Israele: il Muro dell’Apartheid compie tre anni
di Annamaria Medri

 

Per il terzo anno consecutivo - dal 9 al 16 novembre – grazie alla Campagna Palestinese contro il Muro dell’Apartheid si sono svolte, in diverse città del mondo, varie iniziative pubbliche che hanno tentato di fare il punto sulla situazione in Palestina – Israele, dopo il ritiro israeliano da Gaza, la costruzione del Muro in Cisgiordania e il tentativo di annettere Gerusalemme est allo stato israeliano.

 

Nella stessa settimana si sono ricordate la morte misteriosa, avvenuta lo 11 novembre dello scorso anno, di Arafat e il decennale dell’assassinio di Rabin: gli artefici degli accordi di Oslo del 1993, promessa della costituzione di uno stato palestinese.

Dopo dodici anni tale stato ancora non c’è, mentre il governo Sharon, dal 2003, ha iniziato la costruzione del “Muro di difesa” che frammenta tra loro i territori occupati e racchiude i palestinesi in ghetti invivibili, come la stessa striscia di Gaza ai cui abitanti è persino impedito l’accesso al mare.

 

La sentenza della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) de L’Aja  ha dichiarato, 10 luglio 2004, che il Muro già costruito, e in via di costruzione, da parte dello stato d’Israele è illegale. La sentenza avvalora la richiesta della “Campagna Palestinese contro il Muro dell’Apartheid” affinché sia fermato e smantellato, vengano restituite le terre confiscate ai palestinesi, e pagate le spese d’indennizzo. La suddetta sentenza ha invitato tutti gli Stati a “non fornire aiuti o assistenza nel mantenimento della situazione creata da tale costruzione”.

 

Il villaggio di Aboud

La costruzione del Muro non segue il confine del territorio palestinese, tracciato il 4 giugno 1967, detto Linea Verde, ma penetra dentro i territori palestinesi. Un esempio si è avuto recentemente, il 3 ottobre 2005, quando l’autorità israeliana ha consegnato gli ordini di confisca dei terreni su cui passerà il Muro, nel villaggio cristiano di Aboud in Cisgiordania situato a circa sei chilometri dal confine. Il 30% delle famiglie, cristiane e mussulmane, perderanno la terra e, secondo la mappa dell’Ufficio OCHA delle Nazioni Unite, circa 300 ettari di terreno saranno inglobati dal Muro, mentre altri 25 ettari coltivati saranno distrutti per la costruzione della barriera metallica distante 6 chilometri dalla Linea Verde.

Le dimensioni stesse del progetto in Cisgiordania bastano a far capire che non si tratta di una semplice barriera di sicurezza. In numerosi punti, la separazione raggiunge o addirittura supera i 60-70 metri di larghezza, con una successione di reticolati di filo spinato, un fossato, il muro stesso alto 8 metri e dotato di un sistema di allarme elettronico, un tratto sterrato, una strada asfaltata e poi di nuovo reticolati di filo spinato. I territori che si trovano tra il muro e la Linea verde saranno dichiarati “zona militare chiusa” e, sul versante palestinese, altre zone vietate saranno accessibili soltanto passando ai check points.

 

Gerusalemme est - la Tomba di Rachele - Betlemme

Il governo israeliano sta costruendo una sezione del Muro (lunga 22 km) attorno a Gerusalemme che servirà a dividere fisicamente dalla Cisgiordania la città intera: Gerusalemme est e Gerusalemme ovest. Tale opera mette in pratica il programma israeliano denominato "Piano Metropolitano di Gerusalemme” rendendo irrealizzabile il progetto "due popoli - due stati", con Gerusalemme Est capitale del futuro stato palestinese. Il piano metropolitano di Gerusalemme comprenderà anche l'annessione dell'area della Tomba di Rachele, presso Betlemme. Tali atti unilaterali del governo israeliano contraddicono il secondo Accordo di Oslo firmato nel 1995, laddove è dichiarato che “Lo stato attuale e le attività esistenti nell'area della Tomba dovranno essere preservati" (II Accordo di Oslo, Allegato 1, Articolo V, sezione 7).

