«La violenza di genere si batte combattendo la cultura che la partorisce»
di Claudio Jampaglia

L'assemblea di “Usciamo dal silenzio” del 19 settembre 2006

L’ appello “La violenza contro le donne ci riguarda” promosso da una sessantina di uomini e da associazione di differenza maschile è «un inizio con cui confrontarsi». E bisogna far conoscere in Italia la campagna internazionale del Fiocco bianco per la presa di coscienza maschile, lanciata in Canada da Michael Kaufman. Buone nuove. Ma la questione dell’inviolabilità del corpo ha bisogno del filo di storie, esperienze, progetti ed elaborazioni delle donne, altrimenti tutto sarà emergenza, fugaci dichiarazioni di ministre e sindache, zone off-limits della città e etnie da cui guardarsi le spalle.

Le donne di Usciamo dal silenzio lo sanno, non c’è centralino antistupro che tenga se non si combatte la cultura che partorisce la violenza. Lo dicono in tante, tra cui Assunta Sarlo e Susanna Camusso nell’assemblea milanese di martedì sera: «Cresce la violenza e cresce quella sulle donne perché siamo più libere nonostante gli inciampi quotidiani, ma anche perché ci sono contemporaneamente donne più deboli, ricattabili, dal mercato del lavoro e dentro le relazioni familiari». Violenza raccontata, scandalisticamente indagata fino al dettaglio morboso. «Non dimentichiamo - chiede Camusso - che la paura cambia i comportamenti e non bisogna fare finta che l’immagine della violenza fatta da uomini stranieri non passi». Anche se l’80% dei maltrattamenti avviene tra le mura domestiche, il dibattito politico e mediatico sembra altro. E allora che fare per non trovarsi a inseguire l’emergenza?

Tiziana della Casa delle donne maltrattate racconta degli incontri, tutti i giovedì dalle 15 alle 17, tra operatrici, psicologhe e donne per un progetto di ricerca con l’università di Napoli sulla identificazione e prevenzione dei “segnali di violenza”. Qualcosa di fondamentale per riuscire a entrare in un fenomeno passivamente accettato come inevitabile, ovvio, connaturato. Nella, della cooperativa Cerchi d’Acqua, altro centro anti-violenza, parla di «quotidianità del lavoro, di formazione per operatori ed educazione sociale», altro che pulsanti ai semafori proposti dalla sindaca Moratti.

«Senza dimenticare la cosiddetta violenza assistita ovvero quella a cui assistono in famiglia bambini e giovani e che rischiano di assumere come modello». Gli interventi e le proposte si intrecciano. «Non ci bastano elenchi di vie da evitare o servizi d’allarme - ribadisce Adriana Nannicini - abbiamo bisogno di una parola pubblica non delegata che chieda e proponga una città più vivibile per tutti». Si torni all’inchiesta, come sui consultori, anche sui quartieri, sui tempi di vita e di relazione.

Anita Sonego, feroce contro il progetto famiglia di Rosy Bindi e per l’esistenza stessa di un ministero con quel nome, lancia alcune proposte altre: «Abbiamo bisogno di dare segnali pubblici della presenza delle donne in città, luoghi e momenti, come la Casa della donna e una riproposta di “riprendiamoci la notte”. E poi dovremmo lavorare sulla pubblicità, incalzando gli operatori del settore e incontrando anche i vertici Rai, perché la si smetta di vendere merci col corpo delle donne». Ogni metro di strada un pezzo di carne per un’auto o un telefonino.

Vivibilità, cosa pratica e culturale di tutti e tutte, da progettare compiutamente di fronte all’ottica distorta dall’emergenza significa cose pratiche e un cambio culturale. «Isolare le forme di violenza dai fattori sociali, politici e psicologici che le accompagnano è profondamente sbagliato - ricorda Lea Melandri - le forme estreme degli stupri e degli omicidi sono in continuità con la cultura iscritta nella civilissima civiltà occidentale fondata sullo svilimento del corpo e del ruolo delle donne.

