Padre, maestro, compagno di viaggio
Quanto può cambiare l’idea che abbiamo ereditato della crescita e dell’educazione di un bambino se, accanto alla figura di madre-maestra viene a collocarsi quella di padre-maestro, e se un adulto temuto, autoritario, si trasforma in un rassicurante compagno di viaggio? Nel suo “diario di bordo”, scritto per lasciare al figlio “memoria” dei suoi primi cinque anni di vita, Gian Carlo Marchesini scrive: “Per concorrere a un lavoro, per candidarsi autorevolmente a esercitarlo, sono normalmente previsti –e imposti- capacità, esperienza, titoli, attitudini, requisiti. Ebbene, la stessa serietà di prove e severità di controlli non è affatto applicata a coloro che decidono di procreare: unico indispensabile requisito essendo, oltre la capacità specifica, la volontà soggettiva (…) Non si approda in tal modo a una “naturalità” di ordine così elementare da essere in sintonia con i parametri e le cadenza proprie del regno animale?” (Compagno di viaggio. Appunti sulla paternità, Edizioni Libreria Croce di Fabio Croce, Roma 2010). Che la valorizzazione dei passaggi iniziali della vita abbia a che fare con la divisione tra privato e pubblico e, a monte, con il dualismo corpo/ pensiero, natura/cultura, femminile/maschile, emerge con chiarezza dalle analisi che ancora oggi si fanno sul ruolo educativo di un sesso e dell’altro. La stessa critica alla femminilizzazione della scuola finisce per ricalcare gli stereotipi da cui vorrebbe prendere distanza. Dall’articolo su Le Figaro si apprende infatti che per il primo ministro inglese David Cameron favorire la maggiore presenza di uomini nella scuola significa “riportare l’autorità in classe”, proporre una figura modello capace di mostrare al medesimo tempo “forza e sensibilità”. Su posizioni analoghe sembra orientato il dibattito in Francia: la prevalenza di donne nell’insegnamento viene ricondotta al “desiderio di occuparsi dei bambini”, quasi fosse una vocazione, al bisogno di “conciliare vita professionale e vita privata”. Da ciò si deduce che è necessario riformare la scuola, evitando il part-time richiesto dalle donne per far entrare “professori impegnati al 100%, meglio pagati ma più presenti”. Un cambiamento auspicabile, che interroga la cultura maschile dominante per ciò che ha considerato “altro” da sé -la donna, il corpo, l’infanzia, le emozioni-, si capovolge ancora una volta nell’affermazione del primato dell’uomo padre ed educatore. E’ evidente che molta strada resta ancora da fare prima di vedere comparire, dietro a “differenze”, ruoli considerati “naturali”, le individualità di un sesso e dell’altro. Con il suo “piccolo libro” dedicato al figlio Gian Carlo Marchesini ci ha provato e i suoi “appunti sulla paternità” sono una delle testimonianze più originali e toccanti su un’intimità ancora tutta da indagare: il rapporto padre-figlio, ma anche adulto-bambino. Contrariamente a chi, come Luigi Zoja (Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri, 2000) si rammarica per la scomparsa del padre come simulacro e simbolo destinato alla missione di “iniziatore”, fonte prima di valori e senso della vita, Marchesini vede nella scelta di deporre l’armatura del sacerdote e del guerriero – o semplicemente dell’autorità che punisce e giudica- la nascita di una “persona viva”, coi suoi desideri e bisogni, il compagno di un viaggio che finisce là dove comincia l’autonomia di chi gli si è affidato nel momento della sua maggiore fragilità. Nella scelta di stare vicino al figlio nei primi anni di vita, l’uomo sa a che cosa rinuncia: una promettente carriera e i suoi piaceri di adulto, come leggere, scrivere, ragionare con gli amici, fare l’amore. Per secoli le donne non hanno conosciuto alcuna alternativa e anche oggi che il loro tempo è diviso tra famiglia e lavoro fuori casa si tratta di una scelta su cui pesano molti condizionamenti. Quante di loro potrebbero dire che “l’arricchimento della vita si misura anche come crescita di intimità che avviene tra una generazione e l’altra”, quando il corpo a corpo con bambini, anziani, malati, ha tutt’ora una centralità incontestabile nelle loro occupazioni quotidiane? Non so se le donne possano sentirsi minacciate -come scrive Marchesini- “dal tentativo di fare il padre in modo non biecamente tradizionale”. Di certo, insieme all’apprezzamento per la messa in discussione della divisione dei ruoli sessuali, non è da escludere una benevola invidia per chi può affrontare da esploratore, “con allegria e fatica”, la tenerezza e la tirannia di un bambino, la rabbia il pianto improvviso e l’abbandono fiducioso alle braccia dell’adulto, riconoscere legami di dipendenza e indispensabilità e prospettarsi al medesimo tempo la fine della “verticalità” nel rapporto adulto-bambino, la nascita di un “embrione emozionante di democrazia”, fatto di attenzione e adozione reciproca. Commento di Adriana Perrotta Rabissi
anche su Gli altri cartaceo del 23 settembre 2011
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