Maschi, perché uccidete le donne?


Frida Khalo

«Non è vero e non ci credo». «La nostra epoca ridà legittimità alla guerra, nella famiglia fioriscono violenza e sopraffazione». «La nostra cultura è patriarcale». Non è immediatamente facile trovare spiegazioni al dato reso noto una settimana fa dal Consiglio d'Europa: la prima causa di morte delle donne tra i 16 e i 44 anni, nel mondo, ma anche in Europa, è l'aggressione violenta da parte dei loro compagni di vita. Lo afferma una ricerca del neonato "Osservatorio criminologico e multidisciplinare sulla violenza di genere".


La violenza, investimento del desiderio, è nemica del desiderio.
Perché annichilisce i corpi nell'ossessione identitaria
di Franco Berardi "Bifo"



Da tempo Adriano Sofri sostiene la tesi che negli ultimi anni è iniziata una sorta di guerra mondiale per la (ri) sottomissione delle donne, che nel corso del ventesimo secolo sono riuscite a conquistare spazi di indipendenza economica, psichica, sessuale. L'esplosione di integralismo islamica rappresenta probabilmente la forma più evidente di questa guerra, ma il discorso non può limitarsi all'islamismo. Le grandi religioni monoteiste, che tendono naturalmente verso l'integralismo, hanno riconquistato negli ultimi decenni una presa formidabile proprio perché nella riaffermazione dell'identità religiosa è implicita la riaffermazione della subordinazione della donna. Ma se vogliamo cogliere le dimensioni reali della guerra contro le donne che si sta svolgendo nel mondo del nuovo millennio occorre estendere lo sguardo oltre i confini dell'integralismo religioso, e vedere l'integralismo economico come una (forse la principale) fonte di oppressione del corpo femminile.

Se non si tiene conto del ruolo che l'economia di profitto ha svolto e svolge nella sottomissione del corpo sessuato, se non si tiene conto di quanto il fanatismo economico abbia contribuito a impoverire l'esistenza e la sessualità, e abbia contribuito a introdurre nella vita sociale elementi di violenza, di arroganza, di aridità, si finisce per credere nella tavoletta secondo cui i malvagi integralisti opprimono le donne (il che è fuori discussione) mentre le corporation contribuiscono all'emancipazione e alla libertà.

In effetti la guerra d'aggressione contro le donne è strettamente collegata con lo sconvolgimento della sfera affettiva prodotta dall'economia globalizzata. Nella fase della globalizzazione del mercato del lavoro, l'emancipazione delle donne occidentali viene a coincidere con una sorta di globalizzazione della prestazione affettiva, sessuale, e della prestazione di cura. Mentre le donne occidentali si emancipano dal ruolo di madre, di cuoca, di infermiera che si occupa dei figli o degli anziani, in Ucraina o nelle Filippine, in Senegal o nel Maghreb milioni di donne sono costrette ad abbandonare le loro famiglie e i loro figli per sostituire a pagamento emancipate occidentali.

«Gli stili di vita dell'occidente sono possibili grazie a un trasferimento globale dei servizi associati con il ruolo tradizionale della donna, cura dei bambini, cura della casa, sesso. In una fase passata dell'imperialismo, i paesi del nord del mondo estraevano risorse naturali e prodotti agricoli, gomma metalli e zucchero, ad esempio, dalle terre conquistate e colonizzate. Oggi, mentre ancora contiamo sui paesi del Terzo mondo per il lavoro industriale e agricolo, i paesi ricchi puntano a estrarre anche qualcosa che è più difficile da misurare e da quantificare, qualcosa che assomiglia molto all'amore. E' come se le parti ricche del mondo si trovassero prossime ad esaurire preziose risorse emotive e sessuali, e dovessero rivolgersi alle regioni più povere per ricavarne nuove risorse». (Ehrenreich, Russell, Hochschild: 2002, Introduction "Global woman", pag. 4).

