Una storica impostorica

Emma Baeri


Emma Baeri Parisi

 

Nel dicembre del 1975 ho incontrato il mio collettivo di autocoscienza e il femminismo mi ha “salvato la vita”. Fatto personale quindi politico, ben presto ho sentito il bisogno di dirlo in giro, a cominciare dai luoghi mio mestiere, quello di una giovane storica, ricercatrice all’università di Catania.
Fu così che in preda a una passione quasi missionaria cominciai a costruire l’aggettivo che poi sarebbe stato il mio qualificativo: sono diventata una storica impostorica. Infatti questo e non altro pensano – temo ancora oggi – anche molte compagne di strada, che hanno trovato conforto nel “genere”, certamente utile, ma d’altro parlavamo allora, sul finire degli anni Ottanta.
Quella soggettività imprevista, che si catapultava sulla disciplina e sulla didattica della storia, prima di tutto stupiva me stessa, giorno dopo giorno, e un coraggio crescente mi spingeva a proporre ovunque un passaggio, per me necessario, dalla pratica politica al metodo storiografico.

“Partire da sé”, da me, ha significato cominciare a trasmettere il mio desiderio della mia storia, nella speranza di sollecitare analogo desiderio in chi mi ascoltava, un corpo a corpo tra corpo in-segnante – il mio – e corpo studente – le centinaia di ragazze e ragazzi che ho incontrato in trentacinque anni di lavoro all’università di Catania. Complice la Società Italiana delle Storiche, l’incontro con alcune maestre appassionate e geniali –– Maria Bacchi in particolare – è stata la mia scuola primaria: mi hanno insegnato quasi tutto.

Pensare per rapporti di rispetto e non per rapporti di dominio, entrare nella disciplina in-disciplinandola, mettermi in scena con autenticità e ironia, è stata quindi la premessa necessaria per creare lo spazio teorico e materiale affinché “gli altri e le altre” potessero usare liberamente le proprie parole, raccontando altri modi di intendere progresso, durata, tradizione, utopia, e tutte le altre parole chiave che la tradizione storiografica eurocentrica ci ha consegnato. E soprattutto, alcune e alcuni maturando una curiosità crescente per quel femminismo da me continuamente citato: potevo in-segnarne il desiderio, forse.

Tutto ciò assieme e dentro la doverosa rilettura delle fonti e delle loro rilevanze, verso una storia nuova.


C’è oggi una perdurante neutralità della politica. Il nesso tra soggettività politica e responsabilità collettiva è occasionale, irrilevante.
Che fare? Serve, a mio avviso, rigenerare una pratica politica “antica”, qui e ora. Noi – le femministe storiche – abbiamo fatto autocoscienza, siamo rinate attraverso questa pratica.
E’ possibile riproporre questa pratica oggi?
E’ possibile esportarla verso gli uomini? Penso di sì, alcuni già si incontrano per questo.
E’ possibile quindi ipotizzare una tensione, un auspicabile conflitto, tra cultura dei padri e saperi degli uomini in carne ed ossa (per “cultura” intendo i modelli di mascolinità ereditati, ivi comprese le forme della politica, per “saperi” le conoscenze – “nuove parole e nuovi metodi” – nate da una pratica autoriflessiva, individuale e collettiva insieme).

Penso che sia arrivato il tempo di rendere manifesto un nuovo imprevisto: un attrito interno al patriarcato, uno stridore tra i modelli tradizionali di mascolinità, un inedito movimento di liberazione degli uomini, una rottura separatista del codice patriarcale attraverso l’autocoscienza della sessualità maschile, la critica dei ruoli, il rapporto di ciascuno col potere, il ritrovamento del segno materno, l’apprendistato delle relazioni. Non si tratta di disobbedire a un ordine, ma di una trasgressione, la prefigurazione di un passo oltre, oltre l’ordine simbolico e culturale esistente, oltre il senso comune della mascolinità: il coraggio degli uomini è la gentilezza, per esempio.
Confermo: il femminismo si può in-segnare, possiamo lasciarne il segno sollecitandone il desiderio….
E insieme, questioni di cittadinanza, da porre…..


Catania, giugno 2014

 

Emma Baeri su Wikipedia

Emma Baeri, Dividua. Femminismo e cittadinanza, quarta di copertina

lettura di Alessandra Pigliaru

 

 

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