Relazione
2007 sui progetti in Afghanistan
di
Evelina Colavita
Dopo le notizie di rapimenti e scontri in Afghanistan, quest’anno ho
deciso di rinunciare al mio consueto viaggio.
La zona dei nostri progetti è tranquilla e gli Hazara, a parte poche
scaramucce con i nomadi kuchi per i diritti di pascolo nel distretto di
Nahoor, provincia di Ghazni, vivono in pace. Le loro terre però sono
circondate da valli abitate da pashtun insorti.
Infatti, Maidanshahr, dove sono stati rapiti più di 20 sudcoreani si trova
sul mio tragitto e anche la strada verso il passo Shibar che ho percorso
l’anno scorso non è sicura.
Infatti una donna afgana pashtun che dirigeva una radio locale è stata
barbaramente uccisa all’inizio dell’estate.
I signori della guerra e i grandi trafficanti di oppio sono insediati nei
palazzi del potere di Kabul e le truppe della Nato e le forze governative
afgane danno battaglia ai nuovi taleban nel sud e nell’est del paese.
Questa è la situazione generale.
Gli insorti controllano le vie di accesso alle zone abitate dagli Hazara e
le forniture per le alte valli e per la costruzione delle nostre scuole
devono passare i posti di blocco usando mille espedienti.
L’autista di un camion con materiale edile destinato alla scuola di
Tabqoos nel distretto di Jaghori, ha dovuto dichiarare che il materiale
era previsto per la costruzione di una moschea, per poter evitare il
sequestro del carico.
La situazione sembra disperata e non posso biasimare nessuno che perde la
speranza dicendo che l’Afghanistan stia scivolando verso una nuova guerra
in grande stile. Questa è l’impressione se guardiamo dall’esterno.
Vista da vicino, la situazione è ben diversa. In Afghanistan vivono delle
persone comuni le cui preoccupazioni sono di come crescere i figli, di
come sbarcare il lunario, di come sopravvivere agli inverni rigidi quando
intere comunità, rimangono isolate per mesi.
Queste persone hanno paura che un nuovo regime di taleban possa mettere a
repentaglio la loro vita e il futuro dei loro bambini. Gli Hazara in
particolare temono di essere nuovamente perseguitati dalla maggioranza
pashtun sunnita che li considera dei miscredenti in quanto sciiti.
Ma ciò che ogni donna e ogni uomo afgano teme più di ogni altra cosa è di
essere nuovamente abbandonati dall’occidente e di rimanere in balia di
pochi fanatici che perseguono non solo obiettivi religiosi ma anche
economici.
Parlare oggi dell’Afghanistan sarebbe parlare di geopolitica, di islam,
del sempre citato scontro tra culture e non da ultimo di politica
occidentale. Scriverò invece di un paese con un clima rigido, una terra
arida, una popolazione fiera e che tenta con tenacia di costruirsi una
vita degna di poter essere vissuta.
Chi di noi, qui in Europa, vorrebbe essere definito attraverso il proprio
governo, attraverso la connivenza tra politica e criminalità organizzata.
Lo stesso vale per gli afgani che non si ritrovano nelle scelte del
presidente da loro eletto, nell’inefficacia del parlamento, nei signori
della guerra e dell’oppio e nei fondamentalisti islamici.
Tra il 2002 e il settembre 2006 ho girato l’Afghanistan centrale per 6
volte a bordo di macchine afgane, ospite in case afgane, visitando scuole,
ospedali, ambulatori e orfanotrofi gestiti da afgani e finanziati da Omid
Onlus e Solidarietà Ticino Afghanistan, le due piccole associazioni in
Italia e in Svizzera.
L’occhio si perde nelle vallate infinite e oltre gli orizzonti sopra le
brulle montagne dove il sole splende senza pietà in un cielo azzurro
scuro. Non una nuvola, niente pioggia, il greto del fiume è secco e le
pecore si arrampicano su per il versante della montagna in cerca di cibo.
Le donne con i visi bruciati dal sole in estate e dal freddo in inverno,
cariche di taniche di plastica, vanno a prendere l’acqua dal pozzo lontano
dalla fattoria. I loro vestiti verde scuro, viola e blu elettrico si
stagliano sul marrone del terreno riarso.
