Un antico dilemma: essere uguali o diverse?
Paola Di Cori


Marianne von Werefkin


Come non condividere le riflessioni di Lea Melandri sui risultati del referendum? Come non deplorare ancora una volta il titolo (Le "streghe" sono cambiate) e i contenuti - più in stile gossip che di analisi politica - di un articolo di "Repubblica", nel quale con tono superficiale si commentava l'esistenza di una diversità di posizioni tra le donne nel corso delle settimane che hanno preceduto la votazione?

Che idea originale: le donne non la pensano tutte allo stesso modo! Non si allineano su un fronte unico; ma ciò che è peggio, tanto per cambiare non si sa cosa hanno in mente: Tizia dice una cosa, Sempronia invece non è d'accordo, Caia vive immersa nell'incertezza. E' quindi logico che la gente si disorienti.

A leggere la cronaca di "Repubblica" sembra infatti che la causa della sconfitta dei "sì" debba essere attribuita alla mancata omogeneità dell'elettorato femminile. Non solo viene negato alle donne il diritto alla libertà di opinione, ma è proprio la sciocca pretesa di esprimere una molteplicità di posizioni all'origine dei disastrosi risultati del referendum.

Avevamo ascoltato e letto pareri di vario ordine e ispirazione sul perché la gente non era andata a votare, sulla frammentazione interna ai due poli, sulla pesante intromissione ecclesiastica nelle indicazioni di voto; ma che poi alla fin fine la colpa vera si annidasse in una ennesima manifestazione di quel disordine di comportamento che da secoli è imputato alle donne, ancora non era stato scritto o detto da qualcuno. A questo ha provveduto l'articolo di "Repubblica".

Se gli uomini si confrontano ed esprimono idee non solo diverse ma anche opposte, è normale; ma quando a farlo sono le donne, allora la manifestazione di una pluralità suscita sconcerto e disapprovazione. Prima degli anni ‘70, le donne erano quasi inesistenti sul piano pubblico, oppure si presentavano travestite e spesso del tutto omologate ai comportamenti maschili. Con il femminismo è stato possibile aprire uno spazio entro il quale far esistere la differenza sessuale ed esplicitare un conflitto di potere con gli uomini. Anche se troppe volte apparivano stereotipate e irrigidite nella contrapposizione al mondo maschile, era tuttavia accettato che quando parlavano, lo facevano in rappresentanza dell'intero genere femminile. Adesso sembra di assistere a un passaggio ulteriore, quello della visibilità di una molteplicità di posizioni all'interno del proprio genere; un dato che disturba e suscita istintiva diffidenza e ostilità. Sembra che ci sia qualcosa di profondamente ‘innaturale' se una donna palesa un disaccordo rispetto a ciò che pensa l'altra donna; non un modo per estrinsecare individualità o autonomia, ma una forma di tradimento al proprio sesso, qualcosa che alla lunga si rivela disastrosa per l'intero genere umano.

Si ripropone qui un antico e ben noto dilemma: essere uguali o diverse? Questo interrogativo, che percorre le vicende del femminismo da oltre due secoli, è stato dalla storica Joan Scott sintetizzato in un libro sulla storia del femminismo francese opportunamente intitolato, Soltanto paradossi da offrire (Harvard University Press, 1996). In esso si sostiene la tesi di una paradossalità insita nel femminismo; quest'ultimo si è infatti costituito attingendo ai discorsi dell'individualismo universalista e alle teorie sui diritti e la cittadinanza; i quali, però, invocavano la differenza sessuale per naturalizzare l'esclusione delle donne. E così, sostiene Scott, nel contesto della democrazia liberale le donne si sono trovate insieme a chiedere ma al tempo stesso anche a rifiutare la differenza sessuale: per essere incluse a prezzo di un annullamento, o escluse in nome di un riconoscimento della differenza.

Questo paradosso della politica delle donne si allarga a dismisura e proietta le proprie gigantesche contraddizioni nell'odierno universo mediatico, nel quale le donne vivono una condizione profondamente svantaggiata, e come hanno mostrato in abbondanza i dibattiti durante la campagna per il referendum, non soltanto sono apparse divise e diverse, ma soprattutto sono rimaste quasi del tutto invisibili e inascoltate - anche quando erano presenti e tiravano fuori la voce.

Esprimere in pubblico una grande varietà di posizioni, parlare con tante voci differenti: è questo un obiettivo avanzato per le donne. Ma per riuscire a raggiungerlo occorre impegnarsi nella costruzione di una sfera pubblica femminile che consenta tanta e tale libertà; è questo per il momento a mancare.

 

questo articolo è apparso su Liberazione del 26  giugno 2005