Lea Melandri, Dialogo tra una femminista e un misogino Rosaura Galbiati
Mi sono avvicinata alle recensioni cosiddette “autorevoli” solo dopo aver finito la prima lettura del libro, la prima, perché come sempre ce n'è stata una seconda e ce ne saranno di sicuro altre. Succede con tutti i libri che mi coinvolgono e a maggior ragione con questo che, per profondità del discorso e anche una certa osticità del tema affrontato, rende necessarie più riletture. Confesso di aver fatto fatica soprattutto nelle prime pagine, e parto proprio da questa fatica, una sorta di disagio ad analizzare, non tanto e non solo il testo, quanto il mio atteggiamento, la mia postura in risposta al contenuto e alle tesi presentate. Attraverso le parole di Weininger, lei ascolta sia le voci più autorevoli della nostra civiltà che quelle anonime del senso comune e ci dialoga. Più che desiderosa di porsi in antitesi - ma è scontato che lo sia - diversamente dalla citata Sibilla Aleramo, Lea privilegia l’atteggiamento dialogante e partecipativo, a me sembra di cogliere questo; quindi, il titolo è azzeccatissimo e si capisce anche l’autenticità del suo riconoscere “posso dire di aver letto e riletto ‘Sesso e carattere’ con l'emozione che […] danno soltanto le biografie delle grandi anime”. L’emozione o, meglio, un evidente amalgama emotivo-razionale. Il filosofo però appare in netto contrasto col movimento e con ciò per cui abbiamo lottato quando mette in dubbio che le donne desiderino essere persone con una loro visione e prospettiva del mondo, e in questo caso si evidenzia una distanza siderale… Sono d’accordo con chi lo ha detto: leggere e analizzare i frammenti di ‘Sesso e carattere’ riportati nel libro provoca un doppio movimento di repulsione/ribellione da una parte e di intesa/connessione dall'altra, perché è impossibile non riconoscervi uno sguardo non solo lucido, ma anche profondo. Un altro aspetto che mi ha molto coinvolto e interrogato: nella filosofia di Weininger il femminile è temuto come retaggio dell’origine o radice animale dell’essere umano, ma è anche amato come somiglianza a Dio, quel divino nell'uomo, quella vittoria della spiritualità che forse il filosofo auspicava, una considerazione non semplicissima, ma molto interessante che stimola ulteriori connessioni di pensiero e interpretazioni. Lea ha la sua e intravede nel suicidio questa spiegazione: “l'annodamento, nella sua vita come nel suo pensiero, tra il sessismo, quale fondamento della Ragione classica, e la religione”. Impressiona davvero che la ricercata perfezione di santità, senso e saggezza venga riconosciuta proprio nella morte e che questa consapevolezza/convinzione venga tragicamente agita dal filosofo. Ci sono passaggi da ‘Sesso e carattere’ che fanno sobbalzare, è quasi impossibile non sentirsi umiliata dalle definizioni che costringono le donne, la cui essenza, secondo il filosofo, "si consuma tutta nella vita sessuale, nella sfera dell'accoppiamento e della procreazione, nella relazione cioè di moglie e madre”. Queste parole, che sento violente, suscitano una reazione emotiva potente che mi riporta molto indietro a sensazioni risalenti alla prima adolescenza, al senso istintivo di ribellione a quello che vedevo intorno: all'autoritarismo di mio padre, al suo muoversi libero, e invece alla dedizione di mamma alla casa, all'assorbimento nei figli, alla dipendenza intellettuale dal marito, in definitiva a quanto l'essere madre prevaleva in modo preponderante su interessi diversi, la politica e la cultura in genere. Ricordi che toccano sia la coscienza che la memoria del corpo. Altri concetti espressi dal filosofo e per me intollerabili: “la donna si cura di cose extra sessuali solo per l'uomo che ama o da cui vorrebbe essere amata, un interesse per tali cose in sé stesse le manca assolutamente”. In molti passaggi il libro mi ha fatto oscillare tra rifiuto e accoglimento di punti di vista: se la misoginia di Weininger non gli impedisce di riconoscere l'emancipazione delle donne come un'evoluzione e di condannare ogni forma di violenza, non lo distoglie dalla convinzione che a loro manchi un io morale e intellettuale e che - una pietra tombale su ogni apertura - non siano “in grado di superare la propria sessualità che le renderà sempre schiave”. Non so se sono riemersa dalla rilettura del libro con una tesi lineare in testa, so che i vari punti toccati “dal misogino e dalla femminista” hanno creato squarci di consapevolezza forse disordinati ma veri, razionalmente ed emotivamente autentici. Forse è la conclusione più importante per un lettore: il libro mi ha coinvolto. Mi ha messo a disagio e infastidito - non solo per la misoginia a tratti terribile e repellente -, ma mi ha costretto a riconoscere alcune verità e ad accoglierne altre come possibili. Al di là di quello che ognuno trova nei libri e che può più o meno condividere, il vissuto soggettivo in lettura, come non è indipendente dai contenuti e dai pensieri con cui ci si confronta, non lo è dal ripensamento delle proprie vite, in un lavoro senza fine che dovrebbe indurre una certa consapevolezza sia rispetto alla realtà suggerita dalla propria esperienza personale, sia da ciò che si vede e interpreta nella società. Un cammino su di sé che dura una vita, aiutato dai libri, oltre i modelli e i retaggi culturali, familiari e ambientali che condizionano il vivere quotidiano. Il grazie a Lea è obbligato e sentito."
13-10-2025 Bollati Boringhieri, 2025, pp.83, €12 |