LAVORO, SOLDI, POTERE

di Adriana Perotta Rabissi


Trovo molto interessante il dibattito che si sta svolgendo, nel sito dell'Università delle Donne e nella mailing list Femminismi, su donne e carriere, donne e scienze, donne e tecnologia; gli interventi mi hanno suggerito una considerazione sul rapporto di molte donne con il lavoro, non tanto dal punto di vista della discriminazione e/o marginalizzazione o strategie di libertà rispetto all'organizzazione attuale, ma piuttosto in merito a un certo modo di percepire “il mondo del lavoro”.

Parto da due domande di Liliana: “se non vogliamo parlare di discriminazione, e sono d'accordo che non è solo questo ma ci sono anche scelte di autonomia, come mai i settori a prevalenza maschile sono quelli più prestigiosi e più ricchi, come la finanza ad esempio? e perché le donne che si affermano in quei campi sono di solito perfettamente assimilate al modello maschile?”

Se infatti il mondo del lavoro, nei suoi aspetti di conquista di soldi e potere è considerato, come è da molte donne, prevalentemente nell'aspetto negativo (in termini di aggressività, competitività, uso dei soldi come esercizio di potere su altre/i) c'è il rischio che il privato-familiare, amoroso, amicale appaia in qualche modo idealizzato (bisogna pur vivere), come luogo più appagante, irenico, dell'affetto disinteressato e quindi nobile, con tutto il carico di delusione e frustrazione che frana addosso, alle prime dimostrazioni del contrario.
Si perde così di vista, a mio parere, il fatto che il mondo del lavoro si è storicamente costituito, nella nostra cultura e società occidentale, in un certo modo proprio perché si costruiva in interazione con un privato familiare ben preciso, e viceversa.
Così, la soggettività maschile ha assunto determinate caratteristiche in parallelo con - e contemporaneamente alla - costruzione di una ben definita soggettività femminile, e viceversa

La soggettività delle donne si è storicamente costruita, nel bene e nel male, nel lavoro di cura, il che ha anche comportato certe aspettative, non solo per gli uomini, ma anche per le donne…
A volte si sente affermare che per noi donne contano meno i soldi che i sentimenti: è vero che nel corso del tempo abbiamo elaborato saperi, attenzioni e sensibilità in genere superiori agli uomini, in questo campo, abbiamo quindi sviluppato competenze e capacità specifiche, che costituiscono per noi quasi una seconda natura; ma è indubbio che nell'artificiosa divisione tra privato (affetti familiari, cura delle persone, attenzione alle relazioni) e pubblico (potere economico e politico) a noi donne è stata storicamente assegnata, come luogo nostro, la prima dimensione; molte di noi hanno così sviluppato una sorta di ipertrofia del lato sentimentale della psiche, a discapito di altre nostre potenzialità di realizzazione.

Ecco perché spesso quelle stesse donne che in privato, in nome dell'amore verso i propri familiari, o amiche/ci, sono capaci di affrontare situazioni complesse, risolvere problemi improvvisi, caricarsi di fatiche e responsabilità, sono le prime a considerarsi fragili, incapaci di combattere, non desiderose di assumere ruoli di responsabilità nei posti di lavoro; oppure, al contrario, altre donne che hanno maturato consapevolezze delle proprie capacità, donne dotate di un buon livello di autostima, si sottraggono, in vari modi, ad un mondo che senz'altro non è a nostra misura, pensando di compiere una scelta di libertà.
Spesso, al mutare delle condizioni storiche non corrisponde un altrettanto veloce cambiamento di mentalità e di sensibilità dentro di noi.

Dove sta allora la possibilità di scelta libera, se è frutto di un condizionamento all'origine? Non si tratta certo di svalorizzare tutto il patrimonio di esperienze e conoscenze accumulato nei confronti della relazione e della cura, ma di cominciare a riflettere sul fatto che è stato elaborato in condizioni di non-libertà di scelta, ed è quindi impossibile che il processo non ne abbia risentito in qualche modo.
Infine una domanda, strettamente collegata alla seconda domanda posta da Liliana: se non si riflette a fondo e in tante su questi nodi, non si corre il rischio di contribuire involontariamente a mantenere “selvaggio” quel luogo (lavoro-soldi-potere), sottraendoci, per cui le donne che decidono di sostarvi devono conformarsi automaticamente ai modelli dati, pena, questa volta sì, l'esclusione?