In queste vallate non si porta il burqa, diventato simbolo della
condizione femminile afgana. La vita è dura per le donne, ed è un ciclo
continuo di gravidanze, nascite, allattamento, lutti. I loro corpi sono
magri sotto i numerosi strati di vestiti rigorosamente sintetici, che
scaldano in estate e non scaldano in inverno.
I bambini che sopravvivono all’acqua cattiva, alla diarrea, agli inverni
rigidi e all’alimentazione povera di proteine e vitamine, già da piccoli
fanno la loro parte in famiglia. Si prendono cura dei più piccoli, badano
agli animali di cortile, raccolgono sterco e i più fortunati vanno a
scuola al mattino o al pomeriggio.
Per ora nessuno di loro ha un futuro ma tutti hanno obiettivi. Sono
obiettivi ambiziosi.
Con il mio persiano scolastico ho spesso parlato con le bambine e i
bambini delle “nostre” scuole. C’è chi vuole diventare medico, c’è chi
vuole diventare insegnante e addirittura una ragazzina delle superiori
vuole diventare presidente per poter governare in modo pacifico ed equo il
paese.
Le donne invece vorrebbero imparare a leggere e scrivere e a fare i conti,
vorrebbero informazioni sulle leggi del paese e sui loro diritti. Tutto
questo mi sembra incredibile, mi trovo in un luogo sperduto, senza
giornali, senza televisione, senza internet, le notizie arrivano al
massimo attraverso una radiolina e i progetti delle persone mi sembrano
così orientati verso il mondo.
Le donne non sanno leggere e scrivere ma vogliono sapere quali sono le
leggi e quali i loro diritti. Tenterò di accontentarle. Anzi, per alcune
di loro, 2150 donne circa, l’ho già fatto, con l’aiuto della fondazione
Cariplo e di un finanziatore svizzero, che vuole rimanere anonimo.
Questo è il vero obiettivo a lungo termine, e il modo più efficace per
strappare questo paese alla legge del più forte, al controllo dei signori
dell’oppio e della guerra. So di un villaggio dove i giovani di notte
fanno la guardia affinché quelli che vogliono una popolazione ignorante
non possano incendiare la scuola.
Un giorno di due anni fa, nel Sharistan, un distretto della provincia di
Daikundi, in Afghanistan centrale andiamo al bazar. Vorrei comperare dei
palloni da calcio da portare in una scuola maschile. Sono ragazzi e anche
se vivono una vita da adulti e hanno sguardi da vecchi, il calcio è la
loro passione.
Il mercato è costituito da poche case in mattoni crudi con tetti in
lamiera che si surriscaldano sotto il sole cocente. La mercanzia è poca e
tutto quello che c’è sembra già usato, sbiadito e coperto
dall’onnipresente polvere portata dall’incessante vento. Visitando tutti i
negozi e creando una fiumana di gente che ci segue per dare buoni
consigli, riusciamo a comperare 4 palloni per una scuola con 800 ragazzi.
Non avrei mai pensato di trovare 4 palloni futili in un posto sperduto
alla fine del mondo, dove per arrivare bisogna percorrere per 6 lunghi
giorni strade sterrate che assomigliano ai greti dei fiumi. Non sarà, che
il calcio regna supremo su questo mondo e unisce gli umani, almeno i
maschi?
Viaggio con gli afgani e sono sempre ospite in case afgane. Le case sono
costruite di mattoni di fango crudo impastato con sterco e paglia. Le case
sono ad uno o due piani con i gradini disuguali e arrotondati che sfidano
il senso dell’equilibrio. Le fattorie piccole hanno una o due stanze. Le
fattorie ricche hanno una stanza per famiglia e una stanza dove si
accolgono gli ospiti.
Nelle fattorie vivono le famiglie allargate, generalmente i genitori
anziani, e i figli maschi con le loro mogli e figli. Nessun uomo che non
fa parte della famiglia allargata ha il permesso di entrare nelle stanze
interne. Dal portone si entra direttamente nella stanza degli ospiti. In
terra ci sono tappeti, meglio quelli fatti a macchina perché costano meno
e sono più morbidi.
Non ci sono mobili, ma una serie di materassini trapuntati fatti di stoffe
variopinte lungo il muro. All’ospite viene spinto un grande cuscino dietro
la schiena per stare più comodo, seduto sul sottile materasso. L’unica
libertà che ha l’ospite è quella di scegliere tra tè nero e tè verde.
