da Repubblica dell'8 Febbraio 2005
UNA
NUOVA DIMENSIONE DELL´ESSERE DONNE
La nostra storia non si è conclusa
ANNA
ROSSI-DORIA

Jeanne Hébuterne
Intervenendo in un dibattito che riporta sulla stampa, dopo un lunghissimo
silenzio, il tema del femminismo degli anni Settanta, vorrei essere chiara
a proposito dell´intervento da cui quel dibattito è partito:
l´intervista ad Anna Bravo apparsa
su Repubblica il 2 febbraio, che riprende alcuni punti del suo saggio
sul numero della rivista Genesis in uscita in questi giorni (al quale
non farò qui riferimento). Penso che una testimone di quelle vicende,
oltre che storica di valore, come lei abbia non solo il diritto ma anche
il merito di avviare una riflessione che, partendo dal problema dell´assenza
di una storiografia, si ponga dal punto di vista della memoria individuale.
Penso anche però che sia necessario tenere ben presenti sia la
distinzione tra storia e memoria, sia il fatto che le memorie sono molte
e diverse - in particolare, sulla definizione del feto come vittima e
sulla connessione tra il tema della violenza nei gruppi extra-parlamentari
e la questione dell´aborto - , così come molti e diversi
furono allora i percorsi, non tutti politici, che ebbero come punto di
approdo il femminismo (l´inizio, ad esempio, per molte donne dei
gruppi extra-parlamentari fu proprio il rifiuto della violenza, anche
verbale).
Non intendo analizzare l´intervista di Bravo, né gli evidenti
rischi di una sua strumentalizzazione nel momento in cui il testo della
legge 40 e le voci di futuri attacchi alla 194 minacciano quel principio
dell´autodeterminazione che della battaglia sull´aborto degli
anni Settanta costituiva il centro e la vera posta in gioco. E´
su questo che vorrei dire qualcosa, premettendo però alcune precisazioni.
La prima è che la Società Italiana delle Storiche, di cui
Genesis è, in piena autonomia culturale, la rivista, ha avviato
la riflessione su questi temi anche in altri modi: con un dibattito organizzato
con altre associazioni di studiose nel gennaio 2004 sulla legge 40, dal
titolo Le donne sono ancora dei soggetti?; con la Scuola estiva del 2004
dedicata a La sfida del femminismo ai movimenti degli anni Settanta, di
cui usciranno gli atti presso Viella; con un convegno su Nuovi femminismi
e nuove ricerche che si terrà il 19 febbraio a Roma. La seconda
precisazione riguarda le mie parole citate nel testo che accompagna l´intervista
e che, tratte da un articolo del 1994 su I viaggi di Erodoto e separate
dal contesto, assumono un significato opposto a quello che avevano: la
frase sulla riduzione dell´aborto a una sorta di diritto civile
si riferiva non al movimento femminista, ma al ruolo svolto dai partiti
nella campagna per il referendum del 1981 e si concludeva infatti con
le parole «riduzione che snaturava la riflessione femminista sulla
sessualità e la maternità di cui l´aborto era stato
solo una parte».
Il principio dell´autodeterminazione della donna nella scelta di
maternità assumeva nel femminismo degli anni Settanta, in Italia
come in altri paesi dove allora si andava affermando (è del 1973
la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti sul caso "Roe versus
Wade", che stabiliva la non interferenza dello Stato nella decisione
di aborto nel primo trimestre di gravidanza) e dove è oggi del
pari minacciato, un valore centrale di catalizzatore e di sintesi di tutti
gli altri obiettivi, analogamente a quello che era avvenuto per il diritto
di voto nei femminismi dell´Ottocento. La centralità di quel
principio derivava dal suo duplice significato: sul piano personale, la
libertà delle donne fondata sul pieno possesso della propria persona,
primo elemento della concezione moderna di individualità autonoma
(e di cittadinanza fondata sui soggetti) e la rottura di una lunga tradizione
di controllo sul corpo femminile, finalizzato alle esigenze della famiglia
patrilineare e patriarcale, esercitato prima dalla Chiesa, poi dalla scienza
medica e dallo Stato; sul piano collettivo, una radicale trasformazione
dei rapporti tra sfera pubblica e sfera privata (resa visibile dalle grandi
manifestazioni di piazza sulla più segreta esperienza femminile:
semmai i problemi nacquero dal contrasto tra la gioia delle prime e il
dolore della seconda) e quindi dei rapporti tra donne e uomini in entrambe
le sfere, nella prospettiva fortemente utopica di una nuova concezione
del mondo.
Questi significati si traducevano non in ideologie o astrazioni, ma in
pratiche di pensiero e di relazioni che cambiavano il rapporto tra dimensione
individuale e collettiva dell´essere donne, attuando in concreto
le parole chiave "il personale è politico", che non erano
uno slogan, ma la realtà del lavoro nei gruppi di autocoscienza
e nei collettivi femministi (della cui straordinaria diffusione geografica
e sociale, peculiare dell´Italia, le future ricerche storiche dovranno
indagare i motivi). E´ in questo contesto che si inserì la
battaglia sull´aborto. Essa scaturì da lunghe riflessioni
e discussioni, segnate ugualmente dal rigore e dalla passione: l´autocoscienza
era spesso carica di sofferenza e il dibattito successivo sempre denso
di difficoltà e lacerazioni (ad esempio, tra chi voleva la depenalizzazione
e chi la legge), ma anche di analisi profonde, complesse e sottili, che
non potevano e non volevano sottrarsi alle ardue sfide morali che i temi
affrontati comportavano.
Vorrei concludere con una osservazione. E´ stato spesso dichiarato,
negli interventi nel dibattito di questi giorni, che di tutto questo non
abbiamo ancora una storia. Questo è vero, ma è anche vero
che, a differenza che per gli altri movimenti degli anni Settanta, per
il femminismo abbiamo, oltre che numerosi avvii di ricerche, molte e preziose
raccolte di fonti e documenti, curate da singole o da associazioni femministe
(basti citare la collana "Letture d´archivio", diretta
da Lea Melandri per la Fondazione Baracco e Franco Angeli, e il grande
lavoro svolto dalla Rete Lilith). Non si tratta di un caso, ma di un segno
fra molti altri che la storia di uno dei fenomeni cruciali della seconda
metà del Novecento non si è conclusa.
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