Lungo la strada di Franca Trentin
a cura di Donatella Bassanesi


 

Trascrivo  parti della postfazione che Franca Trentin aveva fatto a un testo, lo scritto di Damira Titonel dal titoloLa libertà va conquistata. La postfazione  ha per titolo: Damira Titonel, una scelta di vita: l’inferno a vent’anni.  Mostra un rapporto tra due donne, l’amicizia, e quel particolare modo d’amicizia  fatto di apertura, di riflessione e di una certa sua propria dolcezza.

E così si apre il testo di Damira Titonel: “destinato a rimanere confinato in ambiente familiare” emerge per la sua forza, come “una prova complessa, un esame di coscienza conturbante, insolubile, un’emozione e uno stupore”, “qualcosa di molto fragile, di molto sensibile”. 

Così racconta (e insieme si racconta) Franca nella Postfazione
a Damira Titonel, La Libertà va conquistata

Frammenti dalla postfazione di
Franca Trentin : Damira Titonel, una scelta di vita: l’inferno a vent’anni

 “A un certo punto della sua testimonianza, scritta cinquant’anni dopo gli eventi, Damira Titonel dichiara, in una breve discreta sosta: ‘Il mio cuore che ora non ne può più ed è per questo che scrivo’, questo suo cuore evocato altre due volte, quand’era giovane, ‘un cuore pieno di debolezze, al quale erano riservate spaventose prove’. Dirà ancora Damira, interrompendo il filo della memoria che lei cerca di reggere con fermezza nella sua mente: ‘Qui, mi fermo, non ho più voglia di scrivere’. La storia di questa figlia di contadini veneti, emigrati nel Sud Ovest della Francia, non la destinava alla scrittura, ed è invece l’infinita stanchezza che la spinge, nella vicinanza della morte, a reagire,  in un ultimo scatto, a voler lasciare per i suoi eredi tracce e ricordi di una particolare e dolorosa ‘avventura’ che si inserisce nella storia di quegli anni, così tormentati, della lotta contro il fascismo in Europa.

Per me, leggere questo testo, pur destinato a rimanere confinato in ambiente familiare, è stata una prova complessa, un esame di coscienza conturbante, insolubile, un’emozione e uno stupore. Avvicinarmi troppo mi sembrava di toccare qualcosa di molto fragile, di molto sensibile che mi avrebbe, poi, costretta a mettere in questione il mio modo di essere, di pensare, di ricordare tutti i miei privilegi.
Ho fatto leggere questo testo ad un giovane amico, il quale, restituendomi il manoscritto dopo la lettura, mi ha confessato di essersi sentito un verme, un bruco: “noi che c’incupiamo, ci arrabbiamo al minimo ostacolo materiale che intralcia la nostra strada”.

Damira Titonel, l’autrice di questo diario, è legata a me – non me l’aspettavo – da molte similitudini di situazioni: stesso periodo dell’arrivo in Francia, 1925-1926: eravamo molto piccole l’una e l’altra, io del dicembre 1919, lei del luglio 1923: tre anni di differenza, oggi io ho 81 anni, lei ne avrà 78. Abbiamo lasciato le stesse terre, molto vicine. Venezia, Treviso, Conegliano, nessuno ci ha chiesto nulla, i nostri padri  avevano deciso così, erano antifascisti e perseguitati, ed era giusto che non fossimo separati. E noi – anche questo ci univa – eravamo fiere di loro, del loro coraggio, della loro abnegazione, anche se questo significava miseria, difficoltà. E siamo approdate nella stessa zona di Francia, vicinissime, nel Sud Ovest, io a Auch e a Tolosa, lei, in cittadine più piccole, la più grande, Agen, dove sono andata molte volte per trascorrere la giornata. Forse avremmo potuto sfiorarci, soprattutto alla stazione di Tolosa, che frequentavo spesso, la Gare Matabiau, e dove Da mira è stata arrestata per poi essere successivamente deportata al campo di Ravensbrùck dove vivrà esperienze indicibili.
  Anch’io sono stata una staffetta, come lei, giravo in bicicletta, o nei treni, per trasportare armi, per trasmettere messaggi, abbiamo l’una e l’altra rischiato molto”.

Franca Trentin sottolinea della giovane Damira Titonel (ed è qualcosa che, a me pare, riguardi la stessa Franca)   “il bisogno di raccontare la sua storia, ma non si tratta, per lei, di una felicità individuale ma di una felicità di tutti. C’è sempre  in Damira la coscienza della collettività, della famiglia allargata, aperta a tutti (…) non è mai sola e alza sempre le braccia verso qualcuno: ‘Se dovessi riassumere la mia vita è l’amore che mi viene in mente, io amo tutti’ (…)  un amore rassicurante, come l’allegria e la grande gioia di vivere”.
 
Ancora Franca: “Ma nonostante tutto questo, la nostra vita è stata totalmente diversa. Lei una contadina poverissima e straniera, isolata nella sua campagna e nei lavori umili e urgenti che la famiglia richiedeva, con un’ossessione primaria: riuscire a far mangiare i bambini. La mia, la vita di una piccola borghese in esilio, che doveva solo studiare anche se era povera, era tutta diversa. La rinuncia volontaria a un mestiere di prestigio, il professore universitario, la rinuncia volontaria a questo posto rassicurante per scegliere la vita di operaio rappresentava per l’ambiente intellettuale dei francesi un alone di eroismo e di disinteresse  che li spingeva a circondarci di premure e di aiuti. C’era un prefetto liberale, a Auch, la prima città dove ci siamo fermati, e, affascinato da mio padre, ci invitava sempre a casa sua, alla prefettura, che era riscaldata e aveva dei termosifoni che ci sembravano delle invenzioni tecniche miracolose. A casa nostra non c’era riscaldamento, una stufa in mezzo alla casa e molti geloni ai piedi e alle mani, e anche molti pidocchi che la mamma doveva togliermi col petrolio e le peigne fin. Ma presto, siccome ero brava a scuola, mi vestivano bene con i vestiti vecchi delle zie di Treviso, ero invitata a tutte le festicciole delle mie compagne.

Così la ‘classe’, anche senza soldi, contava. Oggi, la classe non ha più senso, valgono solo i soldi, i schei.
(…)   La sua ‘ideologia’ – non abbiamo paura di usare questa parola insostituibile – si era formata, nella sua semplicità, sin da bambina, era ispirata dalla bellissima e limpida personalità del padre, socialista, antifascista e perseguitato come tutti gli uomini della famiglia. Il suo ideale era semplice: giustizia e libertà. Libertà soprattutto, indipendenza di giudizio, e dunque un forte precoce spirito laico, logico e ribelle. (…) lucida passione della verità, e il forte culto della libertà, la porteranno, con semplicità e naturalezza al grande impegno rischioso della Resistenza.
  (…) L’inizio della testimonianza di Damira, come membro della 35° brigata, è, in un primo momento, enigmatico e misterioso, quasi lapidario: ‘La questione della felicità è posta. La question du bonheur est posée’ è proprio questa piccola frase (…) che fa scattare in Damira il bisogno di raccontare la sua storia, ma non si tratta, per lei di una felicità individuale ma di una felicità di tutti.  

 

 29-04-2011

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