L’Emancipazione malata

di Imma Barbarossa



 

Il titolo di un volumetto edito dalla Libera Università delle Donne di Milano ci dà già l’idea del punto di vista con cui alcune studiose , esperte, ’militanti’ femministe si sono accostate al tema del “lavoro che cambia”. Si tratta di avvocate che hanno praticato cause di lavoro sin dai ‘mitici’ anni Settanta (Maria Grazia Campari),di femministe storiche (Lea Melandri), di studiose della “precarietà dell’esistenza” umana in questo millennio (Cristina Morini),di esperte di percorsi internazionali (Paola Melchiori).

Il titolo recita “L’emancipazione malata”: come l’antico percorso con cui le donne si sono data la forza di “spezzare le catene” della disuguaglianza e della sottomissione abbia poi di fatto segnato un’antica forbice tra esclusione ed omologazione. Se la disuguaglianza si fermava alle soglie della differenza e segnava la presenza femminile dello stigma della inferiorità e se,appunto,la presenza non riusciva a farsi soggettività femminile e meno che mai riflessione e pratica femminista, l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro si fermava ad una sorta di cittadinanza “secondaria”; il lavoro delle donne poteva e può così inchiodarsi a “salario aggiuntivo per la famiglia” e/o “moderarsi” dentro una pratica di cura in un mondo dominato da una “superiorità di produttori” (Campari),dove rischia di “eclissarsi la conflittualità tra i sessi” (Melandri),e dove persino il lavoro di cura “si trasforma in cura del corpo d’impresa” (Morini).

Particolarmente suggestiva l’analisi del meccanismo con cui il lavoro di cura gratuito delle donne in famiglia è stato fatto entrare nel  lavoro salariato attraverso la ‘moderna’ istituzione della figura della badante, figura lavorativa atipica,”sostitutiva” della madre di famiglia, figura ancillare e oblativa (Cartosio).

Nel volume si toccano anche le trasmissioni della TV commerciale,dove conduttrici di grande potere mediatico si fanno raccontare “in diretta” esperienze vere o finte,tra grandi lacrime e un contesto di sapore confidenziale (Pastor).

Le autrici del volume nella prefazione citano come punto di partenza le discussioni nate nel Gruppo Donne e Politica riunitosi per oltre due anni nella sede della Libera Università delle Donne di Milano, e cresciute nel desiderio di creare una rete nazionale di esperienze dopo la grande manifestazione del novembre 2007 contro la violenza alle donne.

Non su tutto le autrici sono d’accordo (ad esempio sulla proposta di “reddito di esistenza”), ma quello che mi pare importante è la volontà di dare valore a una relazione politica feconda di buone pratiche e di intenso agire politico.

La discussione su “donne e lavoro” (sto semplificando) è stata ed è produttrice di riflessioni anche tra noi compagne del Forum delle donne, in frequenti  interlocuzioni con le autrici del volume:il quale segna un punto significativo nel ricco dibattito attuale ( sulla “flessibilità” come opportunità per le donne), in cui è intervenuta recentemente anche Rossana Rossanda con la sua nota posizione critica rispetto ad un testo (Il doppio sì) prodotto dalla Libreria delle donne di Milano, che – mi pare – costituisca anche un riferimento critico per le nostre autrici.

Se, insomma, la donna “puntella il patriarcato famigliare,che a sua volta offre stampelle (anche involontarie ) al capitalismo”, non sembra che la via per sottrarsi al mercato globale e al capitalismo biopolitico possa ridursi alla flessibilità come scelta di desiderio delle donne,”gesto di libertà femminile”,”autodeterminazione dei tempi di lavoro”, come strategia per superare l’esclusione e trasformare l’omologazione in una pacificazione desiderata.

AA. VV.
L’EMANCIPAZIONE MALATA
Edizioni Libera Università delle donne, Milano 2010

 

 

20 - 09 - 2010