze di vita – globalizzazione, tecnologia, guerra – globalizzazione e movimenti).

Questa lacuna si è, inevitabilmente, riverberata sulla "dichiarazione di intenti" che è rimasta una sorta di agenda per titoli (alla cui bozza avevo contribuito, contando su un riscontro critico da parte di altre), mentre dal dibattito, quindi dall’apporto collettivo, avrebbe potuto scaturire un inizio di elaborazione su un’agenda di contenuti.

Il ragionamento ci porta alla questione di metodo (ma, "la forma è la sostanza del contenuto vero"), precisamente al metodo dell’agire democratico/partecipato.

Per la mattina di sabato era previsto che, esaurite tre comunicazioni di ospiti straniere, si svolgesse il dibattito in assemblea finalizzato al varo di una "carta di intenti", documento, lo dice la parola stessa, da ritenersi assai più impegnativo nei contenuti che non una "bozza di dichiarazione di intenti", quale era quella circolata via Internet e inserita nella cartellina in possesso solo di una metà (o meno) delle partecipanti, assai più numerose del previsto.

Un motivo in più per discutere nella sede collettiva e approvare (o non approvare) un testo che tenesse conto sia delle problematiche emerse nei lavori dei gruppi, sia del successivo confronto fra tutte.

Non è stato così. La dichiarazione è stata consegnata alla stampa (che l’ha pubblicata come esito del convegno) non discussa.

Il convegno ha avuto una conduzione formalizzata ed era diretto da coordinatrici, cui certamente spettava il compito di proporre il testo alla discussione, chiedendone l’approvazione prima della divulgazione all’esterno.

Non è stato fatto. Così, la dichiarazione di intenti è stata data per approvata e, nel pomeriggio, Lidia Menapace ne ha proposta una modificazione, consistente nella richiesta aggiuntiva di sospendere l’incontro del G8 (sulla scia di una analoga proposta di Bové).

A questo punto si è determinato un confuso intrecciarsi di approvazioni e dissensi; non vi è stata alcuna possibilità per chi (come me) voleva interloquire parlando anche alle numerose donne presenti in sala perché il tempo concesso (cinque minuti prima dell’inizio della manifestazione) non era ormai più sufficiente per nessun discorso minimamente argomentato nel merito. La riunione si è quindi sciolta su questa ambiguità.

Vorrei usare questo scritto per fare la proposta che desideravo comunicare all’assemblea, sperando che si possa aprire un dibattito fra donne interessate, eventualmente via e-mail.

Penso che la richiesta di sospensione dell’incontro dei G8 sia troppo segnata dall’ambigua presa di posizione dell’attuale Presidente del Consiglio, in polemica con il precedente Governo, per essere gestibile limpidamente dal movimento che contrasta la globalizzazione.

Penso che, invece, l’agenda antidemocratica e mortifera del G8 debba essere contrastata da un’agenda partecipata dagli interessati, che prenda in esame e offra soluzioni di merito alternative su tutti i punti che ci stanno a cuore.

Penso, inoltre, che sia errore assai grave quello di togliere visibilità e negare corso nel sociale alle questioni di merito, in favore di atti e atteggiamenti belligeranti, certamente più consoni agli oppressori (e ai loro squadristi) che non alle vittime del sistema capitalistico planetario.

Mi pare interessante fare centro sulle vittime della mondializzazione economico finanziario e mi pare che esse si trovino non solo nel Terzo e Quarto Mondo, ma anche in località assai più prossima a noi e al Palazzo Ducale di Genova, poiché alcune si trovano precisamente in località Genova/Cornigliano e i loro pluriennali problemi non sono certo passati di attualità.

E’ lì, dove i guasti della globalizzazione risaltano con immediata evidenza che va, a mio parere, ricentrato il Centro di Genova.

Propongo quindi di discutere le problematiche bellicose del capitalismo mondiale belligerante cercando un forte nesso con la classe operaia e la cittadinanza di Cornigliano, discutendo e manifestando nel luogo stesso delle loro difficoltà di vivere, nella cintura della stessa città dove i G8 si riuniscono.

Penso anche che su una simile ipotesi non dovrebbe essere difficile riscuotere l’adesione e la partecipazione, oltre che degli interessati, anche di artisti che si sono dimostrati attenti a queste problematiche e acuti nell’irridere i potenti come Grillo, Fo, Rame, Costa ecc.

Perché non vogliamo che la morale di tutta questa storia diventi "non ci resta che piangere".

Maria Grazia Campari

(mariagrazia.campari@iol.it)