Eyelab, inchiestare con sguardo femminista

di Linda Santilli


Debora Hirsch

Finalmente ce l’abbiamo fatta e dopo mesi di ininterrotte riunioni telefonate e-mail chiacchierate diurne e notturne in luoghi formali e informali, a Milano sabato abbiamo dato il via al laboratorio di videoinchiesta femminista denominato Eyelab.

Lo abbiamo pensato insieme Eyelab, tutte donne, del Laboratorio su donne e precarietà/Forum delle donne di rifondazione, del gruppo Sconvegno, ed altre singolarmente con cui siamo in relazione politica e personale da qualche anno interrogandoci sul lavoro che cambia, su come cambiamo noi nel lavoro, sulle trasformazioni delle nostre vite, degli immaginari, dei sogni che abbiamo. Insomma sulla precarietà.

In che cosa consiste questo laboratorio. Andando per ordine nasce dal puro desiderio, o meglio da una pluralità di desideri mescolati. Il voler interpretare le trasformazioni in atto nella nostra epoca cogliendo i nessi tra vita e lavoro e l’intreccio dei fili e le sovrapposizioni dei piani dell’esistenza.

Capire meglio per chiedere di più di ciò che abbiamo, per costruire altro in termini di sicurezze materiali e immateriali, diritti, qualità della vita, felicità, libertà. Tra l’analisi dello stato del presente e l’individuare sbocchi concreti per la trasformazione dell’esistente sappiamo che c’è bisogno di una narrazione collettiva che coinvolga non una sola generazione ma forse almeno tre.

Il laboratorio l’abbiamo pensato come spazio tempo in cui produrre un pezzetto di questa narrazione. Chi si iscrive (al massimo 20 uomini e donne) è insieme soggetto e oggetto di indagine. Osservatore/ osservatrice attore/attrice della scena. Tutto verrà inventato in loco, nel corso dei lavori, difficile dire esattamente come andranno le cose.

Altro desiderio è il voler potenziare alcuni strumenti politici di indagine trasformazione/ autotrasformazione come l’inchiesta. Nel caso specifico del nostro laboratorio valorizzare lo strumento del video per inchiestare la realtà a partire da noi.

La macchina da presa, come si usa? O meglio, visto che il laboratorio non è un corso in pillole per aspiranti regist@, come si può usare? Quanto lo sguardo che sta dietro l’obiettivo può occultare il campo di indagine o ampliarlo? Quanto uno sguardo di genere può illuminare la scena e far emergere quella complessità dell’esistenza oggi tanto difficile da decodificare?

Ed è l’altro fondamentale desiderio che è alla base del progetto che proponiamo. Abbiamo molte volte detto che le donne sono metafora dei cambiamenti in atto, che il lavoro si è femminilizzato e che l’intera società si è femminilizzata. Il capitale assume i linguaggi, i dispositivi storicamente messi in atto per controllare le donne e li estende all’intero corpo sociale.

Qualità e doti considerate “naturalmente” appartenenti al genere femminile sono le più richieste oggi dall’azienda totale che pretende, da uomini e donne, di mettere in gioco desideri emozioni capacità relazionali, la vita intera, la nostra anima.

Che cosa è lavoro? Che cosa non lo è? Sono domande ancora tutte aperte. Per rispondere dobbiamo forse mutare i paradigmi. Un paradigma che vogliamo utilizzare è quello di genere, senza il quale ci sfuggirebbe la complessità di quanto sta accadendo in termini di metamorfosi e divenire. La messa a fuoco di ciò che stiamo indagando non può essere neutra.

Lo sguardo sul mondo e su noi stess@ è scardinante e illuminante se è in grado di rompere stereotipi, ci siamo dette, se è in grado di far emergere i rapporti di potere tra i sessi che regolano la società, di partire dai corpi che sono corpi sessuati - oggi pesantemente sotto attacco per essere normati - corpi che parlano di desideri, paure, diversità, omologazione, torsioni.

Allora, per tornare ai desideri che hanno mosso questa iniziativa: vorremmo incrociare a Milano, nei locali della Libera Università delle donne che ci ospiteranno, i nostri percorsi di ricerca, spesso frammentati e faticosi e discontinui, i nostri percorsi precari, per indagare il lavoro a partire dalla vita, come hanno sempre fatto le donne. E per indagare la vita a partire dai corpi sapendo che sui quei corpi è tatuato un repertorio di narrazioni che il maschile ha imposto costruendo gabbie identitarie e immagini fisse da disarticolare. La macchina da presa sarà il nostro strumento.

Ci saranno cinque workshops con il regista Federico Tinelli per la parte tecnica, ristretti solo alle iscritte e agli iscritti per progettare la nostra idea di videoinchiesta sulla precarietà. Si svolgeranno a settimane alterne, nei week end da metà ottobre fino alla fine di novembre.

Inoltre abbiamo previsto due incontri aperti a tutt@. Il primo introduttivo per spiegare i molti perché di una videoinchiesta femminista sulla precarietà, a cui abbiamo invitato femministe, sindacaliste, registe, uomini e donne. Un mix di presenze differenti e di sguardi: Adriana Nannicini, Elettra Deiana, Eliana Como, Cristina Morini, la regista Virginia Onorato, le sexy Shock di Bologna, Chiara Martucci, Patrizia Bortolini ed altr@ ancora.

Il secondo appuntamento allargato, previsto il 12 novembre, approfondirà ulteriormente il nesso sguardo sessuato, paradigma di genere, precarietà, linguaggio visivo e cinematografico con la partecipazione delle registe Wilma Labate, Silvia Ferreri e con Angela Azzaro. E poi ci saranno proiezioni di filmati, riprese, interviste, autonarrazioni aperitivi popolari e l’idea di un video naturalmente tutto da costruire che metteremo in circolazione a lavori ultimati.

 

questo articolo è apparso in Queer inserto di Liberazione del 15 ottobre 2006