Mariella Gramaglia, Maddalena Vianello. Fra me e te

Manuela Cartosio

 

La parola “eredità” compare di rado nello scambio di lettere tra la madre, Mariella Gramaglia, e la figlia, Maddalena Vianello. Eppure, l’eredità  - questa volta declinata al femminile - è il nocciolo del libro che scava su ciò che unisce e ciò che separa due generazioni di donne: “quella che ha fatto il benedetto ’68 e il femminismo, e quella che i genitori sessantottini e le mamme femministe se li è trovati sotto l’albero di Natale. Non sempre come un regalo entusiasmante.”  Seguo l’affiorare di questo nocciolo lungo le pagine del libro, lasciando alle lettrici e ai lettori il piacere di scoprire e gustare la polpa che l’avvolge.

Il confronto epistolare, sollecitato dalla figlia alla vigilia della manifestazione del 13 febbraio 2011 di “Se non ora quando”,  si apre con un’ammissione della madre: “Il cestino dei regali per le nuove generazioni – l’emancipazione nelle professioni, la libertà nella famiglia, i diritti, la freschezza e la profondità delle relazioni tra donne che noi da ragazze non conoscevamo - , di cui in passato mi sentivo tanto fiera, mi appare terribilmente inadeguato, i fiocchi sgualciti, il contenuto impolverato e vecchio”.  La crisi penosa della democrazia italiana, la regressione della politica, la cattiva globalizzazione, il berlusconismo che riduce la donna a corpo, l’ambigua libertà femminile che sta al gioco per ritagliarsi un piccolo ed effimero potere: ce n’è abbastanza per ridimensionare non solo la fierezza di una sessantenne protagonista del femminismo, giornalista, parlamentare, assessore comunale a Roma, cooperante in India, ma per erodere la portata stessa dell’eredità da trasmettere alla figlia. Quest’ultima ringrazia, riconosce il debito, ma non cela d’essere “molto arrabbiata” e con una riga netta e pesante manda al tappeto le mezze tinte e i bilanci in chiaro scuro: “Mamma, il cestino dei regali è talmente impolverato da sembrare vuoto”.

E’ la rabbia delle vite precarie, della prima generazione del regresso sociale, sperimentato anche da chi, come Maddalena, ha goduto del vantaggio d’essere cresciuta in un ambiente colto e aperto. Neppure un master alla London School of Economics la mette al riparo dalla precarietà: ha cambiato cinque città in dieci anni per inseguire contratti a tempo, e alle amiche è andata ancora peggio. Per lei, la manifestazione del 13 febbraio, che ha fatto arricciare il naso a tante femministe storiche,  ha posto una vera e propria questione sociale. “In troppe non si sono accorte che le loro figlie sono in preda a una precarietà che le divora”, scrive Maddalena, “e francamente mi irrito a sentirmi dire con aria annoiata che siamo tanto lamentosi”.
Mariella, da una letto d’ospedale, ha guardato con simpatia e speranza alla manifestazione  di “Se non ora quando”.  Accenna una difesa d’ufficio delle femministe sussiegose: “Sai, le mie coetanee, almeno quelle italiane, hanno sempre avuto il terrore che il femminismo si sclerotizzasse, diventasse istituzione”. Sente però di dovere una risposta alla figlia sul punto della precarietà, della regressione sociale: “Per metà hai ragione, neanch’io mi aspettavo di consegnarti un paese tanto orribile. Per l’altra metà hai torto: la vita è aperta, è nelle tue mani. Io ho cercato che quelle mani fossero forti, grandi, capaci di presa. Mi pare di esserci riuscita per quel poco che dipende da me”.

Alla fine del colloquio, madre e figlia si ritrovano sullo stesso sentiero. L’hanno aperto a colpi di machete le donne della generazione di Mariella. “Di questo sentiero – scrive Maddalena - dobbiamo prenderci cura, andarci a passeggio, portarci nuove amiche per strappare le erbacce, continuare a difenderlo dalla forza della natura che tenta costantemente di riprenderselo. E’ un sentiero di conquiste e di lotte, ma anche di cura largamente intesa. E questa cura va riversata anche nella sfera pubblica. E’ un valore che le donne dovrebbero trasmettere al mondo senza remore”.

Nell’epilogo, scritto a quattro mani, Mariella e Maddalena tornano sulla sfera pubblica, sull’agire politico, sulla rappresentanza.  E qui cadono le parole più perentorie sul femminismo storico, fecondo d’idee, ma spesso sordo verso le urgenze materiali delle giovani generazioni: “S’impone un ricambio. Il maternage è finito. Il femminismo italiano compie quarant’anni; le sue figure mitiche viaggiano verso la settantina… Deve rappresentare un sostegno, ma non può più essere leader. Ha la missione di passare il testimone e di battersi perché lo spazio pubblico si apra intorno a quelle che ambiscono a frequentarlo. E’ necessario che siano le più giovani a raccogliere la sollecitudine verso la vita e verso la cosa pubblica. Libere. Nel bene e nel male”.
Questa rottura del monopolio ha come corollario la liquidazione dell’eterna e ripetitiva querelle tra femminismo della differenza e femminismo delle pari opportunità. “E’ venuto il tempo di mettere fine a tutto questo. Di trovare altre vie. Di essere operose senza affettazione, di essere colte e profonde senza atteggiarsi a oracoli, senza rinunciare alla semplicità e alla concretezza delle conquiste. Si può”.
Vedremo.


Mariella Gramaglia, Maddalena Vianello. Fra me e te,
et al./ Edizioni, 2013, 184 pagine, 14 euro

 

Manuela Cartosio per Radio Popolare , 2 febbraio 2013, “Sabato libri”

 

3-02-2013

 

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