Lettera

di Anita Sonego



 

Care socie e care amiche,
                                        poiché penso  che tra di noi c’è un legame profondo, oggi mi sento la libertà di condividere con voi una riflessione che, riemersa domenica scorsa, ha avuto spesso occasione di presentarsi alla mia coscienza.

Come sapete- per averne avuto avviso tramite mail ed anche tramite il sito- (e di questo ringrazio calorosamente  Sara e Liliana) domenica 16 novembre all’Università delle Donne c’è stata una iniziativa che è durata tutta la giornata,
Iniziativa organizzata per ricordare una donna, una femminista che ha lavorato moltissimo per le donne e per le lesbiche non solo della città in cui viveva: Bologna, ma anche per tutte noi.

In sua memoria abbiamo organizzato la proiezione di film e documentari creati e prodotti da donne e che avevano come tema le vite delle donne: una straordinaria artista sarda, una nonna acuta ed ironica, interviste a donne lesbiche, un gruppo di carcerate ecc..
E’ stata una esperienza forte sia dal punto di vista del pensiero che da quello emotivo.

Quando sono ritornata a casa mi sono, però, interrogata sul fatto che tra le partecipanti ci fossero solo 3 donne non dichiaratamente lesbiche una delle quali, Carmen Covito, nemmeno iscritta all’Università.
Quando abbiamo fondato la nostra associazione non era a questo che pensavamo.

Mi spiego: La ricchezza del nostro nucleo originario e della nostra scommessa era quella di mettere assieme esperienze, conoscenze diverse per spezzare gli specialismi disciplinari, per costruire un sapere che partisse dalle vite.
Perché, nonostante più volte sia stato chiesto da molte di voi di proiettare dei film, proprio questa volta non c’eravate?
Mi si potrebbe dire che era di domenica: ma la domenica è lunga e non posso credere che tutte voi siate state fuori Milano.
Qualcuna mi dirà che noi facciamo un gruppo “a parte” e che perciò siamo noi che discriminiamo.

Rispondo che ogni soggettività ha bisogno di trovare dei momenti di separazione per rafforzarsi, conoscersi, darsi valore e così poter affrontare il mondo con maggior senso di sé. D’altra parte molte delle partecipanti al gruppo Soggettività Lesbica (GSL) partecipa fattivamente ad altri gruppi della nostra Università oltre che al Comitato di Gestione.
Il GSL ha organizzato, quest’anno, la lotteria e la festa i cui proventi sono andati in gran parte all’Università stessa.

Noi non ci sentiamo estranee alla nostra associazione (anche perché siamo tutte iscritte), siamo abituate ad essere discriminate in vari modi, anche molto sottili, ma vi assicuro che questa separatezza e cortese menefreghismo alle nostre tematiche noi lo percepiamo e non ne siamo molto felici.
In questo periodo è stato chiesto da alcune di voi di organizzare una iniziativa sui diritti (in occasione delle minacce e discriminazioni subite da Saviano). Ma di che cosa stiamo parlando? Quante di quelle che, giustamente, vorrebbero discutere di diritti ha manifestato ad un Gay Pride per sostenere i diritti di donne che fanno parte della vostra associazione, che conoscete e a cui volete bene?

Non ci si abitua MAI ad essere discriminate; ed anche questo lo sapete perché siete donne.
Ma perché è più facile andare ad una manifestazione contro il razzismo, l’infibulazione, la xenofobia piuttosto che ad una iniziativa a favore di chi è discriminata/o per le proprie scelte sessuali?

I poteri che contano nella nostra società mirano a dividerla, a mettere ceti sociali, fasce generazionali, gruppi etnici, religioni e credenze, stili di vita, gli uni contro gli altri.
“Divide et impera”, dicevano i Romani. Mi sembrerebbe drammatico se anche nella nostra associazione questa tendenza cominciasse a mettere piede, se non fossimo coscienti del pericolo che corre la nostra convivenza se non ci apriamo, anche se con fatica, ad ogni diversità.
Con questo tremore e un po’ di amarezza vi saluto e abbraccio.

18-11-2008

Risposte a questa lettera

 

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