Il femminismo degli anni '70: uno sguardo

di Annamaria Medri


Rachel Ruysch

 

L'intervista di Maria Bravo a Repubblica del 2 febbraio e i successivi interventi sul femminismo degli anni settanta mi hanno riportato alla mente quel periodo della mia giovinezza quando militavo in Lotta continua. A conti fatti, e rifatti molte volte nel corso del tempo, mi sono accorta che il momento di svolta, che ha modificato il mio atteggiamento nei confronti del modo di affrontare e pensare alla vita, ai suoi problemi e alla politica, è stato il femminismo. Ho capito che quando si evidenzia un conflitto non è possibile risolverlo - distruggerlo con l'uso della forza come allora si diceva. Una volta individuato il nemico bisogna trasformare il rancore in una forza d'urto che possa cambiare la situazione: alterare e poi modificare le relazioni vicine e lontane, le piccole e quelle quasi incommensurabili del potere.

Significativa, alla fine degli anni settanta, fu la forza d'urto delle donne di Lotta continua - che iniziarono a riunirsi in luoghi separati, che misero in mostra la diversità dei propri corpi e, a partire da questa, presero parola pubblicamente nelle riunioni congressuali per chiedere conto ai compagni delle loro scelte di vita - tanto da incrinare profondamente l'attrazione totalizzante della scelta rivoluzionaria. La meta, la vittoria della classe operaia, iniziò a sbriciolarsi infiltrata da tutte le diversità che improvvisamente vennero alla luce; il soggetto della rivoluzione si scompose nei vari soggetti, ciascuno e tutti differenti e autonomi, che si guardavano sbalorditi. Nel marasma successivo Lotta continua chiuse i battenti.

Non lo sapevamo, ma eravamo entrate/i d'infilata nella postmodernità, le contraddizioni del mondo si erano sedute alla nostra tavola; finiva il fascino dell'occidente che per due secoli aveva monopolizzato l'attenzione universale chiudendo nelle proprie antinomie, nell'oppressione e nella liberazione, nei corpi sociali e nei blocchi contrapposti l'orizzonte di senso della vita. Si è schiuso un vuoto, uno spazio aperto, pieno di segni da decifrare, comporre, tessere assieme. Ma anche un desiderio d'ordine, d'identità marchiate a sangue e una volontà di potenza che usa l'annientamento e la violenza per generare insicurezza e disordine come uniche strade per l'egemonia: il terrorismo e la guerra di conquista, due mostri che non guardano al passato, vogliono costruire nuovi imperi e nuovi pensieri totalitari.

Il femminismo è stato uno sguardo sulla realtà che ha negato l'esistenza di un soggetto unico universale, maschio e bianco, che potesse contenere in controluce l'umanità intera e che potesse rappresentare le donne. Una cartina di tornasole, cosciente, di tempi maturi.

Questa venuta al mondo delle donne in quanto tali, differenti dall'uomo, ha avuto una gestazione lunga e sofferta. Perché non è sufficiente dire le cose come stanno. Bisogna narrare una storia, offrire un'interpretazione opposta a quello che sembra un destino. Chi detiene il potere si arroga il diritto di stabilire cosa sia realtà e chiede agli individui di conformarsi ad essa trasformandosi in realisti attraverso l'adesione agli stereotipi imposti. Il conformismo, usato come compensazione del senso di impotenza, diventa il modo con cui annullare le conseguenze della dipendenza: il dolore e la sofferenza anziché essere conosciuti quale risposta significativa dell'essere umano, sono rifiutati in quanto segni di debolezza.

E' necessario saper nominare il conflitto per prendere distanza, interporsi e cercare interlocutori con cui trattare soluzioni mediate. L'ingiustizia porta alla sofferenza e all'odio e, allora è utile farsi carico di questa disperazione in termini non distruttivi. E' opportuno diventare sovrane, stare presso di sé con autostima ed essere responsabili delle propri decisioni.

Così, partendo dall' esperienza di vita, le donne nei gruppi di autocoscienza femminista hanno affrontato le ragioni dell'esclusione sociale e politica che hanno subito. Hanno assunto una posizione durissima, assolutamente di parte, per guardare negli occhi una sofferenza che non volevano più sopportare e per aprire un conflitto con il potere sessista che le opprime e con gli uomini, strumento fisico, incarnato di questo potere.

La questione dell'aborto è stata fondamentale.
Nel privato le donne hanno sempre esercitato il diritto, nascosto, di vita e di morte rispetto alla procreazione di figli e figlie. Un diritto di vita e di morte basato sull'irresponsabilità nel senso che, fino a quando la maternità è un destino, è sufficiente impedire il singolo evento senza intralciare lo scorrere fluente dell'ordine normale delle cose. L'aborto era questo, un "vizio" segreto, una questione di donne, da gestire in solitudine con la mammana e da confessare al prete. Un modo tragico per controllare la fertilità senza conoscere il proprio corpo e la propria esistenza.

Dichiarare che l'aborto veniva praticato massivamente, in ogni ceto sociale e in ogni parte del mondo, è servito a togliere il velo sulla differenza uomo - donna. Ha messo in luce il fatto che ogni essere umano per nascere deve passare attraverso la scelta di una donna con cui stabilisce una relazione asimmetrica, di dipendenza. Questa non era, e forse non è ancora, una realtà evidente, continuamente viene occultata dalla religione, dalle scienze e dalle leggi. E, contemporaneamente, ha reso le donne responsabili rispetto alla scelta procreativa in quanto si è stabilita una frattura tra la sessualità femminile, il piacere sessuale, e la maternità. Le due cose non coincidevano più agli occhi del mondo; la soggettività femminile si è distaccata dalla seduzione del ruolo materno. Così, il numero degli aborti è costantemente diminuito nel corso degli anni.

Il desiderio di controllare il corpo e l'autonomia delle donne, come grimaldello per plasmare l'ordine sociale e tenere a bada paure e fantasmi, è ancora molto in voga. La legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita ne è un esempio. E' necessario riaprire il conflitto perché l'ordinamento sulla PMA, ha aperto una voragine di senso sugli aspetti quotidiani della vita e sui massimi sistemi. Probabilmente chi l'ha scritta e approvata non se ne è reso conto fino in fondo oppure ha deciso di cercare lo scontro per rimodellare a propria immagine l'ordine delle cose, in particolare per quanto attiene alla famiglia: ha prioritariamente negato che la nascita dipende da una scelta femminile consapevole, ha costruito una camicia di forza che ingabbia la libertà degli individui e della ricerca scientifica e contemporaneamente ha reso esplicito un conflitto all'interno delle relazioni fra donne e uomini, alla sessualità e alla vita.

Ecco su questo nuovo scenario sarebbe interessante rimettere in campo pratiche femministe anche per trovare collegamenti sulle trasformazioni prodotte dalla tecnologia nei corpi e nelle menti di uomini e donne. Ci riusciremo?

 


12-03-05