Pubblicato su Liberazione- 24- 11- 2004

Le donne e la violenza

di Lea Melandri


Leila Falzone

La violenza sulle donne ha sempre interessato sia i loro corpi che i loro pensieri e, quel che più conta, è sempre stata indistricabilmente confusa con l'amore. Forse è per questo che , nel momento in cui viene quantitativizzata e ridotta a una sorta di archivio dell'orrore, come nel rapporto di Amnesty Internacional, si provano sentimenti contraddittori: il sollievo di veder comparire sotto gli occhi di tutti una verità dolorosa che le donne ancora sopportano in silenzio e solitudine, ma anche l'imbarazzo di non potersi identificare del tutto con la figura della "vittima sacrificale", attraverso cui la civiltà dell'uomo ammette, e nel medesimo tempo estingue, la sua colpa.

Anche se siamo ormai tristemente assuefatti al riepilogo periodico di sciagure e crudeltà di ogni tipo, non può passare tuttavia inosservato il fatto che la maggiore consapevolezza che si ha oggi del rapporto tra i sessi, anziché mitigare le ferite di un dominio maschile millenario, sembra averle acuite e ed estese. Diminuisce la conflittualità, come confronto di idee e desideri, scompaiono dalla scena politica le manifestazioni di un femminismo combattivo, e, paradossalmente, si ha l'impressione di essere precipitati in uno scenario di guerra tra i sessi, non molto diverso da quello che ha oggi al centro le relazioni tra Stati e culture.

Il cambiamento che le donne hanno cominciato ad operare nelle loro vite è l'unica "rivoluzione" che non ha conosciuto soste né inabissamenti: avanza quasi impercettibile nel quotidiano, erode antichi privilegi, strappa piccoli spazi di libertà, fuoriesce dalle case e mina sotterraneamente la rigida divisione del lavoro su cui si sono costruite le istituzioni della vita pubblica, i suoi saperi, le sue leggi. Quella che invece sembra essersi perduta, rispetto alle "pratiche" e alle intuizioni originali del movimento delle donne degli anni '70, è la capacità di riflettere sul senso e sui modi di una trasformazione che non voleva essere solo uscita dalla marginalità e conquista di una cittadinanza piena, né solo denuncia di violenze manifeste. L'idea ambiziosa di una "liberazione" capace di sradicare al medesimo tempo modelli di obbedienza incorporati insieme agli affetti più intimi, e rapporti sociali di sfruttamento, ha lasciato il posto a un processo che "emancipa" la donna, la sessualità, il corpo, in quanto tali, senza intaccare le ragioni profonde che li hanno voluti sovrapposti e confusi. Una "schiavitù radiosa", un' "alienazione attiva", che si vorrebbe forzatamente far passare per libertà, è l'immagine femminile che l'Occidente "esporta", insieme alle sue pretese di "civilizzazione" , in un mondo "altro", concepito come il luogo di una inspiegabile inveterata "barbarie".

E' uno strano "scontro" di civiltà, quello che oggi contrappone Islam e Cristianesimo, culture, religioni, popoli che si vanno sempre più incrociando e che, proprio mentre esasperano la loro pretesa identitaria, attinta da lontane mitizzate "origini", si scoprono simili o speculari. La demonizzazione del "diverso", dello straniero visto come nemico, la missione "redentrice" innestata sulla volontà di dominio, la pretesa di avere un accesso esclusivo alle "risorse" naturali, sono i tratti distintivi di una guerra che oggi rischia di coinvolgere, nell'abbandono di ogni mediazione politica, governi e popoli, soldati e civili, caserme e case. Dietro lo spettro di un risorgente "stato di natura", che riabilita divinità guerriere su fronti apparentemente opposti, si fa più evidente, tuttavia, anche quella "preistoria" in cui si è voluto lasciare finora il rapporto tra i sessi, la guerra non combattuta ma che ha continuato a produrre morti e ferite, per quella prima e preziosa "risorsa" che è il corpo femminile, la sua capacità generativa piegata a fonte duratura di accudimento, conferma e piacere per l'uomo. L'improvvisa accensione di fervori religiosi, riportata quasi esclusivamente all'abile propaganda delle forze economiche e politiche più reazionarie, parla, se si ha il coraggio di ascoltare, di un "disordine" e di un sovvertimento che hanno a che fare, prima di tutto, con una "sfida" femminile agìta in modi contestualmente diversi, ma accomunati da una sostanziale similarità.

Contro il pericolo dell'omologazione a modelli dettati dalle leggi dello spettacolo e del consumo, sostenuti dai ritmi veloci di rete comunicative mondiali, sono oggi i rappresentanti delle "fedi" più diverse a dire che cosa deve essere una donna, a ricondurla con modi più o meno coercitivi dentro le funzioni e i simboli dove da sempre si è preteso di trovarla.

Se l'Islam più fanatico, con l'imposizione del burqa, si affanna a "velare" le attrattive del corpo femminile in modo palesemente "barbarico", nei paesi occidentali il richiamo all'ordine passa per vie più insidiose, più indirette, nascoste dietro la maschera dei "valori morali" e delle "leggi".
La Lettera del card. Ratzinger sulla "collaborazione tra l'uomo e la donna", la Legge 40 sulla fecondazione assistita, le dichiarazioni di Buttiglione al parlamento europeo, la campagna antiaborista dei "cristiani rinati" d'America, nella volontà di riportare la donna alla sua "naturale" vocazione domestica, di moglie e madre, non sono così lontani dalle oscure, anonime violenze, spinte talora fino all'omicidio, su donne "colpevoli" di aver chiesto la separazione da un marito, o di aver rifiutato un corteggiamento. Per non farsi trovare poco credibili nello "scontro" con altre culture, la "civiltà cristiana", con una invadenza religiosa e politica che sembrava eclissata per sempre, si affretta a "velare" le "sue" donne, troppo "nude", troppo inclini ad avvalersi delle offerte del mercato in cambio dei poteri oggi più ambìti: denaro, seduzione, notorietà.


(per Liberazione)