Dal convegno
Marija Gimbutas. Venti anni di studi sulla Dea

tenutosi il 9 e 10 maggio 2014 a Roma presso la Casa Internazionale delle Donne,
riportiamo l’intervento introduttivo di

Luciana Percovich



E’ una gioia che in tante e tanti abbiate risposto all’invito di celebrare Marija Gimbutas a vent’anni dalla sua morte ed io, come immagino anche voi, quando ci ritroviamo in situazioni come questa, ancora una volta e in tante, ci sentiamo insieme emozionate e … di nuovo a casa!
Vi saluto dunque e ringrazio le/i partecipanti, le organizzatrici che hanno lavorato tra Torino e Roma, le cuoche e i cuochi, le danzatrici, le cantanti, le traduttrici, le artiste tutte e, naturalmente, le relatrici e i relatori: per i viaggi e le fatiche affrontate, per il vostro lavoro di pioniere e le vostre energie creative e, non da ultimo, per la disponibilità ai tempi “telegrafici” degli interventi di questo pomeriggio. A chi non l’avesse ancora visitata, ricordo la Mostra nello spazio che si apre sul Cortile.

Abbiamo immaginato questo convegno come un momento di incontro e di festa. Incontro tra quante/i dalla scoperta dei libri di Marija Gimbutas in poi hanno ricevuto una spinta potente - come succede quando nella coscienza fa irruzione il rimosso - a modificare la propria visione del mondo. Non solo la visione del mondo passato, cioè della storia, ma anche la nostra immaginazione, la capacità di immaginare il presente e il futuro in modi che permettano la continuazione della creazione e non il suo arresto, prendendoci di nuovo cura del mondo e smettendo finalmente il suo saccheggio, che è la terribile conseguenza di lungo termine di quell’onda kurgan che ha segnato le vicende del pianeta degli ultimi 5000 anni.

E incontro con due persone che hanno lavorato con Marija, che le sono stati vicine/i, che hanno condiviso con lei onori e non-riconoscimenti. Joan Marler l’ho conosciuta a Milano a quel convegno “anticipatore” intitolato “Le radici prime dell’Europa”, nel 1999. Harald Haarmann invece l’anno dopo, nel 2000 a Bologna, al primo della serie di convegni organizzati dall’Associazione Armonie e intitolato “Il mito e il culto della Grande Dea”. Da allora siamo rimaste/i in contatto.
Durante questi anni c’è stato per me anche un importante viaggio in Bulgaria, per siti, musei e tell, perché Joan e Harald e Lydia Ruyle hanno continuato a organizzare convegni di studio internazionali - come Marija faceva negli ultimi anni della sua vita - e viaggi nei luoghi in cui Marija aveva scavato o di cui aveva scritto.

Ma dicevo anche una festa, quella di ieri sera, per onorare Marija e ringraziarla del dono che ci ha fatto, che ha fatto a tutta l’umanità, anche a quanti e quante ancora non riconoscono pienamente la portata del suo lavoro.
A questo proposito, leggo alcune righe scritte da un’altra grande Maria, Mary Daly, in Quintessenza. Realizzare il Futuro Arcaico:

“Le donne elementali, che sopravvivono nell’apparente isolamento inflittoci nello stato di Diaspora (la rottura e lo smembramento dei clan materni e dei cerchi di donne), scoprono generalmente che più si entra in contatto con le nostre Radici più ci sentiamo profondamente Presenti tra noi. I nostri ammalianti poteri di comunicazione sono cresciuti per mezzo del legame con le nostre Radici”.

Marija ha sollevato la pesante cortina che oscurava il comune passato, quel passato perduto che, nel negarlo e nel continuare a negarlo, toglie speranze ed energie e induce alla rassegnazione circa la supposta inevitabilità dei processi storici che hanno portato alla violenza, al dominio e allo sfruttamento, di umani, animali, piante e di tutti gli elementi naturali.
Marija ha dimostrato “con la spatola”, come lei amava dire, la realtà di quelle che prima di lei potevano essere considerate solo intuizioni e visioni che, lo sappiamo bene, nel sistema di pensiero androcratico non godono di nessun valore.

Poi, in questi 20 anni dalla sua scomparsa da questo piano dell’esistenza, gli studi antropologici, e in particolare i cosiddetti Studi Matriarcali Moderni, hanno mostrato l’esistenza del modello pacifico di società neolitica, matrilineare e matrilocale presente nell’Antica Europa anche nel presente, e pressoché in tutti i continenti: prima, semplicemente, non avevamo le lenti giuste per metterli a fuoco, ma c’erano da sempre, invisibili sotto i nostri occhi. Mi riferisco in particolare ai lavori di Heide Goettner Abendroth, sintetizzati nel volume Le società matriarcali e di Francesca Rosati Freeman, appassionata studiosa della cultura moso, che ha presentato proprio in questi giorni a Roma il film Nu Guo. Nel nome della madre.