Siamo ancora un corpo vile, una funzione sessuale e riproduttrice e la violabilità della donna non è un problema di aggressività iscritte nel dna o etniche, ma sta dentro la nostra cultura, nella separazione tra casa e piazza, tra privato e pubblico». La ricetta di Lea? «Finché gli uomini non avranno un rapporto diretto col corpo, quello del bambino, dell’anziano e del sofferente, daranno la morte con facilità perché non conoscono la fatica e la cura per dare e tenere la vita». Sacrosanto. La rete delle esperienze che già esistono dovrebbe allora diventare un progetto compiuto, scritto e articolato, con al centro l’inviolabilità del corpo femminile. La manifestazione invocata dagli uomini dei media, in nome del “silenzio delle femministe”, non esiste. È merce avariata.

«La manifestazione dovremmo farla contro il silenzio colpevole di politici e intellettuali sulla quotidiana violenza contro le donne, taciuta e ridotta a problema di una minoranza come tutta la questione delle donne», ribatte Lea. «Nel nostro piccolo abbiamo portato le donne della Caritas, della Mangiagalli e dei centri anti-violenza in Comune per sostenere una mozione che dica chiaramente che la violenza sulle donne riguarda tutti – spiega Patrizia Quartieri presidente della Commissione pari opportunità del Comune di Milano e una delle sette consigliere su 71, eletta per il Prc – riguarda gli uomini, di centro, destra e sinistra, perché è tra le mura domestiche, dentro la cultura e un’istituzione locale dovrebbe lavorare stabilmente con scuola, Asl e operatrici dei consultaori e delle associazioni».

Intanto in Comune le opposizioni hanno ottenuto i finanziamenti ai progetti di educazione sociale nelle scuole (tra cui “Stop al bullismo”) che la giunta uscente aveva sospeso, scoprendo in più che l’anno scorso i fondi dell’infanzia sono stati restituiti al ministero perché inutilizzati. Una vergogna. «Come la questione dell’assicurazione contro i crimini per tutti i cittadini lombardi sottoscritta dalla Regione che non riguarda le violenze sessuali e nemmeno i danni ricevuti da congiunti». Non è disattenzione, è proprio assenza del tema. E allora “scuola, scuola, scuola” dicono tutte, ma anche «saper afferrare insieme il filo per costruire la rete tra le tante esperienze che esistono già e darsi forza e progettualità politica», ricorda Patrizia Arnaboldi del Forum donne del Prc.

Un piano nazionale di informazione e intervento, l’osservatorio sulle violenze, l’intervento nelle scuole dovrebbero esserci nel piano istituzionale della ministra alle Pari opportunità Barbara Pollastrini. Ma bisogna incalzarla con progetti, proposte. «Basti pensare - come racconta Giovanna Fantini - che i fondi del ministero l’anno scorso non sono stati spesi e il codice delle pari opportunità entrato in vigore a giugno, per quanto limitato e criticabile sia, nessuna sa che esiste e nessuna lo usa».

Anche sul piano diritto e repressione le tante giuriste di Usciamo dal silenzio invitano all’attenzione: «Alla recrudescenza dei reati corrisponde sempre quella delle pene, vale per i furti col permesso di sparare al ladro e vale per la violenza sulle donne con la proposta del giudizio per direttissima - ricorda Chicca - con molte contraddizioni perché una donna ha sei mesi di tempo per sporgere querela, mentre i tempi della direttissima sono immediati. E quindi si tornerebbe alla procedibilità d’ufficio su cui il movimento femminista ha discusso per anni». Massimizzazione della pena uguale massima esposizione per la donna colpita ovvero la messa in piazza.

«Stesso ragionamento per l’esclusione di legge delle attenuanti generiche per le violenze sessuali che limitano il giudice da una parte nella valutazione effettiva del singolo caso, mentre si permette allo stesso magistrato di decidere una “violenza minore” con lo sconto di pena dei due terzi in completa discrezionalità». Le leggi sono lo specchio dei rapporti di forza sociali e non sarà via norme che si cambierà. Ci vuole un altro passo, delle donne e della società, che ancora tratta la violenza come problema delle donne al più, se non come naturale squilibrio tra i sessi. Un pezzo di storia del pensiero e di civiltà rimasto drammaticamente indietro, uno spreco, un insulto, tutti i giorni ripetuto.

 

questo articolo è apparso su Liberazione del 21 settembre 2006