Per il resto si segue un rituale, sempre uguale, sempre rigido. Ci si
siede, si chiede come sta la famiglia, si parla del più e del meno con gli
uomini della casa. Le donne non si vedono. Sono gli uomini a servire il
tè.
Dopo un tempo lunghissimo di chiacchiere arriva qualcuno con una
bacinella, una brocca di acqua e forse un asciugamano e un sapone. Uno ad
uno gli astanti si lavano le mani, non c’è acqua corrente e l’acqua
comunque sarebbe troppo preziosa per sprecarla lavandosi le mani sotto un
rubinetto. Arriva qualcuno con una cerata che viene stesa e sopra vengono
appoggiate le pietanze. Tutte assieme, dalla zuppa allo yogurt, tutti
mangiano velocemente, con le mani, il cucchiaio, mai con il coltello.
Appena finito viene rimossa la cerata con tutto quello che c’è sopra e
arriva il tè e solo dopo il tè si prega.
Ho chiesto ad un afgano di città, uno che ha viaggiato, come mai si prega
alla fine del pasto e lui mi ha risposto, con una logica che non ammette
dubbi, che è più intelligente ringraziare per il pasto dopo mangiato che
prima, quando non si ancora se il pasto è buono.
La
cucina afgana.
Durante i viaggi in Afghanistan, l’aspetto più duro per me è senz’altro
costituito dal cibo. Nelle alti valli dell’ Afghanistan centrale la
primavera si presenta tardi e i campi vengono arati a fine maggio, inizio
settembre ci sono le prime gelate. Non è terra di frutta e verdura. Si
mangia carne, carne di pecore vecchie che non hanno più un altro utilizzo
per la gente se non quello di essere mangiate. Queste pecore vengono
bollite per ore e ore.
Il brodo di pecora costituisce il piatto unico per la gente comune. Pane
messo a mollo nel brodo di pecora vecchia. E’ una dura prova perché non ha
nulla a che vedere con le costolette di agnello che si mangiano qui. Mi
vogliono bene e sanno che sono abituata a mangiare frutta e verdura. Mi
offrono mazzi di erba cipollina, una mela, due albicocche sciroppate e
magari un uovo sodo e una bottiglia di coca cola.
Sono felice di ogni alternativa al brodo di pecora e accetto con gioia,
sentendo su di me gli sguardi increduli. Ogni tanto tento di immaginarmi
come mi potrebbero guardare se mi mangiassi un piatto di cozze alla
marinara o dei gamberi. Questa popolazione che è così lontana dal mare e
non sa nulla delle usanze culinarie altrui, tenta di farmi mangiare
qualcosa che mi faccia sentire a mio agio.
Omid onlus.
Omid
in persiano (una delle due lingue ufficiali afgane) significa speranza. Ed
è proprio quello che ho tentato di portare con i progetti di scuole,
ambulatori, corsi per ostetriche, pozzi, orfanotrofio, corsi di
alfabetizzazione e dei diritti umani. Nella primavera 2001 sono andata per
3 mesi a vivere con i profughi afgani a Quetta in Pakistan. Ho dato una
mano nelle scuole che sostenevo da tanti anni tramite una associazione in
Svizzera tedesca. La scuola era gestita dalla dottoressa
Sima Samar, una donna medico afgana.
Insieme ai miei studenti, durante la lezione di inglese, abbiamo tentato
di scrivere una costituzione per l’Afghanistan. Erano i tempi dei taleban
e nessuno pensava che un anno più tardi effettivamente una commissione
avrebbe iniziato a stilare una vera costituzione. Le ragazze, ce n’erano
solo tre, e i ragazzi non avevano la minima idea della divisione dei
poteri e dei diritti fondamentali e sono rimasta colpita dell’entusiasmo
con il quale veniva discussa ogni cosa e di quanto erano specifiche e
mirate le loro domande.
Questo della costituzione è solo un esempio per dire di quanta poca
speranza in un futuro questi giovani avevano e di come mi sono sentita,
tornando in Italia, nel mio mondo perfetto. Nell’estate 2001 ho iniziato a
raccogliere fondi e a costituire un’associazione in Svizzera italiana
(Solidarietà Ticino Afghanistan) e una in Italia (Omid onlus).