Sicché, e questo mi sembra il cuore dell’eredità che dobbiamo saper mettere a profitto, il lavoro di Gimbutas ci ha portato a riflettere con ancora più elementi a disposizione sui diversi modelli di civiltà, una riflessione che è sempre stata centrale nel pensiero sviluppato dal movimento delle donne. E voglio qui rimarcare che noi siamo la prima generazione che sa qualcosa in più di essenziale rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto: ossia, che nel passato e nel presente sono esistite ed esistono civiltà radicalmente diverse, che hanno condiviso un orizzonte di senso e di valori che riguardava e riguarda tutti gli aspetti della vita e di ciò che è pensabile dalla mente umana, ossia il Simbolico: famiglia, organizzazione sociale, economia, politica, immaginario, credenze sul sacro e sul divino, il corpo, gli affetti, la salute e la malattia, il cibo, l’uso del tempo … perché tutti questi aspetti della nostra vita sono strettamente intrecciati. E, aggiungo, questa non è solo un sapere freddo, mentale, accademico, è anche una conoscenza che cura, le ferite, i vuoti di memoria, di identità ….

Oggi non si può più dire “non si sa, il passato rimane sconosciuto”, ma piuttosto “non voglio sapere, non voglio vedere”. Di conseguenza, si tratta di assumere consapevolmente la propria scelta, in un senso piuttosto che nell’altro, e le responsabilità che ne derivano. Questo, per me, è il profondo insegnamento di Marija Gimbutas, che va ben oltre l’archeologia.

Due parole infine sulla forma data al Convegno: dopo la mattinata dedicata a Marjia, nel pomeriggio - per continuare nello spirito della sua ricerca - cominceremo a mettere insieme alcuni frammenti di una storia ancora sconosciuta del nostro paese, prima delle culture andocratiche e guerrafondaie di Greci e Romani.
Mancano studi aggiornati di ampio respiro sugli strati più profondi della nostra penisola, al centro del Mediterraneo e della vasta cultura pelasgica. L. Pigorini, cui è intitolato un grande museo di Roma che contiene anche alcune delle più belle statuette di Signore del Paleolitico e del Neolitico italiani, all’inizio del secolo scorso sosteneva che in Italia “non esiste il Paleolitico”; da allora molte cose sono cambiate nell’archeologia, paletnologia e antropologia.
Quanto al Neolitico, è stato assai saccheggiato o usato come cava di materiale da costruzione per secoli e secoli. E tuttavia esiste ancora e preme per venire alla luce e le archeologhe qui presenti (e non dimentichiamo che attualmente il 70% degli archeologi sono donne, come è stato di recente sottolineato al convegno di Foggia “Le Radici del Sacro”) penso potranno dirci qualcosa di nuovo e di diverso.

Che Marija sia con noi, in questa giornata e sempre.

 

I lavori del pomeriggio sono iniziati con due brevi video dedicati alla Sardegna:

un'intervista all'artista Grazia Dentoni che da anni si occupa del recupero delle tradizioni sarde dalle più recenti  fino ai culti della Dea (vedi il video Sardegna 1)

e "Sardegna Madre, Andira" Sardegna madre un video evocativo, una danza di immagini e suoni, che raccontano un viaggio molto intimo sulle tracce della Dea.
Le musiche originali di Roberta Montisci ci accompagnano tra pietra, terra, mare e cielo.

Entrambi i video sono stati realizzati dalla regista Sirka Cristina Capone come omaggio a Marija Gimbutas.

sirka capone

Sirka Cristina Capone è nata a Roma nel 1974 da madre scandinava e padre italiano. Ha lavorato nel settore cinematografico e TV a Roma. Nel 2000 ha prodotto il suo primo documentario, girato in Australia, dal titolo Walking the Land. Fino a oggi ha curato la regia di tre documentari e sei cortometraggi, alcuni video arte, oltre a vari filmati in collaborazione con associazioni, scuole e artisti, in cui si evidenzia l’indagine di genere e l’interesse per le culture indigene. Organizza seminari in tutta Italia su corpo/mente e natura e visite a siti e luoghi della Dea.

 

28-05-2014

 

 

home