 

La mappa consegnata dall'autorità militare israeliana ai residenti palestinesi attesta la confisca di soli 1,8 ettari di terra da parte dello stato di Israele, mentre in realtà circa 300 ettari sono destinati a rimanere separati al di là del muro. Nell'area sono presenti 35 edifici e una popolazione di 500 persone che rimarranno isolate oltre il futuro confine segnato dal Muro. I terreni agricoli sono già stati spianati dai bulldozer per scavare trincee con filo spinato così da impedire ai palestinesi l'accesso a Gerusalemme. C'è il rischio concreto che gli abitanti di Betlemme finiscano per essere concentrati in un "ghetto" senza sbocchi.

Infine la linea tracciata dalla barriera comprenderà il più grande insediamento ebraico nella Cisgiordania, Maaleh Adumim (30 mila abitanti), a est di Gerusalemme e, al termine dei lavori che dovrebbe essere il 31 dicembre 2005, una fascia di terreno larga 100 metri che percorre tutta la lunghezza della barriera sarà vietata ai chiunque per motivi di sicurezza.

 

Il Muro che il governo Sharon ha costruito in territorio palestinese non ha solo “funzione di difesa”, è anche uno strumento per annettere terre e risorse idriche, per distruggere case e coltivazioni e comporta l’estromissione violenta dei palestinesi da vaste porzioni dei propri territori, tanto da apparire come una vera e propria pulizia etnica. Impedisce la continuità territoriale palestinese, annette allo stato di Israele Gerusalemme est, rende di fatto impossibile la nascita di uno Stato palestinese autonomo e quindi si oppone a qualsiasi soluzione negoziata, e di conseguenza pacifica, del conflitto.

 

Israele irride trattati e sentenze internazionali

Il Muro è una violazione del governo Israeliano ai diritti definiti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: la violazione del diritto alla proprietà, al lavoro, alla libertà di movimento, all’acqua, all’abitazione sicura, all’accesso ai servizio pubblici, al godimento delle risorse naturali, al diritto alla sicurezza fisica.

Israele quotidianamente disattende la Quarta Convenzione di Ginevra e i regolamenti dell’Aia che proibiscono la requisizione di terra in territori occupati, la distruzione o il cambiamento delle proprietà private, e la pratica di sistemi di punizione o trasferimenti di massa. Si fa beffe della sentenza  emessa il 10 luglio 2004 dalla Corte Internazionale di Giustizia  de L’Aja e non riconosce la legittimità della stessa alta Corte di giustizia internazionale.

Lo stato ebraico ignora le ripetute risoluzioni con cui l'Assemblea generale delle Nazioni unite ha ribadito «la sua condanna del rifiuto di Israele di rinunciare al possesso delle armi nucleari» e ha chiesto al Consiglio di sicurezza di «prendere urgenti misure perché Israele si adegui alla risoluzione 487 del Consiglio stesso, in cui si chiede che esso ponga i suoi impianti nucleari sotto la giurisdizione della Iaea» (Risoluzione 44/121 del 15 dicembre 1989). La risoluzioni del Consiglio sono disattese perché ufficialmente Israele non possiede armi atomiche e i governi delle “grandi democrazie occidentali” accettano e promuovono costantemente la pericolosa e destabilizzante presenza dell'arsenale nucleare israeliano.

Una dichiarazione ufficiale internazionale che riconoscesse l’arsenale atomico israeliano rischierebbe di provocare il blocco degli aiuti economici e militari degli Stati Uniti, in conformità all'emendamento Symington del 1976 che sancisce il blocco dell'aiuto militare nei confronti di ogni paese che importi o esporti attrezzature o tecnologie nucleari di ritrattamento o arricchimento dell’uranio.

 

19 novembre ’05