Ora finanziamo scuole per 7000 studentesse e studenti, decine di migliaia
di persone vengono curate negli ambulatori da noi finanziati e abbiamo
formato centinaia di ostetriche e insegnato a leggere e a scrivere a più
di 2000 donne. Una cinquantina di bambine vivono nell’orfanotrofio da noi
finanziato. I progetti sono cresciuti a dismisura eppure siamo rimasti un
piccolo gruppo di persone da contare con le dita delle due mani che crede
in quello che fa e paga tutte le spese amministrative e anche i viaggi in
Afghanistan di tasca propria.
Solidarietà Ticino Afghanistan
www.ticino-afghanistan.ch
Via Monte Generoso
6874 Castel S. Pietro
persona di contatto: Mirka Studer mstuder@ticino.com
Conto corrente postale:
65-240698-1
Conto corrente bancario:
Banca Raiffeisen Balerna
1877196 80272
Omid Onlus
www.omid-onlus.org
Via Bonvicino 24a
20025 Legnano
persona di contatto: Evelina Colavita
evcolavi@tin.it
Conto corrente postale: 42703223
Conto corrente bancario:
Monte dei Paschi di Siena, agenzia di Legnano
Intestato a OMID Onlus
No. 8408,31
Cod. ABI 1030 CAB 20200
Un'adozione a distanza costa
150 Euro (240 Frs) all'anno. Una partecipazione all'ambulatorio costa 200
Euro (320 Frs) all'anno
Alla luce degli ultimi sviluppi in Afghanistan, spesso qui in Europa la
gente mi chiede se ha senso costruire e mandare avanti scuole e tenere
aperti ambulatori in un paese dove si uccide e si muore con tanta
facilità. Mi sento di rispondere sempre di sì, perché l’istruzione è un
investimento a lungo termine e solamente grazie all’istruzione le prossime
generazioni afgane hanno un minimo di speranza. Per quanto riguarda gli
ambulatori, vi assicuro che la sofferenza della popolazione non ha nulla a
che vedere con le follie di quelli che si battono per il potere.
Resoconto dei progetti 2006
Orfanotrofio di Jaghori (Provincia di
Ghazni) 21716 USD. Questo progetto è finanziato da un donatore privato che
desidera rimanere anonimo.
4 Ambulatori a Lal e Ser-e-Jangle nella provincia di Ghor 30514 USD e
Chawad (Nahoor) e Sar-e-ab nella provincia di Ghazni 47387 USD
Scuola Rabia Balchi a Quetta in Pakistan. Da gennaio a maggio 2006 5446
USD. Questa scuola a Quetta ha chiuso nel mese di maggio 2006. Le famiglie
delle alunne si sono trasferite in Afghanistan.
Scuola per bambine a Sar-e-kul, distretto di
Yakawlang, provincia di Bamyan 6067 USD
Scuola nel distretto di Balkhab, provincia di Sar-e-pul. 13980 USD. E'
attualmente in costruzione una scuola
nuova in collaborazione con l’associazione "La casa degli angeli di
Daniele".
Scuole per bambine e bambini nel distretto di Shahristan, provincia
Daikundi 23'865 USD. In questo distretto le spese di alcune scuole ora
vengono pagate dal ministero della pubblica istruzione afgano.
Scuole elementari, medie e licei a Sang-e-Masha, distretto di Jaghori,
provincia di Ghazni USD 26026.
Scuola elementare di Tabqoos, distretto di Jaghori, provincia di Ghazni.
Spese correnti e parte delle spese di costruzione del nuovo edificio
scolastico ammontano a 39'696 USD. La costruzione del nuovo edificio è
finanziato dalla provincia di Bolzano e dalla socia di Omid, Margret
Bergmann. Un altro edificio scolastico sarà costruito nel distretto di
Jaghori nella provincia di Ghazni. Questa progetto è finanziato dalla
provincia di Bolzano e dall’associazione Etica Mundi.
Scuola elementare di Panjaw, provincia di Bamyan USD 9'358.
Corso di alfatebizzazione e di diritti umani seguito da 1250 donne in vari
distretti delle provincia di Wardak, Bamyan, Ghazni finanziato da Cariplo,
Omid e Solidarietà Ticino Afghanistan USD 76'050.
Totale fondi inviati da
Solidarietà Ticino Afghanistan e Omid per i progetti nel 2006 :
310'000 USD
30/09/2007
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