Presentazione dei cinque incontri del corso della Libera Università delle Donne, che si terranno a febbraio-marzo 2006 nella Biblioteca di Cernusco sul Naviglio

Hanna Arendt
Pensare il presente

di Donatella Bassanesi

 




Hanna Arendt si dice pensatrice. La passione del pensare (che è la filosofia) è il suo luogo di provenienza. "Se posso dire di 'provenire da qualche parte', è dalla tradizione della filosofia tedesca" (lettera di Hanna Arendt a Gerhard Scholem, New York City, 24 luglio 1963, in: H. Arendt, Ebraismo e modernità, Feltrinelli, Milano, 1993, p. 221).
Si può pensare il passato (ricordare), il futuro (immaginare). Pensare il presente è un andare pensando, implica un movimento (un'azione, un giudizio, la critica). Il luogo che si attraversa è modificato dal passo, e il passo è modificato dal luogo che si attraversa. Il movimento, nel doppio mutamento (del luogo e del passo), si mostra come tempo, è modificazione (muta il soggetto e l'oggetto), mostra il tempo come materia, e lo situa in quanto materia nel presente.

Così Hanna Arendt, andando pensando il presente ("non affidarsi né al passato né al futuro. Ciò che conta è l'essere totalmente presenti" è l'epigrafe tratta da un pensiero della Logica di Jaspers posta da Hanna Arendt a Le origini del totalitarismo), pensa il tempo, le articolazioni del tempo - che si pongono nelle fratture, nei passaggi, determinano le svolte, definiscono.
Essendosi posta a un crocevia, attraverso il suo pensiero si vede l'incidenza delle interruzioni, nei punti di frattura gli effetti. Non essendo il problema "quello della tradizione e della traccia, ma quello della frattura e del limite, non è più quello del fondamento che si perpetua, ma quello delle trasformazioni che valgono come fondazione e rinnovamento delle fondazioni" (M. Foucault, L'archéologie du savoir, Gallimard, Paris, 1969, tr. it. L'archeologia del sapere, RCS, Milano, 1998, p. 8). Così, allontanandosi dal centro e dalla sua influenza, nello spazio di dispersione della politica e della filosofia, pronta ad afferrare ogni avvenimento e ogni discorso come meccanismo di un'istanza (che è poi avvenimento), considerando l'articolazione plurale delle facoltà umane e insieme gli interessi che le indirizzano, espone la filosofia alla luce dei fatti.

Accetta la crisi del presente e intende in un certo senso intervenirvi. "Mediante la costituzione dello spazio che si apre unicamente grazie ai percorsi tracciati dal pensiero o in virtù del lavorio compiuto dal soggetto pensante che si muove in tutte le direzioni, ogni singolo oggetto pensato perde per così dire la rigidezza che lo mantiene legato al suo punto di ubicazione, e con ciò perde la sua pedanteria; diviene libero quanto basta per essere vicino agli oggetti più lontani. In termini politici, è la sprovincializzazione della filosofia occidentale" (lettera di H. Arendt a K. Jaspers, 4 ottobre 1950, cit. in Carteggio 1926-1969, Feltrinelli, Milano, 1989, p. 94).
"Si tratta infatti del caso raro di un pensiero libertario ma ostile ai miti della liberazione, di una concezione iper-politica dell'esistenza che non si identifica in alcuna forma costituita di potere, di una teoria dell'interpretazione della tradizione che non nasconde mai il fallimento di un'intera tradizione di pensiero" (A. Del Lago, Una filosofia della presenza, in: R. Esposito (a cura di) La pluralità irrapresentabile, Istituto Italiano di Studi Filosofici, Napoli, 1987, p. 96).
Occupandosi di teoria politica come scena di libertà, orizzonte di possibilità che si realizza nel mondo, possiamo credo dire che, nel partire dalla consapevolezza di una crisi radicale del presente, intenda interpretare il mondo ponendosi ai suoi limiti (non al centro), in quel luogo che mai coincide con una appartenenza ma che riconosce radici, che è dell'ambiguità e dell'apertura dell'esserci all'esserci degli altri.