Si tratta di un vero e proprio trasferimento coatto di affettività. Quali effetti potrà produrre nella storia futura questo sfruttamento affettivo che la globalizzazione porta con sé? Possiamo prevedere che si accumulino nell'inconscio globale cataclismi di odio destinati ad esplodere in futuro? Non si tratta forse di una bomba a tempo piazzata nel cuore dell'affettività planetaria?

«Insegniamo ai nostri figli che il danaro non può comprare l'amore, e poi andiamo dritti a comprare amore per loro, noleggiando stranieri perché li curino, dato che noi abbiamo cose più importanti da fare. La ristrutturazione della famiglia americana ha creato un enorme bisogno di cura dei bambini ci sono quasi 400mila bambini sotto i tredici anni a New York con entrambi i genitori che lavorano, e ci sono meno di 100mila posti per loro in scuole a tempo pieno o programmi di assistenza quotidiana». (Susan Cheever: "The Nanny Dilemma", "Global Woman", 2002).

E magari si finisce per concludere che i bombardieri americani che uccidono decine di migliaia di donne in Afghanistan come in Iraq sono strumenti di liberazione.

L'ondata di violenza che si è scatenata nel mondo negli ultimi decenni del secolo ventesimo ha avuto come principale bersaglio le donne, non c'è dubbio. Un tempo la guerra era affare per maschi: cavalieri erranti, soldati di ventura, ufficiali romantici andavano a sfogare il loro eccesso di testosterone in qualche campo solitario ai margini dei villaggi e delle città, si ammazzavano allegramente tra loro, e chi s'è visto s'è visto. Ma dalla fine del diciannovesimo secolo la natura della guerra è cambiata. La guerra coinvolge sempre più direttamente la vita civile, devasta i territori, le fonti di sostentamento, le città e i villaggi, e colpisce essenzialmente i bambini i vecchi e soprattutto le donne.

E' possibile definire una patologia dell'affezione, una patologia del desiderio? Non è forse il desiderio l'unico giudice di se stesso? L'unico luogo da cui possiamo giudicare il desiderio è il luogo di un altro desiderio. La violenza, che pure è un investimento del desiderio, è nemica del desiderio perché sempre mira a fissare, cristallizzare, e annichilire il divenire dei corpi nello spazio costringendoli nei limiti dell'ossessione identitaria. La violenza si iscrive profondamente nel codice genetico della società patriarcale, nelle sue successive evoluzioni, dato che la società patriarcale si fonda sull'identificazione del femminile e la sua delimitazione riproduttiva, subalterna, strumentale.

Con l'espressione società patriarcale intendiamo ogni formazione sociale in cui la differenza sessuale è fissata e cristallizzata secondo una logica di dominio, e in cui di conseguenza il desiderio femminile è rimosso perché l'identità femminile viene nominata e regolata dal maschile, che su questa identificazione obbligatoria fonda la propria identità. Il femminile (inteso non come genere biologico ma come modalità libidica e culturale) è soggiogato a esigenze economiche, psichiche e libidiche che non hanno nulla a che fare con la dinamica del corpo sessuato, ma hanno a che fare con il bisogno ossessivo di identità del maschio. Il principio regolatore della sessualità è qui esterno alla sfera del desiderio, e dipende invece dalla sfera dell'ordine simbolico, del potere politico, dell'accumulazione economica, in ultima analisi dell'identità.

L'identificazione sessuale è funzione di questa architettura del dominio su cui si basa l'intera economia psichica del patriarcato e delle sue successive manifestazioni storiche. Nella sfera del patriarcato la violenza domina ed informa di sé la vita affettiva, l'emozione, la sessualità. E questa violenza non è senza rapporto con l'immaginario, con la delimitazione del visibile, e la rimozione di ciò che non deve essere visibile. La violenza è la patologia generale dell'affettività, e da essa derivano tutte le patologie del desiderio. E quando la violenza è introiettata fino al punto che la vittima stessa la desidera, per poter conservare e riconoscere l'unica identità che le è rimasta?

 


questo articolo è apparso su Liberazione del 6  novembre 2005